Appuntamento a Bruxelles, il prossimo 5 febbraio, per dire no alla deindustrializzazione che sta falcidiando il tessuto produttivo europeo. La mobilitazione generale è stata lanciata da IndustriAll Europe, la branca europea del sindacato che federa le sigle manifatturiere a livello sovranazionale.

IndustriAll invita i suoi membri e i sindacati industriali di tutta Europa a unirsi per chiedere “un piano industriale forte e proattivo per mantenere e creare posti di lavoro di qualità”. L’iniziativa si terrà due settimane prima della pubblicazione del Clean Industrial Deal, il nuovo pacchetto di misure su industria e transizione che dovrebbe essere varato dalla Commissione Europea il 26 febbraio.

“Non c’è tempo da perdere”, sottolinea il sindacato: “La deindustrializzazione non è più una minaccia, ma una realtà per gran parte dell’Europa”. Ma la deindustrializzazione non è né un destino né una malattia incurabile, è “solo” la conseguenza rimediabile di precise scelte politiche.

Un’industria in crisi: numeri e prospettive

Dal 2008 al 2023, l’Unione Europea ha perso 2,3 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero, di cui quasi un milione solo dal 2019. Recentemente, migliaia di aziende hanno minacciato chiusure, riduzioni della produzione o il congelamento delle attività. Secondo stime, questa crisi potrebbe coinvolgere fino a 4,3 milioni di lavoratori, includendo contratti a breve termine e riduzioni delle ore lavorative.

La crisi non risparmia nemmeno i settori emergenti, considerati un tempo il motore della crescita futura. “Le industrie dei veicoli elettrici e dei motori a combustione interna sono entrambe in difficoltà”, evidenzia IndustriAll Europe, sottolineando che il fenomeno non può essere affrontato dai singoli Stati membri, ma richiede soluzioni a livello comunitario.

Le cause: politiche fiscali e strategie aziendali

Ovviamente IndustriAll Europe critica l’approccio dell’Unione Europea: “In un atto di autosabotaggio, l’Ue sta inasprendo le regole fiscali, e riduce le possibilità di investimento proprio quando ce n’è più bisogno”, denuncia il sindacato citando Mario Draghi come voce autorevole a sostegno di politiche di investimento più flessibili.

Anche le multinazionali sono sotto accusa per strategie di massimizzazione del profitto che comprimono i diritti dei lavoratori e favoriscono la deregolamentazione.

“Un ritorno all'austerità è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno ora - rileva IndustriAll -. La maggior parte dei Paesi in Europa non ha piani industriali nazionali. Di conseguenza, i lavoratori stanno sopportando i costi di una scarsa pianificazione aziendale e governativa. Giustamente, i lavoratori sono furiosi quando vedono che i limitati finanziamenti pubblici a disposizione delle aziende finiscono direttamente nelle tasche degli azionisti e dei dividendi invece di essere investiti in strumenti e tecnologie di produzione decarbonizzati e orientati al futuro”.

Le richieste di IndustriAll Europe

Per contrastare la crisi, IndustriAll Europe ha delineato cinque azioni immediate:

  1. Moratoria sulla rottamazione degli asset industriali e sui licenziamenti forzati: attraverso la creazione di Sure 2.0 per proteggere la forza lavoro e piani negoziati per ogni sito e ogni lavoratore;

  2. Rivedere le regole fiscali per consentire investimenti nelle esigenze sociali e di transizione pulita;

  3. Utilizzare le condizionalità sociali negli appalti pubblici per garantire la domanda e gli investimenti nei siti;

  4. Utilizzo dei fondi di ripresa Ue rimanenti e dell’attuale bilancio Ue (2019-24) per colmare il divario di investimenti;

  5. Azioni volte a garantire la resilienza delle industrie europee, comprese misure per contrastare la sovracapacità globale e il commercio sleale, per garantire gli investimenti nelle industrie in trasformazione dell'Europa.

A lungo termine, il sindacato richiede un vero European Industrial Deal, basato su:

  • Un piano di investimento per il diritto alla formazione e alla transizione giusta;
  • Un’infrastruttura energetica adeguata per l’industria e la vita quotidiana;
  • Maggiore democrazia sul lavoro, con investimenti nella contrattazione collettiva;
  • Buone garanzie di posti di lavoro industriali lungo la catena di fornitura globale: investire in condizioni di parità.

L’ottimismo della Commissione Europea

Ma la lettura della Commissione sembra distante dalla realtà. Nel suo Joint Employment Report pubblicato pochi giorni fa, la Commissione ha definito il mercato del lavoro europeo come “notevolmente resiliente”. Ludovic Voet, segretario confederale della Ces (Confederazione europea dei sindacati), ha contestato l’ottimismo della Commissione: “L’analisi non riflette la realtà vissuta da decine di migliaia di lavoratori che affrontano licenziamenti forzati”, ha affermato. “Mentre le statistiche ufficiali non catturano ancora l’intera portata della crisi, le dimostrazioni in corso, come quelle contro i tagli di posti di lavoro da parte di Audi, mostrano chiaramente la situazione”.

Voet ha inoltre criticato le politiche di austerità e deregolamentazione: “Servono un quadro fiscale che promuova gli investimenti e una direttiva per una giusta transizione. È inaccettabile che i fondi pubblici finiscano nelle tasche degli azionisti invece che essere investiti in tecnologie e produzione sostenibili”.

Verso il 5 febbraio

La mobilitazione annunciata da IndustriAll Europe si propone di inviare un messaggio chiaro alla Commissione: “Non puoi trasformare un'industria che hai già perso, ma insieme possiamo costruire un’Europa resiliente e sostenibile con buoni posti di lavoro per tutti”.