L’ultima storia è quella di Nika. Diciassette anni, capelli scuri, rossetto rosso, volto di una ragazza poco più che bambina. Stava partecipando a una delle proteste organizzate a Teheran dopo la morte di Mahsa Amini, pestata dalla polizia perché indossava male il velo. Nika era nella folla che gridava basta violenze e libertà per le donne. L’hanno inseguita, lei ha avuto il tempo di mandare un messaggio a un’amica ma poi è scomparsa nel nulla. Il suo corpo è stato ritrovato dieci giorni più tardi. Il sorriso ormai spento. Il viso tumefatto. Il cranio spaccato.

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La repressione

Secondo le organizzazioni internazionali la conta delle vittime della repressione aumenta quotidianamente. Per Iran Human Rights, sede in Norvegia, i morti sarebbero almeno 154, compresi 9 bambini. Secondo la ong gli arrestati sono centinaia e mentre, con l'inizio dell'anno accademico, le proteste si sono spostate nelle università del Paese, è stato lo stesso ministero dell’intelligence iraniano a diramare un comunicato in cui chiariva di aver preso in custodia 9 cittadini stranieri, accusati di aver partecipato alle mobilitazioni, istigando i manifestanti. Così nella famigerata prigione di Evin, ora c’è anche la trentenne italiana Alessia Piperno, fermata mentre festeggiava il compleanno con alcuni amici a Teheran.

“Accuse del tutto ingiustificate” – ha denunciato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International che, nei giorni scorsi, ha pubblicato prove dell’intenzionalità della violenza delle Guardie rivoluzionarie, dei paramilitari Basij e delle forze di sicurezza. “Le autorità iraniane – ha dichiarato Agnes Callamard, segretaria generale di Amnesty International, - hanno deciso consapevolmente di ferire o uccidere le persone che sono scese in piazza per esprimere la propria rabbia a causa di decenni di repressione e ingiustizie”.

La solidarietà

Nel frattempo le richieste di aiuto e solidarietà corrono nella rete, attraverso siti e canali social, rimbalzano da un Paese all’altro, da una città all’altra, e creano moti spontanei di protesta, riempiono le piazze. Seguendo l’esempio delle ragazze iraniane che, in segno di denuncia, si tagliano i capelli pubblicamente, anche nel resto del mondo molte donne hanno deciso di fare altrettanto. Personaggi noti e cittadine comuni, tra loro anche tante giovani di origine iraniana. A Roma davanti al Campidoglio, lo scorso mercoledì (5 ottobre) c’era Pega, 30 anni. Forbici alla mano, dopo essersi tagliata una ciocca di capelli ha dichiarato: “Vogliamo urlare per i nostri diritti. Vogliamo un cambiamento reale, vogliamo una democrazia reale in cui poter scegliere e dove poter avere il diritto di manifestare. Oggi in Iran questo non è possibile. Ma noi dobbiamo combattere assieme contro l’oscurità”.
 

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L'impegno della Cgil

Sempre a Roma domani (8 ottobre) la Cgil scenderà in piazza. Lo farà per non dimenticare l’assalto squadrista alla sua sede avvenuto un anno fa e per rilanciare le sue proposte sui temi del lavoro, dell’economia e della società. Lo farà con un’iniziativa di respiro internazionale e così, anche per questa ragione, spiega Lara Ghiglione, responsabile delle politiche di genere del sindacato di Corso d’Italia, "Quello che sta accadendo in Iran sarà un motivo in più per le donne per scendere in piazza del Popolo sabato. Con tutti i limiti della condizione femminile in Iran alla fine degli anni Settanta, è indubbio che si sia verificata una drammatica regressione, come è accaduto in altri Paesi. Quelle ragazze ritratte nelle foto sorridenti e libere potevano frequentare la scuola e l'università, indossare abiti occidentali e portare i capelli alla moda. Queste possibilità sarebbero state da estendere a tutte le donne iraniane, invece quello che è accaduto è la totale perdita di ogni diritto, compreso quello all'autodeterminazione, e tutte sono diventate vittime di continui soprusi. Questo dimostra che nessun diritto è acquisito per sempre. E per questa ragione occorre riprendere la piazza e riprendersi la parola: per le donne iraniane, per noi stesse, per le nostre sorelle e figlie e per qualsiasi donna in qualsiasi posto del mondo abbia bisogno di sentirci accanto a lei”. 
 

"In Iran, come ovunque, al legislatore non deve essere permesso di decidere del corpo delle donne. - aggiungono Mabel Grossi, dell'area politiche europee e internazionali della Cgil e il responsabile Salvatore Marra - Ma la forza della protesta delle donne iraniane sta proprio nella capacità di andare oltre. La loro lotta è una lotta per le libertà civili, sociali, economiche e democratiche che il regime reprime. Questioni che, come sindacato, denunciamo da tempo anche attraverso le nostre iniziative. L'Iran non rispetta le convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro, non garantisce il diritto di sciopero né dà la possibilità ai sindacati di organizzare liberamente i lavoratori. Solo gli Islamic Labour Council, sotto l'egida del leader supremo, possono 'rappresentare' chi lavora mentre le organizzazioni sindacali indipendenti sono costrette alla clandestinità. Non c'è libertà di espressione né di stampa. Per le persone Lgbtq è prevista la pena di morte. In altre parole, la repressione è totale. Ora la rivoluzione delle donne potrebbe - finalmente - rivoluzionare l'intera società."