Aiuti bloccati al confine, generi alimentari fermi, altri beni di primissima necessità sottratti a chi ne ha bisogno. E nel magazzino della Mezzaluna Rossa in Egitto attrezzature fondamentali respinte indietro: bombole di ossigeno, desalinizzatori, generatori di elettricità, financo incubatrici per neonati, ausili per disabili, ambulanze dotate di strumenti medici e sanitari pronti all’uso.

Nella missione a cui ha partecipato, interrotta al valico di Rafah, Andrea Maestri è stato testimone diretto di una situazione drammatica, quella della gestione degli aiuti umanitari. Avvocato per i diritti umani, scrittore, già deputato nella XVII legislatura, dall’esperienza della Carovana solidale ha scritto un volume edito da Left Il penultimo respiro di Gaza, dopo un anno di guerra e di intensi bombardamenti israeliani.

Maestri, perché lo ha definito il penultimo respiro?
È un titolo che non vuole chiudere definitivamente la porta alla speranza e a una pace che sia giusta e che riconosca il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. Il libro racconta e celebra la resilienza di questo popolo, che ha attraversato decenni di conflitto, la gravissima crisi umanitaria, la violenza dei coloni in Cisgiordania. E nonostante tutto vedo uno straordinario attaccamento alla vita, tenacia, resistenza. Questo respiro che sta vivendo non è l’ultimo, convinto che questo popolo si possa ancora salvare.

In Italia non si può neppure pronunciare la parola genocidio, lei invece parte da questo assunto. Il sottotitolo è eloquente: il diario del genocidio in corso, il racconto e la denuncia dei diritti umani violati, la riflessione sulle responsabilità e sulle azioni di resistenza possibili.
Ma non lo sostengo solo io. Lo stanno dicendo i massimi organismi della giustizia internazionale. Ci sono tre ordinanze emesse dalla Corte internazionale di giustizia che parlano di rischio plausibile di genocidio. E gli elementi a supporto sono tantissimi, a partire dal numero delle vittime che a oggi sono 41 mila. Il 65 per cento sono donne e bambini, una percentuale rovesciata rispetto ai normali conflitti.

Poi constato che Israele quando vuole colpire in modo chirurgico target precisi lo sa fare, come è successo con l’uccisione del capo di Hamas. Invece colpisce in modo indiscriminato scuole e ospedali. Se si ascoltano le dichiarazioni del ministro della Difesa israeliano Gallant, poi, si capisce che le intenzioni sono quelle.

A proposito di dichiarazioni, lei fa un focus proprio sul linguaggio usato e sull’informazione. A quali conclusioni arriva?
Sono elementi essenziali di questo conflitto. Sul campo sono morti tantissimi giornalisti, così come personale sanitario, operatori umanitari e dell’Onu. Secondo alcune testimonianze i giornalisti sono target privilegiati in questa guerra: molti hanno più fori di proiettile, questo vuol dire che li hanno colpiti con l’intento di ucciderli. Il sistema dell’informazione mainstream fa una ricostruzione estremamente parziale, limitata e unilaterale del conflitto, come se ci fossero due entità belligeranti messe sullo stesso piano.

E invece?
In realtà da una parte della trincea ci sono i palestinesi che vengono massacrati e distrutti. La mancanza di un’informazione reale e competa su quello che sta accadendo a Gaza rappresenta un grandissimo problema per la formazione di un’opinione pubblica consapevole. Ne faccio una questione di democrazia, e di esigibilità da parte dei cittadini di un’informazione corretta e pluralistica, lo prevedono le leggi. Ma da noi in questo il servizio pubblico è omissivo.

Che cosa pensa di questo allargamento del conflitto in Medio Oriente?
Penso sia un azzardo pericolosissimo, un allargamento che rischia di incendiare tutto il Medio Oriente, con pericoli per tutti.

Chi è Muhammad a cui è dedicato il libro e un capitolo?
Un bimbo di 11 anni che vive nella Striscia di Gaza con mamma, papà e altri sette fratelli e ha una grave disabilità. Ha bisogno di cure e le sue condizioni si sono aggravate a causa di una denutrizione dovuta alla difficoltà di reperire cibo. Sto cercando di inserirlo in una lista per un’evacuazione sanitaria, la Asl Romagna si è impegnata a farsene carico per le cure. Se riusciremo, con l’aiuto del ministero degli Esteri, Muhammad potrà accedere alle terapie di cui ha bisogno, insieme all’assistenza che viene garantita ai rifugiati.