Si dice che Obama abbia letto tutti i suoi libri e se non lo ha fatto lui di sicuro li ha letti lo staff del senatore dell’Illinois. George Lakoff insegna linguistica all’università californiana di Berkeley, ma non è un topo di biblioteca. A lui interessa la politica e soprattutto la sinistra o – come si dice in America – i liberal. Qualche anno fa decise di mettere su un think tank, un centro di ricerca per la comunicazione politica, che aiutasse i democratici a vincere le elezioni convincendo gli elettori. Senza trucchi, calze sulle telecamere o espedienti televisivi, ma solo con le parole, che poi per Lakoff sono anche fatti. Il suo libro più celebre – quello che magari Obama tiene anche in questi giorni sul comodino – è Non pensare all’elefante, tradotto in italiano da Manifesto Libri. Un manualetto che spiega come sopravvivere alla destra e sconfiggerla con un’operazione apparentemente semplicissima e già decantata dal regista Moretti nel suo celeberrimo Aprile: dire qualcosa di sinistra.

Lakoff è un sostenitore di Obama fin dal primo momento. Quando ancora la sfida era tra lui e la Clinton, in un’intervista che ci aveva rilasciato per Il Mese di Rassegna aveva spiegato che non c’era storia: Obama aveva tutte le carte per diventare il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America. Adesso che il sogno si avvicina e i sondaggi fluttuano, abbiamo chiesto a George Lakoff di raccontarci com’è andata la campagna elettorale e cosa è cambiato rispetto a qualche mese fa quando la sfida era ancora tra Obama e la cosiddetta Clinton machine.

Lakoff: Sono tante le cose che sono cambiate. Ma intanto diciamo che la campagna elettorale di Obama è stata condotta molto meglio rispetto a quella di Hillary Clinton. Il segreto della politica americana è che le persone tendono a votare in base a cinque elementi: i valori, la comunicazione, la verità, la fiducia e l’identità. E’ attraverso i programmi che vengono mostrati i valori in base ai quali l’elettore decide se accordare la propria fiducia a un candidato, ma gli elettori non sono poi tanto interessati ai dettagli dei programmi quanto piuttosto a quello che essi dimostrano dei candidati. Hillary Clinton, ad esempio, ha condotto la sua campagna elettorale solo sul programma, mentre Obama si è basato sui cinque elementi che ho appena detto, conducendo una campagna elettorale brillante che ha decisamente vinto. La Clinton ha commesso questo errore di fondo: quello di correre soltanto concentrandosi sui temi senza pensare alle ragioni principali in base alle quali gli elettori esprimono il proprio voto.

Sconfitta la rivale democratica Hillary Clinton nelle primarie, Obama è in testa rispetto all’avversario repubblicano John McCain. Secondo i sondaggi, che fluttuano di giorno in giorno, il margine di vantaggio arriverebbe, in alcuni casi, a 10 punti percentuali. Ma McCain su cosa fa campagna: sui valori o sui programmi?

Lakoff: La campagna di McCain si basa sui valori e sui cinque elementi che dicevo poco fa e, quindi, anche su comunicazione, verità, fiducia e identità. Altrettanto fa la sua vice Sarah Palin. La scelta della Palin è stata compiuta proprio per correre in questo modo e per appellarsi al voto dei conservatori populisti. Da questo punto di vista, il candidato repubblicano ha sfruttato il vantaggio che i conservatori americani hanno nella comunicazione, visto che dispongono di enti e istituti consolidati che sanno come far arrivare i loro messaggi. Loro lavorano così da quarant’anni, mentre i democratici ancora non hanno questo tipo di sostegno. I repubblicani hanno scelto Sarah Palin perché esprime perfettamente i loro valori, è un’ottima comunicatrice e i conservatori populisti si identificano con lei.

In America i conservatori sono di tante specie diverse, fino a qualche mese fa tenevano banco i neocon, poi i teocon. Adesso è l’ora dei conservatori populisti...

Lakoff: I conservatori populisti sono conservatori nelle tematiche sociali come l’aborto, i diritti dei gay, le forme di patriottismo e via dicendo ma, in genere, hanno tendenze progressiste su altre questioni come il lavoro e l’economia. Tuttavia, i repubblicani sono riusciti a insinuare in questo tipo di pubblico l’idea che i liberal, la sinistra, li guardi dall’alto in basso essendo snob e lontana dalla classe operaia che non ama. Anche in queste elezioni i repubblicani hanno condotto una campagna elettorale di questo tipo e, da questo punto di vista, nell’immediato, l’arrivo di Sarah Palin come candidata alla vice-presidenza aveva avuto un suo effetto. Poi, però, l’economia è crollata e Obama ha saputo affrontare la crisi davvero molto bene così come è riuscito a rivolgersi alle classi lavoratrici. McCain, dal canto suo, non ha fatto nulla sull’economia e ha proposto, di giorno in giorno, un programma economico differente:, non sapeva cosa dire e anche la Palin di economia non sa niente. Così gli elettori hanno dato la loro fiducia a Obama per il suo piano economico. La stessa carenza è emersa anche in politica estera, cosa ha sollevato dubbi su McCain e sulle sue scelte. Il risultato di tutto ciò è stato che Obama – che si è comportato come ha sempre fatto– si è spostato avanti nel gradimento. Inoltre Obama è stato molto astuto sia nelle primarie contro la Clinton che nelle presidenziali: ha seguito la strategia dei 50 stati di Howard Dean vale a dire creare delle sedi di partito in ogni stato anche se quest’ultimo è molto conservatore in modo da avere quante più persone possibili al voto e, quindi, fare campagna elettorale in ogni stato.

