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Le voci dei movimenti sociali inascoltate dai governi alla COP26
Inter Press Service, 11 novembre 2021
La caratteristica che accomuna tutti i vertici sul clima dei movimenti sociali è il rifiuto dei risultati degli incontri ufficiali della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, per le loro limitate ambizioni. Unfccc e la 26^ Conferenza delle Parti non hanno fatto eccezione.
I capi di Stato della Convenzione quadro Unfccc “hanno dato il benvenuto a coloro che hanno provocato la crisi climatica. La Cop 26 non ha fatto altro che fingere un ecologismo d’immagine”, ha detto Mitzi Jonelle Tan, dell’organizzazione non governativa filippina, Youth Advocates for Climate Action, durante l’incontro tenuto nella Glasgow Screening Room, a pochi isolati dalla sala conferenze dove si svolgono i lavori fino a venerdì 12 novembre.
La Cop26 Coalition, il vertice alternativo alla conferenza sul clima, è un insieme eterogeneo di organizzazioni e movimenti che, nei 200 eventi organizzati nella città scozzese con laboratori, forum, rappresentazioni artistiche e proteste, conclusi mercoledì 10 novembre, hanno presentato la loro richiesta comune di compiere uno sforzo reale per combattere la crisi climatica mediante misure concrete e giuste.
Tra le richieste avanzate negli eventi alternativi a Glasgow, volte a esercitare pressione sulle 196 Parti dell’UNFCC, ci sono quella di abbandonare i combustibili fossili, il respingimento di soluzioni cosmetiche all’emergenza climatica, la domanda di una giusta transizione verso un’economia con minori emissioni di carbonio e di compensare e redistribuire i fondi alle comunità indigene e al Sud globale.
Il movimento ha, inoltre, chiesto che le politiche tengano conto della prospettiva di genere e della giustizia climatica e che i maggiori responsabili del cambiamento climatico, le nazioni sviluppate, si assumano la responsabilità e destinino i propri finanziamenti al clima, al rispetto dei diritti dei popoli indigeni e alla fine dell’inquinamento atmosferico.
Gli eventi paralleli dei movimenti sociali si sono tenuti nella città scozzese in forma ibrida, unendo la partecipazione in presenza e a distanza a causa dei problemi logistici e alle limitazioni imposte dalla pandemia di Covid–19, che ha costretto a posticipare di un anno il vertice ufficiale. Gli organizzatori e i partecipanti agli eventi virtuali hanno incontrato difficoltà con la qualità della connessione internet.
Una delle critiche più corali e forti delle organizzazioni ambientaliste e non governative ha riguardato l’esclusione di organizzazioni della società civile dall’America Latina, dall’Africa e dall’Asia, in seguito alla decisione del governo britannico, che ospita l’evento, di modificare i criteri per la partecipazione in base al livello di contagio nei singoli Paesi e alla copertura vaccinale.
Hanno, inoltre, protestato per i vincoli imposti dalla presidenza del Regno Unito della Cop26, sostenuta dall’Italia, sulla presenza degli osservatori delle ong ai tavoli negoziali ufficiali tanto da compromettere la trasparenza del processo di Glasgow, che si sta indebolendo con il passare dei giorni e i cui accordi saranno contenuti nella dichiarazione finale del 12 o 13 novembre, nel caso in cui i negoziati dovessero protrarsi. Il movimento alternativo ha, inoltre, avuto uno spazio formale non ufficiale nella stessa area dei negoziati ufficiali nel centro di Glasgow, nella cosiddetta Cop26 Green Zone.
Soluzioni articolate
Una delle proposte principali ha riguardato il Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili con l’obiettivo di superare l’era del consumo di carbone, gas e petrolio, responsabile principale dell’emergenza planetaria climatica in aumento.
L’iniziativa, che evoca il nome dal trattato contro le armi nucleari, chiede che sia fermata subito l’espansione della produzione di combustibili fossili, prevedendo una riduzione graduale equa e una giusta transizione energetica.
Tzeporah Berman, presidente canadese dell’iniziativa contro i combustibili fossili, ha dichiarato a Inter Press Service che i paesi e le imprese “continuano a investire capitali nell’estrazione di combustibili fossili. È necessario che si facciano sforzi per eliminare gradualmente lo sfruttamento dei combustibili fossili, fermare il loro finanziamento e i sussidi”.
