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Negli ultimi anni, a partire dal Gdpr 2016 sulla protezione dei dati personali, l’Europa si è dotata di un apparato normativo che riguarda la produzione, la commercializzazione e l’uso di prodotti e servizi digitali. In questa consiliatura si sono aggiunti il Digital marketing Act, il Digital Service Act, il Data Act e il più recente AI Act. Il percorso di ciascuna di queste norme è stato caratterizzato da un aspro confronto con le imprese e da posizioni politiche spesso divergenti tra Commissione, Parlamento e Consiglio, tra partiti e tra stati membri. Oggi possiamo fare un primo bilancio di insieme di questo quadro normativo, sottolineandone i pregi e i limiti. Il pregio principale consiste nel tentativo di proporre una via europea della trasformazione digitale, diversa da quelle americana e cinese.
La terza via
La priorità evidente della via americana è la creazione di valore di impresa. In due decenni i valori di borsa sono triplicati, grazie al fatto che beni immateriali, quali dati e i brevetti, sono diventati il principale asset delle aziende e sono sempre più concentrati nelle mani di pugno di imprese tanto ristretto, quanto mai si era visto nella storia del capitalismo. La priorità della via cinese richiama il Rén di Confucio, l’armonia, cementata con il controllo sociale, sfruttando la inaudita capacità del digitale nel tracciare e predire i comportamenti delle persone. L’Europa ritiene invece che la trasformazione digitale possa convivere con la concorrenza e con i diritti individuali. Dopo l’approvazione delle regole sui dati personali, importate da molti paesi, si è persino illusa di essere diventata il regolatore del mondo. Purtroppo le cose non stanno così e non basterà essere il principale mercato di consumo del mondo per dettarne le regole e neanche per proteggere i cittadini europei. A complicare il quadro contribuiscono i venti di guerra, che stanno saldando il connubio tra grandi imprese tecnologiche e apparati militari, in una zona in cui vige la regola del segreto.
I tre difetti dell’Europa
Vediamo quindi quali sono i limiti della normativa, che rischiano di compromettere la fase attuativa. L’interpretazione delle norme, la regolamentazione secondaria e l’arbitrato nei contenziosi è un processo conflittuale e negoziale, nel quale contano i rapporti di forza. I tre difetti colposi dell’Europa sono quelli di non avere una politica industriale, di non avere chiari obiettivi alternativi di applicazione del digitale, di non aver posto un’attenzione sui diritti collettivi pari a quella sui diritti individuali. Quanto alle imprese, la sproporzione tra imprese americane e cinesi è impressionante. L’Europa non ha una politica industriale comune. Solo Germania e Francia tentano una politica industriale nazionale, ma da sole non hanno la dimensione e i capitali per competere. Una decina di società americane e cinesi capitalizzano una cifra vicina al Pil della intera Unione Europea. Il loro peso si è visto e sentito già nella fase di stesura di tutte le norme europee. Nella fase di attuazione, meno esposta alla pubblica opinione, il rischio della cattura del regolatore si farà ancora più concreto.
Serve un’idea di futuro
Il secondo limite della normativa europea è l’idea che il digitale sia, un po’ come l’elettrificazione un secolo fa, un obiettivo in sé. Gli algoritmi, invece, indirizzano l’enorme mole di dati e capacità di calcolo verso specifiche funzioni obiettivo; funzionano bene, come abbiamo visto, per la valorizzazione del capitale, funzionano per il controllo sociale; ma possono funzionare per quali altri obiettivi? Senza un’idea di futuro alternativo, senza obiettivi autonomi, la normativa è, nel migliore dei casi, difensiva rispetto agli indirizzi oggi prevalenti. È possibile invece indirizzare una tecnologia duttile e potente verso la sicurezza sul lavoro, la conservazione del clima, la cura del territorio, altri obiettivi di pubblico interesse? Probabilmente si, ma occorre indirizzare in queste direzioni ricerca, sviluppo e investimenti.
