È ormai realtà il tanto temuto allargamento della guerra iniziata il 7 ottobre dello scorso anno con l’attacco di Hamas in Israele e la risposta del premier Benjamin Netanyahu con bombardamenti che stanno radendo al suolo Gaza e provocando la morte di decine di migliaia di palestinesi. 

L’esercito israeliano sembra essere in procinto di sferrare l’attacco di terra in Libano, dopo avere intensificato i raid in risposta agli attacchi di Hezbollah, sostenuta dall’Iran, provocando centinaia di morti. Le implicazioni vanno anche oltre i confini libanesi e per capire quanto sta accadendo nell’area mediorientale abbiamo chiesto un’analisi di Muriel Di Dio, ricercatrice dell’Ispi per il Medio Oriente e il Nord Africa. 

Ispi

Riassumiamo: come si è giunti ai raid di Israele in Libano?

I raid israeliani in Libano, che venerdì 27 settembre hanno ucciso anche il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah, rappresentano il culmine di mesi di escalation su più fronti in Medio Oriente. A portare alla situazione attuale sono stati non solo il brutale attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023, ma anche un anno di intensi bombardamenti israeliani su Gaza, che hanno generato un livello di distruzione e vittime senza precedenti. Da considerarsi vi sono, tuttavia, anche l'inefficacia degli sforzi di contenimento internazionali e l’intervento dei proxy iraniani. Il conflitto, infatti, si è allargato a causa dell’intervento in sostegno ad Hamas proprio di questi ultimi. Hezbollah in Libano, gli Houthi nel Mar Rosso e le milizie sciite in Siria e Iraq hanno aperto nuovi fronti di scontro con Israele in solidarietà con Hamas fin dall’8 ottobre 2023.

Come siamo arrivati, allora, all’escalation attuale?

Ci si è giunti dopo mesi di falliti tentativi di negoziazione di un accordo per il cessate il fuoco, fatti naufragare a turno da Israele e Hamas (che ancora tiene in ostaggio numerosi israeliani), ma anche a causa dello scontro indiretto tra Iran e Israele. A influire, infine, sono state anche le limitate pressioni internazionali sul premier israeliano Netanyahu ad accettare una soluzione diplomatica, unite alla sua determinazione a distruggere Hamas e Hezbollah, anche a costo di migliaia di vittime civili a Gaza e di colpire militarmente il Libano.

Mancano quindi deterrenti alla volontà di Netanyahu, alle prese con i suoi problemi di politica interna e vista anche la perdita di influenza degli Stati Uniti? 

I deterrenti alla volontà di Netanyahu di proseguire con i bombardamenti a Gaza e in Libano mancano sia sul piano internazionale sia su quello interno. A livello globale, né le pressioni della comunità internazionale né quelle degli alleati di Israele, in particolare degli Stati Uniti (che continuano a fornire supporto economico e militare a Tel Aviv), sono state efficaci nel fermare le operazioni. Alcune colpe di quest’insufficiente pressione sono da attribuirsi anche all’amministrazione statunitense di Joe Biden, che, dopo i numerosi screzi con Netanyahu, sembra arrivata ai ferri corti con il premier israeliano, e non essere riuscita a spingere abbastanza per una soluzione diplomatica. Sempre sul piano internazionale, nemmeno la possibilità di un accordo di normalizzazione con l'Arabia Saudita è riuscita a modificare la linea del governo israeliano. Infatti, tra le richieste di Riyadh, vi è sempre rimasta la concessione alla creazione di uno Stato palestinese indipendente, mai accettata da Tel Aviv.

E sul piano interno?

Anche qui la mancanza di deterrenti è altrettanto evidente. Migliaia di civili israeliani, sfollati dal Nord del Paese, fanno pressione sul governo, mentre attendono un ritorno promesso da Netanyahu, ma reso sempre più difficile dal conflitto con Hezbollah. Neanche le proteste della società civile, preoccupata per la sorte degli ostaggi israeliani ancora trattenuti a Gaza (e in gran parte già morti), hanno convinto Netanyahu a cambiare rotta. Il premier continua, infatti, a puntare su una strategia militare senza mostrare segnali di voler interrompere le operazioni prima di aver raggiunto i suoi obiettivi di annientamento. Inoltre, la coalizione di governo di Netanyahu si è trovata in bilico diverse volte nell’ultimo anno proprio sotto la minaccia di un ritiro di alcuni membri in caso il premier decidesse di terminare il conflitto anticipatamente o di negoziare con Hamas o Hezbollah un cessate il fuoco.

Quale è il ruolo dell’Iran?

Il ruolo dell'Iran è stato cruciale nell'espansione del conflitto da Gaza a tutto il Medio Oriente fin da quando Hezbollah ha iniziato ad attaccare Israele in sostegno ad Hamas. Contro Israele, l'Iran ha agito attraverso i suoi proxy, parte del cosiddetto “Asse della Resistenza”, fornendo supporto finanziario, militare e ideologico. Ciò ha permesso di aprire fronti di guerra oltre Gaza, coinvolgendo il Mar Rosso, il Libano, la Siria, l'Iraq, lo Yemen e lo stesso Israele.

Nell’ultimo anno, però, la situazione è precipitata...