L’idea del trattato è nata nel 2015, con l’appello di leader e Ong degli Stati delle isole del Pacifico, la cui esistenza è minacciata dalla crisi climatica, ed è stata lanciata formalmente nel 2020. Ad oggi, l’idea ha ricevuto in tutto il mondo il sostegno di 750 organizzazioni, di 12 città, di 2.500 scienziati, professori, parlamentari, di leader religioni, di movimenti indigeni e di 100 vincitori premio Nobel.
Le politiche climatiche hanno rappresentato il cuore della discussione della Cop26 che ha riguardato le regole del mercato del carbonio, i finanziamenti per il clima di almeno 100 miliardi di dollari l’anno, il divario tra gli obiettivi di riduzione delle emissioni e la neutralità del carbonio entro il 2050, i piani di adattamento al cambiamento climatico e la piattaforma di lavoro delle comunità locali e delle popolazioni indigene.
Al centro dell’attenzione i popoli indigeni e il tribunale dei diritti della natura
I popoli indigeni, in particolare della giungla amazzonica, sono stati i principali protagonisti dell’ultima edizione del vertice alternativo, con la presenza a Glasgow di almeno 40 attivisti per denunciare le intimidazioni del governo del presidente brasiliano di estrema destra, Jair Bolsonaro, e per chiedere maggiore protezione della foresta fluviale, la cui distruzione potrebbe avere conseguenze devastanti per la salute ambientale dell'intero pianeta.
Cristiane Pankararu, esponente del popolo Pankararu e dirigente dell’Associazione nazionale delle guerriere indigene del Brasile (Anmiga), sostiene che “la nostra richiesta principale è la demarcazione dei nostri territori”. La sua organizzazione appartiene all’Associazione dei popoli indigeni del Brasile, che chiedono di demarcare i territori, soluzioni climatiche basate sulle usanze e sulle pratiche dei popoli indigeni e di investire nella protezione della foresta. L’attività più simbolica del controvertice è stato il quinto tribunale internazionale dei diritti della natura che si è espresso sui casi relativi alle “False soluzioni alla crisi del cambiamento climatico” e all’Amazzonia, "entità vivente minacciata”.
Il tribunale, che si è riunito per la prima volta nel 2014, era composto in questa occasione da sette giudici provenienti da sei Paesi e ha ritenuto nella prima decisione che l'Unfccc abbia sbagliato a non aver saputo affrontare le radici del problema dell'emergenza climatica.
Nella seconda decisione, la giuria, composta da nove esperti provenienti da sette paesi, ha accusato le nazioni sviluppate e la Cina, così come le multinazionali agricole, minerarie e alimentari, di distruggere l’Amazzonia, la più vasta foresta fluviale della Terra, con le attività estrattive.
Nick Dearden, direttore di Global Justice Now, ha elencato tre gravi problemi: il ruolo delle grandi imprese, la protezione della proprietà intellettuale delle imprese e il potere che le imprese hanno nei tribunali internazionali di arbitrato nel fare causa agli stati che vogliono proteggere l'ambiente.
"È un chiaro segnale di come l'economia globale protegga gli interessi delle grandi imprese, specialmente quelle estrattive, e questo non è stato affrontato alla Cop". Tra l’Unfccc e la società civile è prevalso un dialogo tra sordi dal momento che il vertice ufficiale ha ignorato le richieste dei movimenti sociali. Tan ha così denunciato: “Non ci hanno ascoltato. Siamo qui per chiedere azioni. Non abbiamo bisogno di un’altra Cop per risolvere la crisi climatica, abbiamo bisogno di un cambiamento”. Nonostante gli ostacoli, "non smetteremo di partecipare attivamente. Il movimento delle donne si sta unificando. È un processo lento, perché la gente non è abituata ad essere guidata dalle donne", ha detto Pankararu.
Per leggere l'articolo originale: Social Movement Voices Fall on Deaf Ears of Governments at COP26
La Bielorussia sta sfruttando persone disperate. Ma perché Lukashenko può fare questo?
The Guardian, 10 novembre 2021
Non sorprende che un uomo che tratti brutalmente i propri cittadini usi gli altri in modo così spietato. Il presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, ha messo in carcere i dirigenti dell'opposizione ed ha arrestato migliaia di oppositori che lo scorso anno avevano contestato la sua dubbia elezione. Molti oppositori sono stati picchiati e torturati e lo temono persino in esilio.
