Più e più volte è stata data la notizia di una crescita esponenziale negli ultimi tempi e nel 2024 della spesa in armi, a livello globale. L'Osservatorio Mil€x, analizzando la legge di Bilancio del governo Meloni, ci ha fatto sapere che nel 2025 le spese militari in Italia saliranno a 32 miliardi, di cui 13 per nuove armi.

Tutto ciò in un panorama nel quale le guerre perdurano e si espandono e si sa che è il commercio di armi che alimenta le guerre, come viceversa, un circolo perverso. È vero anche che già nei primi mesi dell’anno le industrie di armi hanno registrato risultati record, un’impennata che aveva preso la rincorsa con l’inizio della guerra in Ucraina e poi con il conflitto mediorientale. 

Come è stato scritto anche su un quotidiano italiano si può così comprendere il motivo per il quale, nonostante tre anni di una guerra impegnativa e costosa per l’Europa e gli Stati Uniti e un nuovo conflitto iniziato 15 mesi fa, le borse non abbiano subito alcun crollo clamoroso

Non è difficile giungere alla conclusione che le guerre comportano un sanguinoso giro di affari finanziari che vede complici gli Stati. I contraccolpi borsistici sono stati avvertiti dalle industrie impegnate nella difesa solamente nei casi in cui gli eventi paventano uno stop, ad esempio, del rifornimento di armi all’Ucraina. Basti pensare al crollo in borsa del titolo di Leonardo lo scorso settembre, dopo essere arrivati a guadagnare il 206% dall’invasione del Donbass da parte della Russia, a causa, pare, anche dalla presunta volontà della Germania di tagliare i viveri all’Ucraina. 

Per questi e altri motivi molti cittadini, in Italia e nel mondo, continuano a scendere in piazza per chiedere il cessate il fuoco per tutti i conflitti e lo stop alla produzione e al commercio di armi. Gli argomenti sono ben sostenuti nelle voci che abbiamo raccolto in una delle ultime manifestazioni che si sono tenute a Roma, organizzata dalla Campagna Sbilanciamoci!, Greepeace, Rete italiana pace e disarmo e Fondazione Perugiassisi. La voce che ascoltiamo è quella di Luisa Morgantini, attivista e già europarlamentare