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"In ragione dei principi affermati dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, il Paese di origine del trattenuto (Bangladesh, ndr) non può essere riconosciuto come Paese sicuro". Lo scrivono chiaro e tondo i giudici del tribunale di Roma, in una delle ordinanze con cui non hanno convalidato i provvedimenti di trattenimento di alcuni dei migranti portati nel famigerato Cpr italiano di Gjader, in Albania.
Dietrofront, quindi. Nonostante il tanto sbandierato (e costosissimo) viaggio di solo qualche giorno fa, i dodici migranti trattenuti oltre Adriatico devono tornare indietro, e questo anche se la loro richiesta d'asilo è stata respinta.
“In caso di non convalida del provvedimento e di mancanza di titolo di permanenza nelle strutture albanesi”, si legge infatti nel provvedimento, lo stato di libertà "può essere riacquisito soltanto per il tramite delle autorità italiane e fuori del territorio dello Stato albanese, delineandosi di conseguenza, in assenza di alternative giuridicamente ammissibili, il diritto del richiedente protezione a riacquisire lo stato di libertà personale mediante conduzione in Italia".
La ragione è molto semplice, insomma, ed era stata prevista da molti, perché presente nella sentenza della Corte di giustizia europea emessa il 4 ottobre scorso, prima che i centri albanesi aprissero: un Paese per essere considerato “sicuro” lo deve essere in ogni sua parte e per ogni persona. E l’Egitto e il Bangladesh, così come la Tunisia, non lo sono.
Le parole dei giudici pesano come macigni. Poche ore prima della decisione, tra l'altro, era stata respinta la richiesta d'asilo per tutti e 12 i migranti provenienti da Egitto e Bangladesh, Paesi che l'Italia ha invece inserito nella lista di quelli sicuri.
“Il giudice ha semplicemente applicato quanto ha affermato la Corte di giustizia dell'Unione europea, che diceva in modo molto esplicito che un Paese può considerarsi sicuro solo se lo è in ogni sua parte e per ogni persona. Insomma, non possono esserci persecuzioni, discriminazioni o torture verso nessuno in nessuna zona di territorio”, ha commentato Nicola Marongiu della Cgil nazionale.
“Mi sembra un passaggio fondamentale – ha continuato – perché non è certo il primo caso, ma la cosa davvero assurda è questo avanti e indietro dall'Albania all'Italia, che conferma come quella del governo sia stata un'operazione non costruita sul diritto ma per fare propaganda sulla pelle di queste persone. Lo diciamo dall'inizio, e quello che è successo oggi non è altro che l’ennesima conferma”.