Ora, in risposta alle sanzioni che l'Unione europea ha adottato contro il suo regime, lui sta “strumentalizzando” le persone vulnerabili. La Commissione europea lo ha accusato di avere un atteggiamento da gangster, incoraggiando le persone provenienti dal Medio Oriente e dall'Africa di arrivare a Minsk facendo credere che sarebbe stato facile entrare nell'Unione europea e portandoli al confine polacco, dove migliaia di persone aspettano. Si racconta che guardie armate abbiano obbligato molte persone ad attraversare il confine, sapendo che sarebbero state respinte. Le parole di un rifugiato siriano riassumono il tutto: “Siamo solo uno strumento per esercitare pressione”.
Le azioni di Lukashenko sono ciniche e deprecabili, ma sono permesse dal cinismo di altri. Migliaia di persone si trovano intrappolate nella zona di confine, con bambini e anziani, senza cibo e rifugio. Otto persone sono morte assiderate nelle recenti settimane e i volontari credono che il numero delle morti sia più alto. Ma la Polonia sta trattando l'arrivo di queste persone disperate non come una crisi umanitaria, bensì come un'invasione. Ha dichiarato lo stato di emergenza sul confine, ha schierato migliaia di soldati e modificato la legge che permette di espellere velocemente, ignorando le richieste di asilo. Progetta di erigere un muro sullo stile di Trump. Ha rifiutato agli osservatori, agli operatori umanitari e ai giornalisti dell'Unione europea di entrare nella zona di confine di 3 chilometri. Mentre la Lituania e la Lettonia hanno accettato l'aiuto dell'Unione europea per gestire gli attraversamenti dalla Bielorussia, la Polonia ha respinto l'offerta. Bloccata nel conflitto sullo stato di diritto con Bruxelles, Varsavia sta sfruttando i migranti per capitalizzare politicamente il sentimento antieuropeo e antimmigrati e sta facendo di tutto per demonizzarli e diffamarli.
L'insieme del blocco europeo ha la sua parte di responsabilità. I rifugiati sono soltanto lo 0,6% su una popolazione di 445 milioni di persone, rispetto alla Turchia dove i rifugiati sono il 4,4% su una popolazione di 84 milioni di persone. Ma il blocco europeo non è stato in grado di raggiungere una strategia comune mentre i paesi dell'Europa orientale chiudono le loro porte, i paesi ricchi del nord Europa rivendicano la superiorità morale mentre accolgono in modo selettivo piccoli numeri di migranti, e i paesi dei punti di sbarco del sud Europa, come la Grecia, dicono che non possono farcela senza un aiuto concreto e danno risposte sempre più punitive. Anche il Regno Unito è sempre più ostile. Il governo sta cercando di riconoscere al personale della Forza di Frontiera l'immunità dalla giurisdizione penale nel caso in cui i migranti dovessero morire mentre respingono le imbarcazioni. Questi atteggiamenti e la relativa retorica non si limitano soltanto a rispondere alle pressioni politiche, ma alimentano il sentimento antimmigrati.
L'Unione europea potrebbe a breve avere ragione sul fatto che, esercitando pressione sulle compagnie aeree per fermare i voli in arrivo in Bielorussia, e avvertendole che andranno incontro a sanzioni, può contribuire nell'immediato a contrastare il fenomeno. Ma non risolverà il problema di fondo, cioè che la guerra e l'insicurezza spingono le persone ad abbandonare le loro case e che molte altre saranno costrette in futuro a lasciare le loro case. È possibile dare una risposta più giusta e più umana in tutto il continente europeo. Gli eventi in corso sono la prova che dare questa risposta è indispensabile.
Per leggere l'articolo originale: Belarus is exploiting desperate people. But why can Lukashenko do this?
Bielorussia: l'opposizione si ricostituisce all'estero
Le Monde, 9 novembre 2021
Il regime di Alexander Lukachenko, al potere da ormai 27 anni, non è mai stato così isolato. Dopo un anno di repressione massiccia contro la rivolta scatenata dalla sua rielezione fraudolenta con l'80% dei voti, nell'agosto 2020, è iniziata una crisi politica che ha reso pressoché impossibile che la protesta assumesse un’espressione politica nell'ex repubblica sovietica. Fuori dai confini bielorussi, invece, sono nate una miriade di organizzazioni dell'opposizione per portare avanti una lotta serrata contro il Lukachenko. Gli oppositori in esilio a Vilnius, Kiev o Varsavia si riuniscono in comitati, costituiscono partiti politici, e hanno una grande rete di attivisti.