Il “machine learning operaio”
Il limite della normativa che più riguarda il sindacato è la scarsa attenzione per i diritti collettivi. Invece proprio i soggetti collettivi – le amministrazioni locali, le associazioni di cittadinanza, i sindacati, appunto – potrebbero ridurre lo squilibrio negoziale con le grandi imprese nella fase di attuazione delle norme. Nell’ultimo anno, a partire dal lancio dei modelli linguistici basati su intelligenza artificiale, si è posta grande enfasi sulla tutela del diritto d’autore e sulla difesa degli editori e del lavoro intellettuale. La causa intentata dal New York Times contro Open AI e Microsoft si basa sul fatto che ChatGPT è stato addestrato copiando senza autorizzazione gli articoli del giornale. Ma i modelli linguistici sono solo una parte della intelligenza artificiale e, a ben guardarli, tutte le imprese e tutti i lavori sono ormai prevalentemente intellettuali, coinvolti in una catena del valore che rischia di trasferirsi verso pochissime aziende. La macchina impara il ‘saper fare’ dall’operaio che la manovra, registra l’informazione e la trasmette laddove può essere elaborata insieme alla maggiore quantità di dati con la massima potenza di calcolo, cioè nei server di un ristretto numero di imprese. Non è più tanto la componente fisica e ripetitiva del lavoro che può essere incorporata nelle macchine; ma è quella immateriale, compresa la capacità umana di applicare il buon senso e di gestire gli imprevisti fuori dalla routine. Andrà ai lavoratori o alla impresa proprietaria delle macchine o al fornitore del sistema di intelligenza artificiale che assembla ed elabora i dati? A giudicare dalla direzione in cui vanno i mercati finanziari, la risposta sembra scontata.
Cosa può fare il sindacato
Ma il sindacato ha più armi di quelle che pensa, anche se deve ancora imparare a usarle. La fase attuativa delle nuove norme può essere alimentata con casi concreti generati dal-la contrattazione nazionale ed aziendale. La parte contrattuale sui diritti di informazione diventa cruciale e assumerà forme nuove. Va posto il tema dell’accesso ai dati e ai sistemi basati su intelligenza artificiale che possono impattare sulla quantità e la qualità del lavoro. Di fronte al diniego della controparte il contenzioso deve coinvolgere il regolatore. Si crea così una casistica, che genera regolamentazione secondaria. Soprattutto si favorisce la crescita di una massa critica di lavoratori esperti in grado di discutere e negoziare anche con le autorità di regolazione. Anche la gestione delle ristrutturazioni aziendali e la contrattazione di anticipo cambia natura. I piani presentati dalle controparti in misura sempre maggiore saranno basati su algoritmi che hanno la funzione obiettivo di massimizzare il valore di impresa; spingiamoci a immaginare che una squadra di lavoratori, con l’aiuto del sindacato e di esperti, possa verificare e ricalcolare gli impatti delle modifiche in funzione del valore del lavoro e a negoziare diverse soluzioni. Anche in questo caso, di fronte ai dinieghi, il contenzioso coinvolge il regolatore. Il sindacato è attrezzato a usare queste tattiche? Oggi probabilmente no, ma lo può diventare se comincerà a usarle con ostinazione. Le autorità indipendenti sono in grado di sostenere l’assedio del sindacato oltre a quella delle imprese? Sicuramente no, per come funzionano oggi.
Le regole Ue
Il regolamento europeo sulla intelligenza artificiale istituisce un AI Board comunitario e lascia a ciascuno stato membro la facoltà di istituire o designare una o più autorità a livello nazionale, particolarmente importanti a fronte di una ampia casistica. Per il sindacato è quindi importante prestare grande attenzione anche alla legge nazionale che indicherà l’autorità competente. Di seguito sono sintetizzo alcune modalità operative che sono state proposte del Centro per la Riforma dello Stato e dal Forum Diseguaglianza e Diversità. Il meccanismo di consultazione per coinvolgere i soggetti sociali interessati non deve seguire un protocollo gestibile solo da grandi imprese e lobby professionali, ma forme collaborative in forma comprensibile e interagitile. In caso di contenziosi, le decisioni le motivazioni delle decisioni comparano la rilevanza degli interessi sociali rispetto a quelli personali ed economici.
Gli obiettivi
Le metriche, il monitoraggio dei risultati, i modelli predittivi adottati, sono anch’essi sviluppati con metodo collaborativo e devono essere trasparenti accessibili in permanenza. In caso di inottemperanza verificata anche nella catena dei fornitori o degli appalti, il meccanismo sanzionatorio prevede l’esclusione temporanea delle imprese dalla partecipazione a bandi, concessioni e autorizzazioni della pubblica amministrazione, ciò che è più efficace di quanto non si siano dimostrate le tradizionali sanzioni. Più che una nuova autorità, serve un diverso tipo di autorità, con diversi modelli decisionali.
Piero De Chiara, direttivo Crs, ex consigliere AgCom