Ricordiamo che il sistema elettorale americano è indiretto, eredità della visione aristocratica che i padri fondatori avevano dell’America del ‘700. A eleggere il presidente non sono direttamente i cittadini, ma 538 “grandi elettori” che si riuniscono il 13 dicembre a Washington. Quando gli elettori – il 4 novembre - esprimono la loro preferenza per il presidente, di fatto, eleggono i “grandi elettori” associati al suo nome. Inoltre i voti dei cittadini o “voti popolari” vengono contati stato per stato: basta un solo voto in più in un singolo stato perché il candidato si aggiudichi tutti i grandi elettori in palio lì. E ovviamente ci sono stati che pesano di più – perché il numero dei grandi elettori è maggiore – e stati che pesano di meno. La strategia di Obama è stata quella di non concentrarsi solo sugli stati pesanti ma di fare campagna elettorale su tutto il territorio nazionale.

Lakoff: Hillary Clinton aveva una strategia a 17 stati che comprendeva quelli che lei ama definire gli stati–battaglia, mentre Obama ha fatto la sua campagna elettorale anche in tutti gli altri arrivando così a conquistare sempre più delegati, per i quali la Clinton non si era neanche battuta. Nel condurre una campagna di questo tipo, Obama ha anche istituito degli uffici elettorali di lungo termine che gli hanno permesso di convincere anche molti conservatori populisti a cambiare idea e a votare per lui anziché per McCain e per la Palin. Si tratta di una parte importante di questa campagna elettorale perché, al momento, McCain sta solo cercando di tenere duro in quegli stati che erano già stati conquistati da Bush e che sono considerati storicamente repubblicani, ma non tenta neppure di lottare in quelli democratici ed è questo che lo mette in forte svantaggio. E’ questa una delle ragioni per cui Obama è in testa.

La crisi economica – spiegava Lakoff poco fa – ha mescolato le carte e dato maggiore fiducia a un candidato come Obama. La classe media, i lavoratori d’America, sono in difficoltà e si trovano a scegliere. In occasione dell’ultimo dibattito televisivo tra i due candidati alla presidenza, è stato montato un piccolo scandalo sulle vicende di un certo Joe l’idraulico. Joe chiede la parola e interroga Obama sul suo piano delle tasse, protestando perché a suo giudizio lui e i suoi colleghi ne sarebbero stati danneggiati. Vero? Falso? Di certo Joe non era un idraulico e non si chiamava neanche Joe, ma Samuel Wurzelbacher...

Lakoff: La prima cosa da dire è che la ragione per cui McCain ha fatto intervenire Joe l’idraulico nel dibattito era il fatto che avrebbe dovuto rappresentare il lavoratore ideale, il lavoratore ideale conservatore e populista. Ma, alla fine, è venuto fuori che Joe non era un idraulico e che non aveva neppure una licenza o una formazione da idraulico. Era semplicemente un impostore. Inoltre, anche la domanda che aveva posto a Obama era una bugia. Partendo dall’idea che stesse per acquistare l’impresa del suo capo, il presunto Joe aveva detto che l’azienda guadagnava 250 mila dollari l’anno – cosa non vera, visto che il profitto era di 150mila dollari annui – e aveva aggiunto che secondo il piano delle tasse di Obama avrebbe guadagnato di meno, mentre con McCain non avrebbe avuto problemi. Alla fine, la scelta di Joe si è rivelata un boomerang per i repubblicani perché la maggior parte delle persone e, in particolare, gli elettori indipendenti non si sono identificati con lui perché era un falso, un bugiardo.

Ma il vero nodo da sciogliere è quello razziale, al di là dei pericoli che Obama corre per via del colore della sua pelle e dell’odio che molti ancora provano negli Stati Uniti. Quando la Clinton era ancora in lizza si temeva che le donne e gli ispanici, che rappresentavano una grossa fetta del suo elettorato, non avrebbero mai concesso il proprio voto a Barack Obama. Adesso però le cose sono cambiate – come ci spiega George Lakoff, della Berkeley University. Resta da capire dove andrà a finire il voto dell’americano bianco medio, il voto dei cosiddetti wasp white-anglosaxon protestants...

Lakoff: Le donne voteranno quasi tutte per Obama, così anche tre quarti degli ispanici. Le donne, infatti, hanno capito di odiare Sarah Palin, fatta eccezione per quelle molto conservatrici. Le elettrici indipendenti e democratiche sanno che Sarah Palin è l’esatto opposto di ogni cosa in cui loro credono. E’ molto interessante il fatto che in ogni sondaggio – dopo la scelta di Sarah Palin da parte di McCain – il sostegno al candidato repubblicano da parte dell’elettorato femminile non ha fatto altro che calare, perché la Palin è davvero molto anti-femminista. Per quanto riguarda gli ispanici, i democratici sono stati bravi nel convincere le loro comunità tanto che dovrebbero essere assai forti in questa parte di elettorato. Ma il problema vero ha a che fare con gli uomini bianchi. Esiste una questione di razzismo. Tra l’altro, nei sondaggi, ci saranno delle persone pronte a dichiarare di votare per un afroamericano che poi, in effetti, non lo faranno perché razziste. Si parla, a questo proposito, di gravity effect, un fenomeno molto studiato. Stando a quanto si dice, non sarebbe poi tanto presente ma, di fatto, non possiamo saperlo. Non sappiamo quanto sia radicato il razzismo. C’è anche un altro problema: quello del voto degli ebrei in Florida. E’ una questione importante perché si tratta di un voto pesante nella Florida del Sud. Molti di questi elettori non voteranno per Obama per via di Israele, ma forse, adesso che Hillary Clinton sta facendo campagna per il senatore dell’Illinois, la situazione potrebbe cambiare in positivo. Non so però di novità in proposito.

(ascolta il podcast dell’intervista)