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Il nuovo corso del conflitto israelo-palestinese, con la sua estrema violenza, sta dando luogo a una serie di quesiti che riguardano non solamente Tel Aviv e Gaza, ma anche il quadro mediorientale e internazionale. La complessità della situazione e delle relazioni in campo rendono difficile dare risposte nette e definitive, che possono invece fornirci gli analisti internazionali. Per questo abbiamo intervistato Francesco Strazzari, docente di Relazioni internazionali alla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa.
Per l'attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre si è parlato di 'effetto sorpresa': quanto può essere reale questa espressione se applicata a un Paese che in materia militare e di intelligence risulta da sempre essere potente?
Dal punto di vista della fase politica siamo in un momento in cui l'Amministrazione americana, prima con Trump e poi con Biden, ha lavorato più che sul cuore del conflitto in quanto tale tra Israele e i palestinesi, sul quadro diplomatico mediorientale più ampio, avvicinando a Israele gli stati arabi periferici (mi riferisco all'Arabia Saudita in primo luogo) e cercando di creare le condizioni perché la questione israelo-palestinese diventasse meno intrattabile. Questa strategia evidentemente incontra ora un colossale stop, mostrando il fiato corto anche per aver contribuito a deflettere l'attenzione rispetto a ciò muove sotto l'Occupazione.
Vale a dire?
Netanyahu ha governato perpetrando l'illusione di un forte meccanismo di deterrenza e poggiando sull’idea che a Gaza non si muovesse nulla, ovvero che Hamas fosse pronto ad accettare qualche miglioramento delle condizioni di vita a Gaza all'ombra degli accordi che gli americani andavano predisponendo anche in vista delle loro elezioni dell'anno prossimo. Questa è stata una strategia di dissimulazione da parte di Hamas, che in qualche misura faceva comodo al governo israeliano, che include l'estrema destra. Nel frattempo l'attenzione di tutti era rivolta alle violenze nei territori della Cisgiordania dove l'autorità palestinese, che amministra, si trova sempre più nell’angolo, e gode di debole consenso. .
È in questo quadro che nasce l'elemento sorpresa?
Nel momento in cui si radica l'idea che a Gaza tutto proceda come prima e non ci siano forti motivi di allerta, Hamas invece colpisce con la durezza e la capacità militare che ha mostrato. Noi non abbiamo prove, e anche l'esercito israeliano ci dice di non avere prove, di un diretto coinvolgimento per esempio dell'Iran nell’azione militare, anche se quello che abbiamo visto, droni e tecnologie montate sull'attrezzatura impiegata per silenziare e accecare il dispositivo di sorveglianza, ci fanno pensare che difficilmente Hamas da solo sarebbe stato in grado.
L'Iran, quindi, è il primo sospettato...
Ora non è del tutto chiaro in che misura all'Iran convenisse, ma il colpo più duro ricevuto da Israele negli ultimi 50 anni è qualcosa che sicuramente entra nel quadro nel quale l'Iran non può essere considerato neutrale e distante. Al punto che immediatamente Hezbollah, che è il primo e più diretto filo che conduce a Teheran, ha dichiarato di non essere per nulla neutrale, iniziando a dare segnali di ostilità attraverso la frontiera Nord di Israele.
Quale è allora il ruolo del regime degli ayatollah?
Esiste un livello di raccordo tra il fronte della resistenza (così viene definito), ovvero Hamas, la Jihad Islamica e ovviamente Hezbollah, ed esiste invece un rapporto diretto coltivato tra queste organizzazioni e Teheran. Da questo punto di vista il rapporto tra Hamas e Theran non è lo stesso di Hezbollah e Teheran, che è molto più indiretto. Hamas fa parte politicamente di un'altra costellazione, che è quella della Fratellanza islamica: questo filo ci porta più a Doha e ad Ankara, ovvero all’alleanza fra Qatar e Turchia: una storia politica diversa da quella del mondo sciita, semmai genealogicamente legata, ad esempio, alle dinamiche egiziane.
Il quadro è molto complesso, come possiamo riassumerlo?
È plausibile un coinvolgimento indiretto dell'Iran, dietro la coltivazione della fase politica, sicuramente ci sono i tweet dell’ayatollah Khamenei da Teheran, che lunedì scorso, con il consueto tono roboante, raccontavano della sconfitta di chi scommette sulla Arabia saudita e della fine dell'entità sionista. Tuttavia, da qui a provare un’orchestrazione diretta da parte dell'Iran mi sembra un passo azzardato. Quello che è certo è che Hamas ha avuto buon gioco con questo governo israeliano nel creare condizioni di ombra e silenzio all’interno delle quali operare indisturbato sino ad abbattere la barriera entro la quale sino a ora era stata confinata la sua forza militare. E’ la fine di questo elemento di deterrenza che crea un effetto-panico, perché gli israeliani si chiedono se questo sia stato un clamoroso errore, oppure l’inizio di una fase nuova nella quale non si può più contare sulla deterrenza militare. Il fatto che, abbattuta la barriera e dimostrata la propria capacità militare, i miliziani si siano dati al massacro indiscriminato e al terrore cieco, rende ancora più acuta questa percezione.
C'è poi la situazione politica interna di Israele: quanto può fare gioco l'operato di Hamas a Netanyahu, o ad altre forze di destra?
