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A Gaza almeno 41.272 palestinesi sono stati uccisi tra il 7 ottobre 2023 e il 18 settembre 2024, tra loro molti bambini, e 95.551 sono rimasti feriti, secondo il ministero della Salute locale. Secondo l'esercito di Tel Aviv a sono stati uccisi più di 1.546 israeliani e cittadini stranieri, la maggior parte sono vittime dell'attacco di Hamas di un anno fa, ma tra loro ci sono anche 346 soldati uccisi a Gaza o lungo i confini, mentre 2.284 militari sono stati feriti. In Cisgiordania altri 640 palestinesi morti.
In Libano, al quale Israele ha allargato il conflitto contro Hezbollah, si parla già di centinaia di morti. Migliaia sono le persone sfollate e sono 30.000 coloro che non hanno accesso all’acqua potabile, secondo le notizie diffuse dall’Unicef, organo per il quale “la situazione in Libano, già sull'orlo del baratro, è passata dalla crisi alla catastrofe”. Senza contare poi le vittime degli attacchi israeliani in Siria e nello Yemen.
Un milione di rifugiati palestinesi su una popolazione totale di 1,4 milioni dipendono dall'assistenza alimentare dell’Unrwa, rispetto alle sole 80.000 del 2000. L’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di fornire assistenza umanitaria ai profughi palestinesi le sono stati sospesi i finanziamenti.
22.500 dei feriti a Gaza entro il 23 luglio hanno riportato ferite invalidanti che necessitavano di servizi di riabilitazione, c’è chi ha avuto l’amputazione degli altri e chi ha lesioni al midollo spinale, cerebrali e ustioni. Anche gli operatori umanitari e sanitari nei luoghi di guerra sono allo stremo per le condizioni nelle quali si trovano a lavorare, privati dei mezzi necessari alle cure dei palestinesi.
La presidente di Emergency, Rossella Miccio, ci racconta: “Noi abbiamo provato a entrare a Gaza dalla fine del 2023, ma una serie di motivi burocratici e organizzativi ci hanno impedito di farlo ni tempi da noi previsti. A maggio poi Israele ha chiuso il valico di Rafha e quindi da lì abbiamo dovuto ricominciare tutta la procedura attraverso l’autorità israeliana, che fa capo al ministero della Difesa che gestisce le attività umanitarie, e alle nazioni unite grazie alle quali poi siamo riusciti finalmente a entrare, solo il 15 agosto”.
A Gaza Emergency ha trovato una situazione disastrosa: “C’è una enorme massa di persone, oltre un milione, costrette ad abbandonare le proprie case e ora si trovano confinati ulteriormente in una fascia molto piccola della Striscia, quella che viene come chiamata Humanitarian e che gli israeliani considerano come area sicura e quindi non soggetta a bombardamenti. In realtà questa è una zona che equivale al solo 11% del territorio di Gaza, quindi vi è una situazione di sovraffollamento estremo, di distruzione totale”.
Gli operatori dell’ong hanno inviato in Italia fotografie e video del percorso che loro fanno per andare in un ospedale o trovare un lotto per costruire una clinica e “si vedono macerie su macerie, con tutto quello che ne consegue anche in termini di igiene pubblica. Le strutture di fortuna, fatte con teli e lamiere, si trovano prevalentemente sulla spiaggia dove la gente sta vivendo, con una scarsità sempre più alta di materiali, di generi di prima necessità, di cibo per la popolazione di Gaza e per gli operatori internazionali. Gli aiuti entrano col contagocce e quindi questo ovviamente complica tutto”.
Miccio spiega di avere concordato di iniziare le loro attività con una clinica che farà sanità di base a Kan Younis e avrà anche un uno spazio dedicato al primo soccorso dei feriti, mandati poi, una volta stabilizzati, nelle strutture ospedaliere ancora minimamente funzionanti. Negli ultimi giorni se ne parla un po' meno perché i bombardamenti sono un po’ meno intensi, ma circa il 60 per cento degli ospedali di Gaza è fuori uso o si possono usare in maniera molto molto limitata”.
Ora Emergency costruirà la clinica con i materiali che reperiscono in loco “e con dei prezzi che sono quattro volte quelli normali, perché si è in un'economia di guerra. Per i farmaci – prosegue la presidente – ci appoggiamo alle Nazioni unite, ma l’ingresso è consentito solamente attraverso convogli autorizzati dall’autorità israeliana con un lunghissimo e farraginoso procedimento”. Ci sono però acquisti di materiali indispensabili che non vengono autorizzati, come i generatori, i pannelli solari, tutta una lista di cose il cui ingresso a Gaza non è autorizzato perché considerati dual use, quindi pericolosi”.
Sono poi necessari i macchinari per la diagnostica per immagini, per chi è ferito e per chi, come chiunque di noi, ha malattie croniche, o neoplasie, e devono essere sottoposti a risonanze magnetiche o radiografie: queste persone non possono più contare su un sistema sanitario. Per questo Emergency sta costruendo ambulatori di base, che consentano almeno di fare le diagnosi”.
“Nel momento in cui comincia una guerra – conclude Miccio – viene messo in ginocchio il sistema sanitario e le persone perdono qualsiasi riferimento, quindi ai morti diretti, poi andranno aggiunti anche i morti indiretti del conflitto”.