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L’Auser ha aderito all’iniziativa di solidarietà con il popolo curdo da parte dell’Arci e di Uoki, l’ufficio d’informazione per il Kurdistan in Italia. RadioArticolo1 ha intervistato sull'argomento il presidente dell’associazione Enzo Costa. “Da sempre, siamo una comunità naturalmente solidale, impegnata sul tema della pace, della legalità, della non violenza, della tutela delle persone di qualunque colore o movimento religioso appartengano. Nell’ambito della questione curda, pensiamo che non sia più sufficiente un comunicato di solidarietà. Per cui abbiamo deciso di avviare una campagna per raccogliere fondi a sostegno delle popolazioni curde sfollate nei territori della Siria, che sono oggetto di attacchi ignobili da parte della Turchia. Parliamo di civili, di donne, uomini, bambini, anziani, che non hanno alcuna colpa se non quella di esser nati in un territorio oggetto di guerra da anni". I fondi, spiega Costa, vengono spediti mediante una piattaforma dell’Arci per costruire scuole, ospedali e aiuti di vario genere. "Uoki poi assicura che gli aiuti arrivino effettivamente alle popolazioni. La campagna è partita domenica 13 ottobre e abbiamo già iniziato a fare i primi versamenti. La manterremo in essere tutto il tempo che sarà necessario”.
Sempre sul versante del conflitto siriano, mentre la comunità internazionale esprime condanne solo a parole nei riguardi della Turchia, c’è chi si attiva per ottenere l’embargo di armi ad Ankara. Tra questi ci sono tre Ong italiane che operano in Kurdistan, a cominciare dalla Aoi, l'Associazione delle Ong italiane, la cui portavoce, Silvia Stilli, ha spiegato sempre a RadioArticolo1 che "il vero nodo è rappresentato dagli impegni già presi con la Turchia a proposito della vendita di armi. Il tema della responsabilità dei Paesi europei è centrale. Per questo siamo convinti che bisogna agire, da un lato, con l'embargo delle armi e, dall’altro, sollecitando l'intervento della Nato. Finora il Consiglio di sicurezza ha invece dato solo un buffetto e nulla più. Non ci sono sanzioni, non ci sono condanne. Sul tema delle trivellazioni di fronte a Cipro, nulla. Per quanto riguarda il nostro lavoro, chiediamo un intervento più deciso da parte della Farnesina nel tutelare la nostra azione in quei luoghi. Lavoriamo su consorzi e piattaforme europee, ma è sempre più difficile farlo". "L’attacco della Turchia – ha chiosato Stilli – va fermato. In questo senso, l’embargo delle armi è fondamentale, se pensiamo che 460 milioni di armamenti italiani sono stati venduti a Erdogan negli ultimi quattro anni”.
Luca Cafagna, membro di "Un ponte per", ha sottolineato le difficoltà degli operatori umanitari a lavorare nelle attuali condizioni, ricordando come "Medici senza frontiere" abbia deciso di evacuare le sue postazioni e il personale. “Siamo in missione umanitaria dal 2014 a Dohuk, città al confine tra Iraq e Siria, dove abbiamo creato la nostra centrale operativa. Rimaniamo attivi attraverso il nostro staff locale, cerchiamo di aiutare i civili, ma la situazione è drammatica, centinaia di migliaia di sfollati stanno scappano di fronte ai bombardamenti. Sono già stati colpiti due ospedali e diversi nostri addetti sono stati rapiti mentre prestavano soccorsi alla popolazione. Denunciamo violazioni continue sui civili, mentre sta venendo meno la stabilità e la pace che si era trovata nel Nord della Siria". Piani di sviluppo per il sistema sanitario, tutela dei diritti delle donne, questione ambientale: tutto questo è stato spazzato via. "Faccio parte di un’organizzazione che è stata costretta a evacuare, perché la comunità internazionale non ha fatto nulla – ha proseguito Cafagna –. Non è compito nostro dire che cosa devono fare i governi, ma la comunità internazionale deve intervenire al più presto di fronte a questa escalation di guerra. Tutti gli operatori umanitari in Siria sono di nuovo in pericolo, rapiti o colpiti dalle bombe. Lavoriamo in un contesto sempre più difficile e chiediamo che vengano rispettate le convenzioni internazionali di Ginevra”.
Francesco Vignarca fa parte di Rete disarmo: “Chiediamo l’embargo di armi alla Turchia. Fino a pochi giorni fa, sembrava che l’italia volesse aspettare, in attesa di un embargo europeo. La presa di posizione di Di Maio ora consente di fare un passo avanti verso lo stop ai contratti con la Turchia. Noi vorremmo uno stop definitivo. Anche perché la vendita di armi italiane alla Turchia ha subìto un aumento vertiginoso negli ultimi quattro anni. Abbiamo calcolato 890 milioni di vendita di materiale bellico, con consegne schizzate nel 2017 e 2018. Solo nei primi mesi di quest’anno sono state consegnate oltre 46 milioni di armi e munizioni. Intendiamoci, la Turchia può andare benissimo avanti senza i nostri approvvigionamenti, ma di sicuro un blocco di armamenti la danneggerebbe. L’immobilismo dell’Ue lo leggo con le difficoltà strutturali delle istituzioni europee. In base ai regolamenti, basta un solo Paese su 28 che si oppone e tutto si ferma. Ma sulla questione curda ci vuole una posizione netta e chiara da parte dell’Unione”.