I metodi di azione variano: richieste di sanzioni internazionali, documentazione dei crimini del regime.Le modalità di azione sono diverse, vanno dalle sanzioni internazionali, alla documentazione dei crimini commessi dal regime, alla creazione di media alternativi, al lancio di media alternativi e di un fondo di solidarietà per sostenere i compatrioti repressi e all'organizzazione di campagne di boicottaggio. "Esiliando Svetlana Tsikhanovskaya (dirigente dell'opposizione in esilio in Lituania e altri dirigenti delle forze democratiche, Lukashenko si aspettava che queste persone sparissero all'estero", ironizza Anton Rodnenkov, portavoce del Consiglio di coordinamento, piattaforma creata per lo scambio di informazioni tra le varie cellule dell'opposizione nell'agosto del 2020. Le cinquanta persone che fanno parte del Consiglio, alcuni dei quali operano clandestinamente in Bielorussia, rappresentano diversi gruppi professionali (lavoratori, giornalisti, economisti, uomini d'affari, avvocati). Ma per il regime queste forze di opposizione costituiscono un problema vero, perché sono sostenute dalla società, e la società aspetta sempre un cambiamento nel paese. È difficile quantificare questa nuova diaspora sfuggita alla repressione. "È molto complicato”, ammette la politologa Tatsiana Chulitskaya, che risiede a Vilnius, “molte persone hanno lasciato il paese illegalmente, senza registrare la loro uscita. Alcuni oppositori hanno lasciato il paese attraverso la Russia prima di salire su un aereo, per questo motivo non sono inclusi nel conteggio ufficiale”.
Franak Viacorka, consigliere speciale di Svetlana Tsikhanovskaya, stima che vi siano "300.000" esuli su una popolazione di 9.5 milioni di abitanti, compresi "quelli fuggiti in Russia".
L'organizzazione di queste reti è stata creata nel tempo
Nell'agosto del 2020, quando le manifestazioni massicce contro la rielezione di Alexander Lukashenko stavano sconvolgendo il paese, Svetlana Tsikhanovskaya, candidata alle elezioni presidenziali che poteva potenzialmente vincere, è stata arrestata e costretta all'esilio. A Vilnius, poche settimane dopo il suo arrivo, ha riunito una squadra per creare un comitato politico, diventando presto la figura di spicco del movimento democratico bielorusso e viaggiando per incontrare i capi di Stato di tutto il mondo.
Anastasia Kostiugova è tra le attiviste che hanno fatto parte della nuova squadra nel settembre 2020. "Come sono arrivata a Vilnius? Come la maggior parte dei bielorussi", racconta la 29enne responsabile della comunicazione. “Mi sono svegliata una mattina scoprendo che degli agenti mi stavano cercando. Così sono fuggita, senza niente, senza neanche un visto”. Per oltre un anno, il suo lavoro è stato quello di aggirare la propaganda statale e lanciare campagne di comunicazione per sostenere gli sforzi diplomatici dei dirigenti dell’opposizione.
La partenza dalla Bielorussia delle altre figure di spicco del movimento democratico avviene nelle stesse condizioni. Pavel Latushka è un ex alto funzionario, diventato molto popolare dopo essersi opposto al regime per protestare contro la violenza, anche lui ha lasciato la Bielorussia per andare a Varsavia. L'incontro tra l'ex ministro della cultura ed ex ambasciatore a Parigi, e Svetlana Tsikhanovskaya avverrà più tardi, a Vilnius, nell'autunno del 2020, quando Pavel Latushk decide di lanciare la sua cellula, il Comitato Nazionale Anti-Crisi. Elena Zhivoglod è un attivista di 30 anni che partecipa all'incontro dopo essere stata in esilio, aderisce all'iniziativa come coordinatrice della nuova struttura.
Sostenere coloro che sono rimasti nel paese
Elena Zhivoglod spiega che il comitato di gestione anticrisi persegue due obiettivi: "Porre fine alla presidenza di Alexander Lukashenko e dare stabilità al paese dopo il trasferimento del potere”. La squadra, composta da esperti, economisti e avvocati, sta lavorando su piani di riforma in diversi settori chiave, come l'economia, la finanza e il sistema giudiziario. “Prepariamo liste contenenti sanzioni", spiega la coordinatrice, “presentiamo prove sul coinvolgimento delle autorità nei crimini commessi. Prepariamo documenti descrittivi”. Una parte importante del lavoro consiste nel sostenere gli attivisti che rimangono in Bielorussia. “Non c'è possibilità di affermare la libertà nel paese movimenti interni", dice Elena Zhivoglod. Ma oggi i rischi sono molti. Si può andare in prigione postando un commento su Facebook”. Franak Viacorka ammette di essere in comunicazione con gli attivisti "sul posto", anche nei comitati per lo sciopero istituiti nelle fabbriche del paese. “Saremo noi e loro a indicare quando la gente sarà pronta a scioperare”.
