Indira Meza è una donna Venezuelana, una giurista costretta a fuggire nel 2018 dall’autoritarismo del governo di Nicolas Maduro, perché privata del suo lavoro e in quanto intellettuale dotata di un proprio pensiero critico. Nella ricorrenza della Giornata mondiale del rifugiato ci ha raccontato la sua storia, dichiarando la consapevolezza di essere comunque fortunata, perché la sua laurea in giurisprudenza, il suo essere avvocata, il suo livello di istruzione le hanno dato gli strumenti per fare fronte al calvario al quale si sottopongono le persone in fuga dal proprio Paese e che cercano di ottenere lo stato di rifugiato. Il suo pensiero va a chi invece questi strumenti non li ha ed è costretto a vivere anni e anni di clandestinità. 

"Prima di arrivare in Italia mi stavo preparando a livello curriculare per aspirare a diventare magistrata della Repubblica – ci dice – e, lasciando la mia terra, mi sono trovata in una realtà completamente diversa: ho dovuto fare lavori in nero, lavori con giornate lunghissime e di sfruttamento, ho fatto anche la raccolta di frutta nei campi, esattamente l'esperienza che vivono i migranti rifugiati. Ero fuggita dal Venezuela perché cercavo la giustizia che nel mio Paese non c’era più, ma nemmeno qui la trovavo. Ma ho continuato a credere nei valori di giustizia universale. Per ottenere lo status di rifugiata ci è però voluto molto tempo, un anno e mezzo, durante il quale è come se fossi stata al buio. Solamente per avere la residenza mi ci è voluto altrettanto tempo, e questo mi ha arrecato un grande danno perché non ho potuto iniziare il percorso di integrazione che sto ancora facendo”. 

Meza ci racconta di avere trascorso oltre tre anni senza potere avere un lavoro regolare e senza nemmeno studiare, “senza potere fare alcuna cosa”, mentre aveva bisogno di frequentare l’università in Italia per avere la possibilità di continuare a fare il lavoro per il quale si era laureata in Venezuela.

“Ora sto finendo una laurea magistrale all'Università di Palermo, ma ho ricominciato a vivere qualcosa già vissuto mentre richiedevo asilo, perché mi è scaduto il permesso di soggiorno e l’appuntamento per rinnovarlo me lo hanno dato a settembre. Questo ha comportato anche l’annullamento della mia iscrizione al Servizio sanitario nazionale e, avendo una malattia cronica, è un problema grosso”. 

“Inoltre – prosegue – mi mancano pochi appelli per laurearmi, ma senza il permesso di soggiorno non posso portare a compimento gli esami. Lo stesso vale per il mio lavoro di traduttrice. Quello che mi spaventa è che in una terra dove ci sono tantissime leggi, l’Italia, e siamo anche in presenza di leggi internazionali, queste norme non vengono applicate. Se una legge non è applicata, è lettera morta”.

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“Il problema sono le politiche sull’immigrazione e la protezione messe in campo dai Paesi, e queste politiche non devono essere fatte solamente da leggi, ma anche dagli strumenti necessari perché le norme siano applicate. Le persone alle quali i rifugiati si rivolgono devono essere persone aggiornate”. 

“Io so parlare italiano e conosco le leggi ma mi chiedo come facciano le persone che hanno paura, che si trovano in stato post traumatico per le situazioni che lasciano e i viaggi che affrontano e nemmeno conoscono la lingua”. Quindi conclude: “Se lo Stato non ti accoglie, chi altro dovrebbe accoglierti?”.