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Lo scorso 26 aprile il modello sociale europeo ha preso un pugno in faccia. Il Parlamento Ue, in uno dei suoi ultimi atti rilevanti prima della fine della legislatura, ha approvato il nuovo Patto di stabilità e crescita aprendo le porte a un rinnovato regime di austerità.
Come ha spiegato a Collettiva Stefano Palmieri, dell’area Politiche europee e internazionali della Cgil, si è trattato di “una vera e propria Controriforma. Si ritorna infatti a un approccio intergovernativo nel quale la Commissione non assume più il ruolo di partner degli Stati membri e insieme a loro decide un percorso di rientro dal debito, ma diventa un cane da guardia. Questo perché il Consiglio ha reintrodotto dei parametri numerici e quindi la Commissione deve farli rispettare ai singoli Stati”.
Con le nuove regole sono a rischio sanità pubblica, scuole pubbliche, politiche di sostegno al lavoro e al reddito: tutte le aree chiave di quella che definiamo “Europa sociale”. Il provvedimento, denuncia una lettera firmata da 12 leader sindacali tra cui Maurizio Landini, “imporrà agli Stati membri di ridurre rapidamente i loro debiti secondo modalità economicamente e socialmente insostenibili”.
Sulla base di rielaborazioni fatte dalla confederazione europea dei sindacati (Ces), “l’aggiustamento fiscale annuale per gli Stati membri fa sì che dovranno tagliare bilanci di oltre 100 miliardi di euro nei prossimi 4 anni”.
Fermare il vento della nuova austerità è uno dei temi chiave delle prossime elezioni per il Parlamento europeo. Proprio la Ces ne parla nel suo Manifesto elettorale (del quale Collettiva ha scritto la scorsa settimana). Per l’esattezza al punto 5, che citiamo per esteso:
Respingere le politiche di austerità - un’economia per le persone e il pianeta
“Respingere il ritorno alle politiche di austerità e promuovere un nuovo modello economico incentrato sull’economia reale, sulla creazione di posti di lavoro, sul lavoro dignitoso e sulla ridistribuzione attraverso una tassazione equa e progressiva. Garantire una revisione delle regole di governance economica che ponga fine al Fiscal Compact dell’Ue e la riforma del Patto di stabilità e crescita per allinearlo al raggiungimento dei diritti contenuti nel Pilastro europeo dei diritti sociali. Fornire agli Stati membri il margine di manovra necessario per finanziare gli investimenti per una doppia transizione equa. Attuare una capacità fiscale per gli investimenti nuova, un fondo di sovranità Ue per una giusta transizione socioeconomica e per i beni comuni, senza che nessuno venga lasciato indietro e per nessuna ragione. Regolamentare i mercati finanziari, energetici, delle materie prime e alimentari e contrastare la speculazione. Combattere l’evasione e l’elusione fiscale e garantire che i profitti eccessivi siano tassati”.
“L'obiettivo del sindacato europeo e della Cgil - ci spiega Salvatore Marra, coordinatore dell’Area politiche internazionali Cgil - è proteggere, promuovere e rafforzare il cosiddetto modello sociale europeo, che è riconosciuto a livello mondiale. Ancora oggi l'Europa attrae coloro che cercano asilo, protezione e migliori condizioni di vita e di lavoro, perché abbiamo un modello sociale forte e riconosciuto, nonostante tutto”.
Questo modello “offre sostegno e non lascia le persone sole quando si ammalano”, prosegue Marra, ma “per sostenerlo e rafforzarlo occorrono due prerequisiti. Il primo è finanziario, cioè quanto si investe. Il secondo è l'esistenza di istituzioni democratiche che permettano di proteggerlo e promuoverlo. Da questo punto di vista le conclusioni della Conferenza sul futuro dell'Europa sono state un risultato importante. Hanno offerto chiare indicazioni su come riformare le istituzioni europee per renderle la casa democratica di tutti i cittadini”.
Tornando al piano economico e finanziario (quanti soldi possono essere investiti per rendere il sistema sociale più forte?), col voto sul nuovo Patto di stabilità e crescita “abbiamo incontrato una battuta d'arresto - ammette Marra -. Per questo il movimento sindacale è contrario alla riforma della governance europea. La Cgil ha chiesto a tutti i parlamentari europei, inclusi quelli italiani, di votare contro. Tuttavia la riforma è passata, e dovremo continuare a lottare denunciando i tagli che verranno fatti nei prossimi mesi. Chiederemo al prossimo Parlamento di continuare a discutere della riforma della governance, poiché pensiamo che sarà pagata ancora una volta dai cittadini”.
La legislatura non si è chiusa bene. “Due voti al Parlamento europeo ci preoccupano molto - prosegue il dirigente della Cgil nazionale -. Non solo quello sulla governance, ma anche il patto sociale sulla migrazione, che riflette un'Europa chiusa e autoreferenziale”. Questi due provvedimenti, ragiona Marra, sono passati perché “si è diffusa l'idea che presto avremo un Parlamento più orientato a destra, e che quindi era meglio mettere al sicuro le due riforme ora piuttosto che rischiare di peggiorare le cose in futuro. Questa è stata la logica che ha spinto anche il Partito socialista, sebbene non esplicitamente dichiarata e nonostante le fratture interne. È una logica che non ci convince affatto, e temiamo che possa portare a un rafforzamento dell'estrema destra nelle prossime elezioni”.
Ma la partita non è persa. Molto dipende da come andrà il voto del 6-9 giugno, da quale Parlamento ne uscirà. Il pugno del quale scrivevamo sopra potrebbe anche essere restituito al mittente. Bisogna votare per un’Europa sociale.