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Samuel Alito, Brett Kavanaugh, Clarence Thomas, John Roberts, Neil Gorsuch, Amy Coney Barret: se ricordare ha un senso, ebbene ricordiamoci di questi sei nomi. Sono i sei giudici della Corte Suprema Usa che con un tratto di penna hanno cancellato una pietra miliare dei diritti in Usa: la sentenza della Corte suprema Roe vs Wade del 1963 che sanciva il diritto federale all’interruzione di gravidanza.
Il risultato è che da oggi 26 Stati potranno a breve dichiarare illegale l’aborto. Una tragedia che si abbatte sul corpo delle donne, e subito ci si figurano “viaggi della speranza” – per chi se lo può permettere ovviamente – attraverso questo paese immenso, da un capo all’altro (soprattutto da Sud a Nord, ovviamente) per poter esercitare un diritto sacrosanto, se è vero che il 58% delle donne in età fertile vive in Stati contrari all’interruzione di gravidanza.
Gli Usa ci hanno abituato a questi “arcaismi”, a questi rigurgiti ancestrali fondati su una società che nei suoi strati profondi conserva – vicino a una modernità spinta a ritmi spesso folli – tratti di matrice fondamentalista fondati su una visione patriarcale e machista della vita. E non sarà un caso, allora, che poche ore prima la stessa Corte aveva votato l’estensione del diritto al porto d’armi, solo alcune settimane dopo l’ennesima strage. I due fatti sono collegati: il corpo delle donne e le armi. Domìni tutti maschili. Una doppietta sparata non a salve in 24 ore e che sta producendo un terremoto in un paese così diviso da far ipotizzare persino, a taluni, scenari da guerra civile.
Colpisce lo scollamento dei giudici dalla realtà: la Corte è ormai una cellula impazzita messa in piedi dai Bush e da Trump (che ricordiamo non aveva la maggioranza nel voto popolare) e che si muove senza ostacoli in contrasto con un’opinione pubblica che per l’80% è contraria a questa deriva.
Potrà sembrare un particolare secondario rispetto a questo dramma, ma quello che offende ancor di più sono le parole spietate, ciniche, di alcuni dei protagonisti di questa battaglia reazionaria. Per Trump ha vinto “la volontà di Dio”, e poco importerà a questo Dio arcaico e vendicativo di The Donald, se nessuna eccezione è prevista, neanche in caso di incesto o violenza. Terribili le parole del giudice Thomas, secondo cui questa sentenza potrebbe aprire le porte per mettere in discussione diritti legati alla contraccezione e alle coppie gay. E magari, chissà quali altri diritti: la dimostrazione che la battaglia sul corpo delle donne riguarda anche gli uomini, perché su questi terreni si vince o si perde davvero senza distinzione di genere.
In un’intervista a la Repubblica, Erica Jong, con una dose di ottimismo forse eccessivo, spiega come questa sentenza “deplorevole” potrebbe essere l’occasione per una svolta, “per affrontare il tema in maniera definitiva, costringendo il Congresso a fare una legge sull'aborto". D’altra parte un segnale importante in questo senso deve arrivare proprio dalle cittadine e dai cittadini: tra cinque mesi si voterà per il rinnovo di Camera e Congresso e la questione dell’aborto sarà sicuramente centrale nella campagna elettorale. Sarà l’occasione per dimostrare con il voto quale orizzonte di diritti si immagina per gli Usa del futuro. Non è difficile ipotizzare anche in questo caso lo scollamento a cui gli States ci hanno abituato: l’America profonda e reazionaria da un lato e quella progressiva delle città e della West Coast da un altro.
Per quanto “ci” riguarda, non bisogna fare l’errore di credere che ciò che è successo oltreoceano sia così lontano da tenerci al sicuro. Non è così. Nonostante la 194, la presenza di medici obiettori si fa strada in tante zone del paese, tanto che in alcune regioni risulta sempre più difficile poter abortire. Senza dimenticare l’appoggio e i finanziamenti che tante giunte di destra danno alle associazioni antiabortiste o la riduzione dei contributi per i centri antiviolenza sulle donne.
I nostri sovranisti non hanno mancato di far sentire, ovviamente, la propria voce, a cominciare dall’ineffabile Pillon, che con toni ispirati ha invitato a portare “anche in Europa e in Italia la brezza leggera del diritto alla vita di ogni bambino, che deve poter vedere questo bel cielo azzurro”. Mentre nei giorni scorsi Giorgia Meloni dalle tribune spagnole aveva scandito: “Sì alla famiglia naturale, no alle lobby Lgbt; sì all'identità sessuale, no all'ideologia gender; sì alla cultura della vita, no all'abisso della morte”.
E se è vero che in Italia la legge 194 è solida, si è levato un coro di preoccupazioni per la sentenza della Corte Suprema da parte di Pd, M5s, Azione, Italia Viva, +Europa e Forza Italia. Reazione che è sicuramente un segnale positivo. Ora però devono seguire gli atti: non solo con le dichiarazioni, ma con il rafforzamento di tutte quelle misure fondamentali per difendere i diritti delle donne. Delle donne, e quindi di tutti.