Sebbene il confronto indiretto con Israele e gli Stati Uniti fosse già una realtà prima del 7 ottobre per l’Iran, l'ultimo anno ha segnato una pericolosa escalation, in un caso anche diretta. Dopo l'attacco israeliano del 1º aprile al consolato iraniano a Damasco, che aveva ucciso il comandante delle forze iraniane Al-Quds, Mohammad Reza Zahedi, Teheran aveva risposto con un massiccio attacco missilistico e di droni contro Israele. Solo l’intervento di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Giordania per intercettare i missili e la decisione di Israele di procedere a una rappresaglia meno intensa dei precedenti attacchi avevano impedito un conflitto diretto su larga scala tra Tel Aviv e Teheran. Tuttavia, l'allarme di una guerra aperta non è mai totalmente rientrato. Lo scontro indiretto si è intensificato, con l'Iran che continua a sostenere i suoi alleati nella regione e dalla quale ancora si attende “risposta” all'uccisione del leader politico di Hamas, Isma'il Haniyeh (avvenuta a Teheran per mano di Israele a fine luglio). Ora si attende anche quella all’uccisione di Hassan Nasrallah

C’è la possibilità che i Paesi arabi vogliano far fare il “lavoro sporco” a Israele per indebolire l’Iran?

Non credo che i Paesi arabi intendano questo, poiché non trarrebbero alcun vantaggio dal prolungamento o dall'espansione del conflitto. La guerra nella regione ha avuto gravi ripercussioni sociopolitiche ed economiche nell’ultimo anno. Molti Paesi arabi, come Egitto, Giordania e Libano, hanno visto proteste di massa a sostegno dei palestinesi e critiche per la mancata condanna ferma delle operazioni israeliane. Durante queste proteste sono stati contestati anche gli Accordi di Abramo, che dal 2020 hanno normalizzato i rapporti tra alcuni Paesi arabi e Israele. Anche i negoziati di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita si sono fermati, mentre il riavvicinamento tra quest’ultima e l’Iran, iniziato a marzo 2023, ha subito rallentamenti a causa della crisi. Nonostante non vi siano state interruzioni alle relazioni vere e proprie, non vi è stata nemmeno la possibilità per i due attori di esplorare le opportunità offerte dal processo di de-escalation cominciato.

Com’è la situazione dal punto di vista umanitario?

In termini umanitari, Paesi come Egitto e Libano sono stati colpiti direttamente dal conflitto: l’Egitto condivide con la Striscia di Gaza il valico di Rafah, l'unico accesso all’enclave non confinante con Israele, mentre il Libano è coinvolto nelle tensioni militari legate allo scontro Israele-Hezbollah. Inoltre, anche il coinvolgimento di Egitto e Qatar nei negoziati per un cassate il fuoco per conto di Hamas non è stato in taluni casi immune da critiche internazionali.

E dal punto di vista economico?

Sul piano economico, gli attacchi dei ribelli Houthi nel Mar Rosso hanno creato instabilità nei mercati energetici (da cui dipendono le economie di molti Paesi arabi) e danni economici e di sicurezza dovuti al transito navale interrotto. Senza dimenticare che gli attacchi Houthi hanno innescato anche bombardamenti statunitensi sulle postazioni dei ribelli in Yemen, che hanno colpito anche numerose zone civili. Infine, il conflitto Israele-Iran ha destabilizzato l'intera regione e minacciato le forze americane presenti, rendendo paesi come l’Iraq, che ospita sia milizie legate all’Iran sia truppe Usa, vulnerabili a scontri per procura. Questo aumentando l'insicurezza interna, oltre che causare attriti con gli alleati statunitensi.

Sapendo dell’imminenza di un attacco di terra, cosa potrebbe accadere nell’intera area e quindi ai popoli che vi risiedono?

Quanto sta accadendo non lascia presagire una de-escalation né sviluppi positivi. Una possibile operazione di terra israeliana in Libano, sempre più vicina, aprirebbe la strada a nuovi scenari di violenza. La popolazione libanese vive nell'angoscia per i possibili nuovi bombardamenti e azioni militari, mentre il conflitto a Gaza, dove i civili continuano a soffrire, scivola in secondo piano. L'Iran, colpito duramente negli ultimi mesi, tenterà di ristabilire la deterrenza nei confronti di Israele, ma restano incerte le modalità, i tempi e la possibilità di un intervento diretto. Ciò che appare chiaro è che i proxy iraniani continueranno la loro lotta contro Israele, come da loro stessi annunciato. Resta inoltre da chiarire fino a che punto Tel Aviv sia disposta a spingersi in Libano, tenendo conto che Hezbollah non è solo una milizia, ma anche un partito politico con rappresentanza parlamentare nel Paese dei Cedri. Una violazione della sovranità libanese incontra forte opposizione a livello internazionale, con molti leader che hanno già espresso critiche severe su tale eventualità.

Dunque, cosa dobbiamo aspettarci?

Se la comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti e le potenze regionali mediorientali, non riusciranno a esercitare pressioni efficaci su Israele, Iran e gli altri attori coinvolti per avviare negoziati di pace seri, il rischio di un’ulteriore destabilizzazione è concreto. Questo scenario porterebbe a gravi conseguenze umanitarie e a una crescente instabilità geopolitica. Va ribadito che una pace duratura in Medio Oriente passa inevitabilmente anche per una soluzione definitiva del conflitto israelo-palestinese, la vera radice della crisi di Gaza e di molte altre crisi che affliggono la regione mediorientale da decenni.