Molte organizzazioni della società civile hanno lasciato il paese per trasferirsi all'estero. A livello locale sono nate altre organizzazioni che sono la maggioranza. Tra queste, Bysol è la piattaforma che raccoglie donazioni e fondi su un sito web. "Lavoriamo con specialisti di diversi settori della società", spiega Andrei Strijak, regista. In poco più di tredici mesi, la piattaforma Bysol ha iniettato "circa 4 milioni di euro" in varie iniziative di solidarietà.
Il transito del denaro nel paese avviene in criptovalute, "in modo che il regime non possa impossessarsene", per rispondere ad obiettivi diversi, che vanno dal sostegno ai prigionieri politici e alle loro famiglie,all'aiuto alle comunità di quartiere, all'assistenza ai dipendenti licenziati per motivi politici. “L'altra missione importante è l’evacuazione di persone accusate di reati penali", aggiunge con orgoglio. “Possiamo trasferirli molto rapidamente!”
Raccogliere dati per la giustizia internazionale
L'organizzazione Bypol è stata fondata da un gruppo di giovani che lavorano da anni nel paese ed aiuta a fare uscire le informazioni riservate. Bypol è un'organizzazione fondata da ex poliziotti per protestare contro la violenza del regime. Questi funzionari risiedono a Varsavia, hanno ancora importanti contatti all'interno dei servizi e raccolgono tutti i dati destinati alla giustizia internazionale sulle violenze commesse dal regime. La maggior parte di queste strutture ha sede a Vilnius.
Questa scelta si spiega con la presenza dell'ufficio di Svetlana Tsikhanovskaya e con il sostegno delle autorità lituane al movimento democratico. Alcuni di loro sono organizzati per settore, ad esempio, il Consiglio bielorusso per la cultura che "sostiene e aiuta le figure della cultura bielorussa represse dal regime". Se un musicista viene arrestato, assumiamo un avvocato e lo paghiamo", dice il direttore delle operazioni, Alexander Chahovski.
La Belarusian Sport Solidarity Foundation (BSSF), anch'essa ha sede a Vilnius, sta lavorando per aiutare gli atleti. Dal lancio dell'iniziativa nell'agosto del 2020, "abbiamo aiutato più di 100 persone, forse 130", racconta il suo fondatore, Alexander Apeikin. Come le altre organizzazioni di solidarietà, mira a "proteggere coloro che hanno perso il loro lavoro, i loro salari. Molti di loro hanno anche dovuto lasciare il paese”.
L'ultimo obiettivo, ma non per questo meno importante, è indebolire la reputazione del governo bielorusso. Dopo una lunga campagna di boicottaggio lanciata da diversi comitati dell'opposizione, lo scorso gennaio siamo riusciti ad annullare il campionato mondiale di hockey in Bielorussia”, racconta il presidente della Bssf, che annuncia la cancellazione di “altri cinque eventi sportivi”.
Per leggere l'articolo originale: Biélorussie: l’opposition se reconstruit à l’extérieur
Le forze di sicurezza sudanesi lanciano gas lacrimogeni contro i manifestanti
Al Jazeera, 7 novembre 2021
Le forze di sicurezza sudanesi hanno arrestato decine di manifestanti e lanciato gas lacrimogeni in diverse manifestazioni organizzate contro il colpo di stato mentre i manifestanti rispondevano all'appello della campagna di scioperi e di disobbedienza civile contro il colpo distato militare dello scorso mese. Domenica, centinaia di manifestanti si sono ritrovati nella capitale di Khartum, e in altre grandi città, come Omdurman, Wad Madani nel sud e nella città settentrionale di Atbara.
I militari sudanesi, guidati dal generale Abdel Fattah Al Burhan, hanno preso il potere il 25 ottobre scorso, sciogliendo l'amministrazione transitoria e arrestando decine di funzionari governativi e politici. La comunità internazionale ha intensificato gli sforzi diplomatici per trovare una via di uscita alla crisi che minaccia di destabilizzare ulteriormente la regione del Corno d'Africa già in crisi.
Le proteste per la democrazia hanno avuto luogo dall'inizio del colpo di stato del 25 ottobre, ma, secondo il Comitato Centrale dei medici sudanesi indipendenti, hanno incontrato una repressione mortale. Almeno 14 manifestanti sono stati uccisi e quasi 300 sono stati feriti.
