PHOTO
“A ormai sei mesi dallo scoppio, la guerra è passata in secondo piano per il mondo dell’informazione e della politica ma i suoi effetti sono tutt’altro che svaniti. Le ricadute sulla popolazione ucraina sono terrificanti e, sia in Europa che nel resto del mondo, le conseguenze più ampie del conflitto si fanno sentire: dall’aumento dei prezzi di molti beni di prima necessità al caro energia ma anche, più in generale, agli equilibri e agli assetti geopolitici mondiali in fibrillazione”. Salvatore Marra è il responsabile delle politiche europee e internazionali della Cgil che dal 24 febbraio scorso non ha mai smesso di unire azioni di solidarietà verso la popolazione colpita dalla guerra alla richiesta di un cessate il fuoco e di una trattativa di pace. Con lui Collettiva è tornata a fare il punto non solo su cosa è accaduto in questi 180 giorni ma anche su quali possibili scenari ci troveremo davanti.
L’ultimo carico di aiuti umanitari raccolti dal sindacato per la popolazione ucraina è partito da meno di 72 ore (lunedì 22 agosto), nel frattempo tregua e negoziati sembrano essere ancora lontani. 6 mesi di guerra e non un passo avanti da parte delle diplomazie occidentali, al massimo forse qualche passo indietro?
Registriamo connessioni sempre più profonde tra i vari conflitti ai quali si sono aggiunte, non ultime, la questione di Taiwan e le fortissime tensioni tra Cina e Stati Uniti, seguite alla visita sull’isola da parte della portavoce della Camera statunitense Nancy Pelosi. Le esercitazioni militari congiunte sino-russe, seppure già previste, inviano segnali molto chiari su cosa ci aspetta nel futuro. A ciò si aggiunge l’aggravante del nucleare. In Italia siamo in campagna elettorale e ci sono forze politiche che chiedono esplicitamente nei loro programmi un ritorno a questo tipo di energia, eppure, come dimostra ciò che sta accadendo nella centrale di Zaporizhzhia, non esiste energia nucleare sicura, anzi il disastro nucleare è alle porte e, sorprendentemente, questo non agita a sufficienza la diplomazia europea. Preoccupa che in questo momento le uniche intese che abbiano aperto una qualche timida strada di dialogo siano state favorite dalla Turchia e non dall’Unione Europea.
Se il conflitto dovesse proseguire ancora a lungo, quale scenario possiamo prevedere?
Lo scenario purtroppo è già abbastanza chiaro. Il prezzo della guerra lo pagano sempre i più poveri, non certamente gli oligarchi russi né le élite ucraine. Sono le persone più vulnerabili e più emarginate in Russia, in Ucraina e nel mondo a subire gli effetti drammatici della guerra. La crisi dovuta alla mancata esportazione del grano dall’Ucraina la pagano le persone meno abbienti in Africa oppure la paghiamo noi che viviamo di salari in Europa, perché i prezzi di alcune materie prime sono aumentati in modo esponenziale. Dedicare più soldi nei bilanci degli Stati Nato al riarmo sicuramente si traduce, come già avvenuto anche in Italia, in tagli alla spesa sociale e socio-assistenziale. Per questo è imperativo fermare il conflitto armato, in Ucraina e negli altri Paesi del mondo dove si stanno riaccendendo focolai di guerra, e la corsa al riarmo che ne consegue il prima possibile.
Come veniva ricordato poco fa la guerra in Ucraina si inserisce in un contesto geopolitico complesso. Lo dimostra la vicenda di Taiwan. È arrivato il momento di tornare a ragionare pacificamente anche di questo tema: di nuovi equilibri geopolitici mondiali?
La strategia della tensione ormai è evidente. Non ci sono molti tentativi di sedersi a un tavolo per discutere di un’agenda globale per la pace, anche a livello di Nazioni Unite. La Cgil, insieme al sindacato europeo e a quello internazionale, lo chiede ma questa domanda non c’è a livello governativo. Argomento pressoché assente purtroppo anche nei programmi elettorali dei partiti italiani. Rimettere al centro del dibattito il tema della pace, invece, non è semplicemente un vezzo ma una necessità come confermano numerosi indicatori. Facciamo un esempio: in Ucraina, nel silenzio più generale e approfittando del conflitto in corso, il Parlamento ha adottato il progetto di legge 5371, che ha abolito i diritti del lavoro per il 94% dei lavoratori del Paese e questo nonostante i numerosi richiami della Confederazione Internazionale dei Sindacati, della Confederazione Europea dei Sindacati e dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro. È chiaro che noi, come organizzazione sindacale, dobbiamo denunciare quanto sta accadendo e nei prossimi mesi; anche in vista del Congresso del sindacato mondiale che si terrà a novembre a Melbourne, la Cgil chiederà che al pari del clima e di altre emergenze mondiali venga organizzata una conferenza Onu per promuovere e preservare la pace. Contemporaneamente continueremo a portare aiuti umanitari alla popolazione vittima della guerra. Solidarietà e diplomazia devono camminare insieme, però, soprattutto a livello politico altrimenti la strada imboccata ci condurrà - ahinoi - verso un ulteriore inasprimento dei conflitti e delle tensioni.