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Human rights watch, Euromed, il quotidiano Washington Post denunciano l'uso di bombe al fosforo da parte di Israele sui centri abitati della striscia di Gaza. Tel Aviv nega. Nel podcast Giorgio Beretta, analista dell'Opal (l'Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa) ci spiega cosa sono le bombe al fosforo e perché ne è vietato l'uso. L'analista ci illustra poi il valore e il sistema di esportazione di sistemi di armi dell'Italia verso Israele, notizie per lo più ignorate dai media di larga diffusione.
Giorgio Beretta ci dà inoltre notizia della presentazione, lo scorso mese da parte delle forze della maggioranza di governo, di un disegno di legge per modificare le norme che dal 1990 regolamentano le esportazioni di armi. "La legge 185 del '90 - ci spiega l'analista - è arrivata dopo 6 anni di lavoro parlamentare e forti pressioni da parte delle associazioni della società civile per dotarsi di norme, anche alla luce delle notizie della vendita di armi (comprese mine anti-uomo) a Iraq e Iran, e anche a Israele, impegnati in conflitti, come al Sudafrica allora sotto embargo”. La legge 185 non vieta l’export, ma “consiste in un caposaldo perché afferma che l’esportazione di sistemi di armi deve rispondere alla politica estera e di difesa italiana, in conformità con l’articolo 11 della nostra Costituzione secondo il quale l’Italia ripudia la guerra con strumento di risoluzione delle controversie internazionali".
Si tratta di divieti importanti. “C'è il divieto di esportare armi a Paesi sottoposti a embargo Onu, Osce e Ue - prosegue -, che è un criterio oggettivo perché si rifà a disposizioni di autorità competenti. Il problema consiste però in altri divieti, tra i quali quello secondo il quale non si possono vendere armi a governi che si macchiano di gravi violazioni di diritti umani accertati dai competenti organi Onu e Ue. Un esempio è la situazione israelo-palestinese, con l’occupazione dei territori da parte di Tel Aviv: se non ci sono accertamenti specifici, l’Italia può continuare a esportare armi a Israele. Ci sono gravi violazioni ma manca l'accertamento. Altro caso è la norma che vieta la vendita a Paesi in stato di conflitto fatte salve diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri e previo parere delle Camere: anche qui il problema è che non c’è più alcun Paese che dichiara apertamente il conflitto”.
Beretta porta l’esempio dell’invasione statunitense dell’Iraq del 2003, spiegando che secondo l’Opal si trattava di uno stato di conflitto armato perché non c’era nessuna risoluzione Onu che lo autorizzasse, quindi era un caso di applicazione del divieto, ma nessuno lo ha fatto. "Qui entra di nuovo in campo il ddl delle forze i maggioranza - afferma -, perché reintroduce il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa, già contemplato nella legge 185 e poi abolito. L’attuale governo vuole reintrodurlo con il compito di applicare i divieti di esportazioni e definire linee politiche dell’export. Questo ben venga, visto che l'organo è presieduto dal presidente del Consiglio e quindi prevede scelte e presa di responsabilità da parte del governo, ma il problema è come poi si vogliono applicare i divieti, quali norme e direttive l’esecutivo intende dare.
Quello che vediamo è la volontà di attuare codici che favoriscano l’esportazione di armi. Un esempio, in questo caso, è il divieto rispettato nelle legislature precedenti di vendere bombe e missili all’Arabia saudita e agli Emirati arabi perché utilizzati contro la popolazione dello Yemen:. Ora il divieto è stato revocato in base a un fantomatico minore intervento o cessazione dei bombardamenti da parte dell’Arabia saudita. Esistono leggi che hanno parti che necessitano di una valutazione, ma comprendono precisi divieti, che pare però si vogliano aggirare a livello politico".
Beretta illustra dunque la proposta di Opal e del mondo dell'associazionismo che "prevede il reinserimento delle norme del trattato internazionale sul commercio di armi, ratificato dall’Italia con voto unanime dalle camere. Il motivo è che l’articolo 7 di questo trattato prevede che, qualora non si incorra nei divieti elencati in un altro articolo, il Paese esportatore deve comunque verificare che gli specifici sistemi di arma che sta vendendo non siano utilizzati dallo specifico Paese destinatario per minacciare la sicurezza internazionale, per commettere o agevolare violazioni del diritto umanitario e altre infrazioni. In buona sintesi, il Paese che vende deve assicurarsi che le armi siano utilizzate solamente per difendersi, altrimenti non è possibile effettuare alcuna vendita".
Si tratta di un criterio molto importante perché richiede una valutazione specifica del caso, di volta in volta e prima della compravendita. "Per l’Arabia, nel 2015 - afferma Beretta -, si sapeva già che chiedeva 411 milioni di euro di armi pari 11.975 bombe (la più grande commessa italiana) perché impegnata nel conflitto contro lo Yemen compiendo crimini di guerra, come affermato anche da una relazione delle Nazioni unite. Insieme con oltre 100 associazioni (tra le quali la Rete pace e disarmo, Msf, Save the children, Amnesty international) siamo riusciti a fare sospendere quella commessa: ci abbiamo messo 5 anni, quindi intanto sono stati fatti invii di armi, ma per la prima volta si è riusciti a fermarli. Ora, se si vuole cambiare la legge vanno introdotti tutti i criteri che l’Italia ha sottoscritto nelle sedi internazionali”.