Il sindacato degli insegnanti ha riferito, domenica, che le forze di sicurezza hanno utilizzato gas lacrimogeni nei pressi dell'edificio del ministero dell'Educazione per interrompere un sit-in che si oppone a qualsiasi tipo di consegna del potere a militari e che sono state arrestate 87 persone.
Mohamed Al Amin, insegnante di geografia, ha detto all'agenzia stampa Associated France Press: “Abbiamo organizzato un'opposizione silenziosa contro le decisioni del generale Al Burhan all'esterno del ministero dell'Educazione”. “La polizia è intervenuta lanciando gas lacrimogeni contro di noi, nonostante stessimo manifestando in silenzio con cartelloni nelle strade”.
La polizia ha usato gas lacrimogeni per interrompere le proteste anche nel quartiere Burri di Khartum e lungo il fiume che scorre nell'area Ombada di Omdurman. La manifestazione degli insegnanti è stata organizzata in seguito alla decisione dei militari di sostituire i capi dipartimento del ministero dell'educazione, come parte dei cambiamenti radicali introdotti in numerosi settori.
Il sindacato degli insegnati ha scritto in un post su Facebook: “La protesta si oppone al ritorno di quanto rimane del vecchio regime” del deposto presidente Omar Al Bashir.
Le manifestazioni di domenica sono state una risposta agli appelli di disobbedienza civile lanciati dall'Associazione Sudanese dei Professionisti, gruppo di cui fanno parte i sindacati e che è stato determinante nelle proteste del 2018 – 2019 per la caduta del longevo presidente Al Bashir nel 2019.
“Il popolo sudanese ha respinto il colpo di stato militare”, ha scritto su twitter l'Associazione Sudanese dei Professionisti, impegnandosi a “non negoziare, non entrare in nessun partenariato, non legittimare” le forze di sicurezza ed esortando i manifestanti ad evitare lo scontro con le forze di sicurezza.
L'Associazione Sudanese dei Professionisti ha diffuso gli ultimi appelli tramite messaggi di testo per bypassare le interruzioni della rete Internet che si sono verificate dall'inizio del colpo di stato.
I manifestanti hanno ammassato alla fine di sabato mattoni e grandi lastre per bloccare le strade di Khartoum e delle città vicine.
Secondo le testimonianze, alcuni negozi sono rimasti aperti domenica mattina, ma altri hanno chiuso a Khartoum e nelle città grandi di Omdurman e Khartoum Nord.
In alcuni ospedali il personale medico ha lavorato normalmente, mentre altri ospedali hanno scioperato. La giornalista, Hiba Morgan di Al Jazeera, ha detto da Khartum che molte barricate costruire dai manifestanti per bloccare la circolazione nella capitale sono state smantellate dalle forze di sicurezza e dai civili.
"Per i manifestanti le barricate sono diventate il simbolo della resistenza alla presa del potere dei militari". L'ultima azione di resistenza è stata organizzata quasi due settimane fa, quando Al Burhan ha deciso di sciogliere il governo e il Consiglio sovrano congiunto di militari e di civili che avrebbe dovuto guidare il paese verso un governo interamente civile.
Al-Burhan ha dichiarato, inoltre, lo stato di emergenza e ha arrestato i dirigenti civili del Sudan. Il primo ministro Abdalla Hamdok è stato detenuto per breve tempo, ma poi è stato messo agli arresti domiciliari. La televisione di stato ha riferito che Al Burhan ha incontrato una delegazione della Lega Araba, ma non ha fornito ulteriori dettagli. La Lega Araba, che ha invitato i partiti sudanesi a seguire la transizione democratica dopo la presa delpotere da parte dell'esercito ha detto, sabato, che avrebbe inviato una delegazione di alto livello a Khartoum.
I militari hanno rilasciato quattro civili del governo, ma restano in carcere altre figure chiave. Le forze di sicurezza hanno arrestato, nello stesso giorno, altri dirigenti civili nei pressi di un edificio delle Nazioni Unite a Khartoum, dopo aver incontrato il rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Sudan Volker Perthes, che ha dichiarato venerdì: "Chiediamo alla leadership militare di liberare i politici e gli attivisti arrestati e di porre fine alle violazioni dei diritti umani".