Se guardiamo la stampa israeliana mi sembra che il tono sia abbastanza clamorosamente unanime nel rilevare le durissime e profonde criticità dell'operato del governo, tanto che l’esecutivo di Netanyahu è stato costretto fin dal primo momento ad allargare la sua base verso una coalizione ampia, per cercare una base di consenso nella difesa davanti a questo attacco inaudito. Questo in qualche modo ribilancia l’esecutivo lontano da quella polarità estremamente divisiva che era stata raggiunta nel quadro della politica domestica. .
Una divisione provocata dal governo in carica...
Ricordiamo anche che Hamas ha capito che si avvicinavano le condizioni politiche per provare questa operazione anche perché la politica israeliana negli ultimi mesi ha dato un segno di divisione profondissima con mesi di manifestazioni contro la riforma della Giustizia voluta da Netanyahu, fondamentalmente per assolvere se stesso, trovando anche dissenso all'interno del governo. Il ministro della Difesa dichiara che oggi le regole della guerra sono cambiate e decide il blocco totale a Gaza e parlando di ‘animali’ senza di fatto distinguere Hamas dai givili e senza concedere vie di fuga, ma anzi bombardando il varco con l’Egitto, in quello che si annuncia a tutti gli effetti un crimine di guerra. Si tratta dello lo stesso ministro che era stato licenziato dal premier non più tardi di marzo, salvo essere poi riassunto un paio di settimane dopo. Sono divisioni di un governo che ha lasciato mano libera alla violenza dei coloni in Cisgiordania, del tutto disinteressato da quello che accadeva nella striscia di Gaza al punto di sguarnirla militarmente, concentrando gran parte delle brigate delle forze per l'appunto in Cisgiordania.
Parla di fratture che in questa situazione potrebbero fare cadere il governo?
Oggi ci troviamo davanti a un governo diverso e possiamo pensare che, nella misura in cui la guerra sarà lunga e sanguinosa, Netanyahu proverà a capitalizzare la sua indispensabilità - non può permettersi di far cadere un governo in questo momento -, ma il j’accuse dei parenti delle vittime scuote Israele. La memoria dei cittadini israeliani, l'indignazione per quello che hanno subito, l'assenza di soccorsi, le ore tragiche di questi giorni, sono qualcosa che non andrà via e da questo punto di vista è davvero un ‘11 settembre’ della società israeliana, un ripensamento di tutto il modello che è stato utilizzato. Ora la domanda che ci si pone, e alla quale è molto difficile rispondere, è se si tratta di una risposta che ricalca le stesse linee del passato, se c'è qualcosa che ci porterà in una fase nuova anche dal punto di vista politico, o semplicemente se è l'approfondimento della via verso il baratro, la stessa percorsa finora da Netanyahu.
In Europa intanto è in corso una guerra che vede coinvolta la Russia e ha origine anche dal mutare degli equilibri internazionali: possiamo tracciare un percorso che tenga tutto insieme?
Venerdì, un giorno prima di questa operazione militare, sui cieli della Siria dove Israele opera contro l'Iran, la Turchia è entrata in linea di collisione con gli Stati Uniti, allorquando alcune missioni con i droni contro le forze curde nel nord-est la Siria si sono avvicinate troppo ai dispiegamenti statunitensi nella zona. Gli americani hanno sostenuto la forze democratiche siriane (SDF) a guida curda contro le milizie dello Stato Islamico che la Turchia invece tollerava a Kobane. A questo giro gli americani hanno abbattuto un drone turco, che è un evento piuttosto eccezionale trattandosi di due principali eserciti alleati nella Nato. I turchi hanno reso chiaro che questo non li avrebbe fermati minimamente, hanno continuato a bombardare.
Cosa ci dice questo episodio?
Questo ci segnala che ci sono forti tensioni lungo le propaggini dell’Europa anche tra gli alleati, anche per il ruolo sempre più smaccatamente smarcato della Turchia, il cui espansionismo respira anche nell’avanzata azera contro gli armeni, con tanto di pulizia etnica nel Nagorno Karabakh; possiamo parlare del fatto che la Turchia al pari del Qatar ha un ottimo rapporto con Hamas, perché non solo riceve i suoi leader e fornisce passaporti, ma ha un’interlocuzione tale che gli Stati Uniti, il giorno dopo l’abbattimento di cui sopra, hanno dovuto chiamare i turchi per chiedere un ingaggio sulla questione della de escalation tra israeliani e Hamas e sulla sorte degli ostaggi. Questa mediazione pare essere fallita. Il Qatar, del resto, è mediatore per antonomasia, lo stesso paese che ha ospitato i negoziati con i talebani La Turchia, poi, come Israele non ha applicato le sanzioni per la Russia: le guerre qua si toccano, inanellandosi una sull’altra.
E arriviamo così alle interazioni con la guerra in Ucraina...
Certo gli ucraini hanno molto da perdere, anche da un punto di vista delle risorse. L'apertura di questo fronte, soprattutto nella misura in cui dovesse espandersi con il plausibile intervento di Hezbollah (che ha molti più missili di Hamas) e il coinvolgimento magari iraniano, sottrarrebbe energie politiche e anche munizioni che sono destinate all’Ucraina, in una fase difficile in cui abbiamo a breve le elezioni europee e quelle statunitensi, in cui le forze sovraniste e dell'estrema destra sono in fase di crescita, persino in Germania, che fino a oggi è stato un po' un baluardo contro la crescita del populismo di destra che attecchisce e governa anche in Italia. Un quadro difficile in cui è necessaria una capacità di lettura di quello che avviene lungo le frontiere europee così come al cuore dell’Europa, per capire la misura nella quale saremo coinvolti e quale ruolo possiamo avere.