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Sono trascorse quasi due settimane da quando la polizia iraniana ha ucciso, picchiandola fino a farla morire, una ragazza di ventidue anni. Mahsa Amini, originaria di Saqqez nel Kurdistan, si trovava a Teheran con la famiglia quando è stata fermata dalle guardie della morale che la ritenevano colpevole d'indossare scorrettamente il velo. Il fratello che era con lei racconta di aver atteso per due ore che venisse rilasciata. Si trovava ancora all'interno della centrale di polizia quando gli è stato comunicato che sua sorella Mahsa era ricoverata e in coma presso l'ospedale di Kasra. Emorragia cerebrale: una volta caricata sul furgone, i poliziotti non le avevano lasciato scampo.
In poche ore, la notizia della morte di Mahsa ha alimentato le proteste delle donne iraniane. In tante sono scese in piazza, prima davanti all'ospedale poi nella sua città d'origine, infine, ovunque nel Paese e nel farlo hanno iniziato a trascinare con loro anche gli uomini, soprattutto giovani, ma non solo. "Donna, vita, libertà" sono state le parole d'ordine delle manifestazioni di queste giornate. Piazze cariche di gesti simbolici come nella città di Sari dove le donne hanno bruciato i loro hijab o anche nella rete con i video delle giovani che intonano Bella Ciao in farsi diventati virali.
La repressione del regime è stata violentissima. Hadis Najafi, due anni più piccola di Mahsa, era una delle più attive nelle proteste. Ne era diventata il simbolo perché, sfidando la legge degli ayatollah, non solo non si copriva i capelli biondi con l'hijab ma se li legava pubblicamente ostentando la sua coda di cavallo. Anche per lei non c'è stato scampo. Nel suo caso sono stati fatali sei proiettili che l'hanno colpita al petto durante una manifestazione a Teheran. Per la tv di Stato è una delle 41 vittime, ma a morire finora sarebbero state almeno 50 persone secondo l'organizzazione non governativa Iran Human Rights, a loro vanno aggiunti centinaia di arrestati, tra cui tanti studenti e anche una ventina di giornalisti.
Mercoledì scorso (21 settembre) il presidente iraniano Ebrahim Raisi, a margine dell'Assemblea delle Nazioni Unite a New York, non ha esitato a dichiarare che il Paese sta affrontando con "durezza" la protesta, invitando i reporter a non dare spazio alle rivendicazioni popolari, mentre dal Palazzo di vetro ha arringato gli altri leader mondiali denunciando il doppio standard occidentale e l'esemplarità iraniana in tema di diritti umani. Nessun passo indietro, quindi, per una nazione che impone alle donne un apartheid di genere negando loro la libertà ed escludendole dalla società.
La reazione a livello internazionale è stata unanime. Alle piazze iraniane hanno risposto altrettante piazze altrove nel mondo: da Londra a Istanbul passando per Roma dove l'appuntamento è per questo pomeriggio (26 settembre) davanti all'ambasciata iraniana. Amnesty International ha rilanciato, attraverso la sottoscrizione di un appello, la richiesta avanzata dall'associazione di abolire la legge che obbliga le donne a indossare il velo, di mettere fine alla repressione e all’impunità.
Ad alzare la voce contro le violenze e le brutalità subite dalle donne iraniane anche il sindacato. A intervenire con un comunicato segretari generali di Cgil, Cisl e Uil.
“Le donne iraniane non si sono arrese - hanno dichiarato Landini, Sbarra e Bombardieri - ed hanno riempito le strade e le piazze trascinando giovani e uomini al loro fianco, trasformando la protesta per le violenze subite in una denuncia del regime contro la repressione delle libertà individuali, contro la corruzione dilagante e per gli aumenti dei prezzi e dell’inflazione che hanno ridotto in povertà milioni di famiglie. Il popolo iraniano, quindi, non sta chiedendo solo pane o lavoro, ma libertà”.
Per questo oltre a esprimere sostegno e solidarietà le tre confederazioni hanno anche riaffermato "il proprio impegno e la propria azione in Italia, in Europa e nel mondo per l’affermazione dei diritti civili, sociali, economici e culturali universali fondamentali per la convivenza, il benessere, la sicurezza e la pace".