La presa del potere da parte dei militari ha scatenato una condanna internazionale, la risposta della comunità internazionale include tagli agli aiuti e richieste di ritornare rapidamente al governo civile.Al-Burhan insiste nel dire che "non è stato un colpo di stato" ma un intervento per "rettificare il cammino della transizione". La giornalista Morgan di Al Jazeera ha informato che i manifestanti ora chiedono il ritiro completo dell'accordo di condivisione del potere firmato nel 2019 tra l'esercito e i dirigenti civili.
Questi ultimi "dicono che vogliono che l'esercito torni nelle caserme e non svolga alcun ruolo nel governare la politica del paese". "Gli sforzi della diplomazia per cercare di colmare il divario tra il primo ministro Abdalla Hamdok e la coalizione civile da una parte, e l'esercito dall'altra, non hanno ancora prodotto alcun risultato", ha aggiunto la giornalista. All'inizio di questa settimana, Nureldin Satti, ambasciatore del Sudan negli Stati Uniti, ha detto al programma UpFront di Al Jazeera che il colpo di stato "non può continuare con la mobilitazione che abbiamo visto e che vedremo nei prossimi giorni e settimane".
Per leggere l'articolo originale: Sudan security forces fire tear gas at anti-coup protesters
Un anno dopo
The Economist, 6 novembre 20221
Due dei migliori libri dedicati a George Washington condividono il titolo: “The impossible Presidency”. Jeremi Suri scrive in uno dei suoi recenti libri che persino i presidenti più capaci sono destinati a fallire: “Quanto di meglio possiamo aspettarci è limitare il fallimento e realizzare alcuni risultati buoni lungo la strada”.
Joe Biden sta naufragando anche rispetto a questi standard minimi. Avendo ricevuto più voti di qualsiasi altro presidente nella storia, ha visto crollare i suoi consensi. Soltanto Donald Trump era diventato più impopolare a questo punto del mandato. I Democratici hanno perso le tre cariche più alte nello Stato della Virginia, dove Biden ha vinto un anno fa con 10 punti percentuali di differenza. Questo non è un buon auspicio per le elezioni di metà mandato del prossimo anno. Il suo partito rischia di perdere la maggioranza al Congresso.
I Democratici al Congresso sono afflitti da scontri tra fazioni. All’inizio di quest’anno hanno approvato un grande pacchetto di aiuti, ma il resto del programma di Biden, il pacchetto di aiuti alle infrastrutture da un trilione di dollari e la legge sulla spesa sociale da 1.7 trilioni di dollari in dieci anni, entrambi condivisi, si è arenato. Se la legge sarà approvata di sicuro destinerà più danaro alle infrastrutture, un credito di imposta per i figli, finanziamenti per la scuola materna, una riduzione del costo dei medicinali prescrivibili e un credito d’imposta per l’energia pulita che incoraggerà gli investimenti privati a generare elettricità nuova. Questa spesa sarà probabilmente finanziata da modifiche negative del fisco, ma agli elettori potrebbe non interessare. Il loro umore potrebbe risollevarsi il prossimo anno. I casi di contagio da Covid – 19 si sono dimezzati da settembre. Se la disoccupazione dovesse scendere ulteriormente, i problemi delle catene di forniture attenuarsi e l’inflazione diminuire, la vita diventerebbe più facile per coloro che avvertono che le difficoltà sono tutte contro di loro. Eppure, le buone notizie finiscono qui per Biden.
Alcuni dei problemi che affronta Biden sono problemi insiti alla politica americana. La politica americana dipende da modelli più simili alle leggi della fisica che alla possibilità di vincere la corsa ai cavalli. Un problema è che il partito del presidente perde seggi a metà mandato. I Democratici hanno solo quattro seggi alla Camera dei Rappresentanti, quindi la loro maggioranza è probabilmente compromessa. Qualunque cosa faccia Biden, è probabile che la fase legislativa della sua presidenza ceda il passo alla fase regolamentare. Tuttavia, con una maggioranza conservatrice nella Corte Suprema, il suo margine di manovra per rifare il paese con la penna e il telefono sarà ridotto. Le prospettive per i Democratici sono ancora più cupe dopo il prossimo anno.
L’impopolarità dei Democratici presso la popolazione bianca che non ha ricevuto un’istruzione al college è presente in molte regioni del paese fuori dalle città e dalle periferie. La Camera dei rappresentanti e il Senato per vincere hanno bisogno di una percentuale di voti più alta di quella ricevuta storicamente da altri partiti. Vincere in queste condizioni, mentre si riparano le istituzioni nazionali e si realizzano progressi rispetto ai problemi dell’America, problemi che vanno dalla salute pubblica alla mobilità sociale, è un compito che richiede talenti sovraumani per un politico.
Biden non è quel tipo di politico. Ha superato le sue disgrazie personali in modo ammirevole e, secondo molti, è una persona gentile e dignitosa. Eppure, c’è un motivo se la vittoria per la presidenza gli ha richiesto più di trent’anni di tentativi. Gli elettori delle primarie americane lo hanno scelto non perché trovassero in lui ispirazione, ma per fermare il campione dei progressisti, Bernie Sanders.
Biden ha condotto la sua campagna presidenziale incentrata sulla competenza, sullo schieramento politico di centro e sull’esperienza di politica estera e sul rifiuto del trumpismo nevrotico. Ma il ritiro dall’Afghanistan è stata una debacle, ha governato a sinistra e le guerre culturali imperversano più ferocemente che mai.
Il fatto che nessun elettore sembra avere un’idea su che cosa ci sia nei disegni di legge in materia di infrastrutture e di spesa sociale è, in parte, colpa sua.
La povertà infantile è diminuita di un quarto, grazie alla legge approvata dal Congresso durante il suo mandato. Questa è una notizia persino per la maggior parte dei Democratici. Il problema, però, non riguarda solo Biden. La sinistra del suo partito, attivisti istruiti al college, ritiene che l’elettorato abbia le loro stesse attitudini riguardo all’etnia e al ruolo del governo. Lo Stato della Virginia è l’esempio recentissimo di questa follia. L’America è un giovane paese molto diverso. L’età media è al di sotto dei 40 anni e il 60% del paese si identifica nell’etnica bianca. L’elettorato è composito. Prendendo come riferimento le elezioni di metà mandato del 2018 e del 2014, il 75% della media degli elettori che parteciperanno alle elezioni di metà mendato il prossimo anno saranno elettori bianchi di età pari a 53 anni. I Democratici hanno un vantaggio grande tra i laureati al college.
Ma soltanto il 36% degli americani si è laureato. È una base elettorale troppo piccola, soprattutto se i Repubblicani si fanno strada tra gli elettori non bianchi.
Quando Richard Noxon vinse le presidenziali nel 1972, i Democratici della nuova sinistra furono raffigurati come il partito dell’“acido, dell’amnistia e dell’aborto”. La nuova sinistra è altrettanto facilmente raffigurata come il partito dei bianchi, della gente che dice “partoriente” anziché “madre” e vuole che l’FBI segua i genitori che criticano gli insegnanti. Questi attivisti rumorosi, e l'esiguo numero di radicali che elegge i democratici da seggi elettorali sicuri, rendono difficile la vittoria per il partito nelle aree più moderate, anche se non rappresentano la maggioranza degli elettori del partito. Gli attivisti immigrati sono accampati fuori dalla residenza del vicepresidente e criticano Biden per non aver cambiato la politica delle frontiere di Trump. Invece, gli elettori democratici di Minneapolis, dove George Floyd è stato ucciso, hanno appena votato contro la sostituzione del dipartimento di polizia con un dipartimento di pubblica sicurezza.
Contrastare il messaggio repubblicano secondo cui Biden esegue le richieste della sinistra radicale richiederà a Biden di dare una risposta più dura alla frangia del suo partito. Questo potrebbe voler dire che Biden potrebbe fare cose che loro odiano. Potrebbe fare una campagna per assumere più agenti di polizia nelle città dove il tasso di omicidi è aumentato (forse potrebbe "rifinanziare la polizia"), o litigare con il consiglio scolastico di San Francisco, che pensa che Abraham Lincoln sia il simbolo della supremazia bianca.
Se i democratici credono che i tentativi peggiori per conquistare il potere siano presenti tra di loro, allora dovrebbero guardare cosa sta succedendo nel Partito Repubblicano. L'elezione di Glenn Youngkin a governatore della Virginia suggerisce che i Repubblicani possono vincere negli stati degli elettori indecisi anche con Trump a capo del partito, dal momento che sono guerrieri festosi della cultura reaganiana che sanno come lanciare carne rossa per sfamare la base. Nella corsa di due candidati per la presidenza, entrambi hanno quasi sempre una reale possibilità di vincere. Biden e il Partito democratico devono riflettere bene su cosa sono pronti a fare per limitare il rischio che Trump possa ritornare per altri quattro anni. Perché a questo potrebbe portare il fallimento della presidenza Biden.
Per leggere l'articolo originale: One year on