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Il Consiglio dei ministri ha varato il decreto attuativo della riforma del Pnrr approvata da Bruxelles. Il testo conferma l’indirizzo del governo Meloni: spostare sulle grandi imprese le risorse distogliendole da quelle a disposizione degli enti locali per investimenti diretti. Ma soprattutto, seguendo la logica perversa di “non imbrigliare chi vuole fare”, si fanno saltare le clausole previste per incentivare l’occupazione femminile e giovanile. Come si sa, la consistenza delle risorse destinate all’Italia era direttamente proporzionale alla consistenza dei divari da colmare: quelli di genere, tra le generazioni e territoriali. Le decisioni di Fitto e Meloni vanno esattamente nella direzione opposta rispetto a quella indicata dall’Europa.
Occupazione addio
La logica che l’esecutivo persegue, qualunque provvedimento intraprenda, è quella di non disturbare il manovratore, inteso per imprese, lasciandolo libero di perseverare anche nelle storture del mercato del lavoro a cominciare dal non occupare donne e giovani. Il Pnrr versione Draghi prevedeva che il 30 per cento dei posti di lavoro generati da progetti del Piano dovessero essere riservati alle lavoratrici e ai giovani e alle giovani sotto i 36 anni. Lo scopo, intuibile, era proprio quello di favorire la riduzione di alcuni di quei divari che caratterizzano l’economia e il mercato del lavoro del nostro Paese a svantaggio della società intera. Più occupazione femminile equivale a più Pil e facilita la natalità. Più occupazione giovanile corrisponde alla costruzione di futuro. Peccato che questi vincoli siano stati fatti saltare.
Bocciatura senza appello
Il segretario nazionale della Cgil Christian Ferrari è netto: “Particolarmente grave è la scelta, preannunciata dal ministro Fitto, di prevedere l’applicazione delle clausole occupazionali sull’obbligo di assunzione di giovani sotto i 36 anni e di donne unicamente per i futuri bandi finanziati dal Pnrr. I progetti in essere, dal valore di oltre 67 miliardi di euro, sono infatti esclusi da questo obbligo. Un vero e proprio tradimento della più importante priorità trasversale del Piano, che riguarda le pari opportunità generazionali e di genere”.
La scure sul Mezzogiorno
Che questo sia un governo con lo sguardo rivolto al Nord è cosa nota, basti pensare allo svuotamento del Fondo per la riduzione dei divari. Che questo sguardo sia miope è altrettanto cosa nota visto che se non riparte l’economia del meridione è l’intero Paese ad esser zavorrato. Eppure, la revisione del Piano prevede il taglio dei fondi per i progetti degli enti locali per circa 10 miliardi con la promessa, però, di finanziarli comunque. Ebbene: sono 6,7 i miliardi che infatti vengono “restituiti” ma sottraendoli al Fondo di coesione, ciò al Mezzogiorno. Insomma si finanziano le opere dei Comuni del Centro e del Nord con quelle destinate, sempre dall’Europa, al Sud. Risultato? Invece di ridurre i divari territoriali si aggravano quelli esistenti, visto il cambio di scopo di miliardi.
Miopia grave per la Cgil
Sottolinea Ferrari: “La copertura degli interventi gestiti dagli enti locali, cancellati o ridimensionati nella nuova versione del Pnrr, a quanto pare, dopo una lunga diatriba tra i ministri competenti, trova una soluzione inaccettabile: si utilizzano in gran parte le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (circa 6,7 miliardi), che vengono di fatto scippate soprattutto alle Regioni del Mezzogiorno. Si tratta di scelte politiche che contribuiranno ad ampliare i divari tra i territori del Paese”.
Tagli su tagli
E già, perché occorre trovare le coperture per la revisione del Piano, in tutto circa 15 miliardi, e oltre a quelli sottratti agli enti locali, sembra si taglino 729 milioni destinati a ospedali sicuri e sostenibili (Piano Complementare al Pnrr); 735 milioni per gli investimenti assegnati ai Comuni, relativi a opere pubbliche di messa in sicurezza degli edifici e del territorio; oltre 1 miliardo di euro del fondo del ministero dell’Interno per investimenti a favore ancora dei Comuni; 400 milioni dai contratti di sviluppo. Ulteriori 3,8 miliardi troverebbero copertura con il Piano Complementare.
La beffa per gli assistenti familiari
Decreto omnibus e provvedimenti di facciata. Questo potrebbe essere lo slogan per definire quanto approvato dal Consiglio dei ministri. Lì dentro infatti vi è anche una norma propagandata come ulteriore provvedimento a favore degli anziani: “Tremila euro per assumere badanti”. Peccato che detta così sia una falsità. Il Decreto, infatti, prevede sì uno sgravio contributivo per chi assume un assistente familiare, ma gli aventi diritto non sono tutti gli anziani non autosufficienti, ma ancora una volta una piccolissima parte di loro. Devono avere compiuto 80 anni, esser titolari di indennità di accompagno e un Isee di 6000 euro. E tutti gli altri? E tutti gli altri cittadini e cittadine non anziani ma non autosufficienti? Niente e ancora niente.
L’ennesima occasione mancata
Questo il giudizio della Cgil, dello Spi e della Filcams (la categoria che tutela lavoratori e lavoratrici domestiche) che in una nota affermano: “È l'ennesima operazione di facciata buona per la propaganda”. “Innanzitutto - spiegano - per l’estrema esiguità delle risorse stanziate, di cui nel biennio 2025-2026 potrà beneficiare una platea estremamente ridotta, che va da 13mila a 19mila persone a fronte di 3,8 milioni anziani non autosufficienti di cui almeno un milione assistito da assistenti familiari”. “Inoltre - proseguono - se la misura è pensata per contrastare il lavoro irregolare e favorire l’emersione, non si comprende la ragione di limitarla ai soli ultraottantenni. Da evidenziare – infine- la contraddittorietà delle scelte del governo che introduce (per pochissimi) la decontribuzione dopo aver escluso le lavoratrici domestiche madri dal taglio del cuneo fiscale”.
La forma è sostanza
Ancora una volta il metodo utilizzato dal governo è sbagliato e contrario a un corretto rapporto con le parti sociali. Anche se, è vero, coerente con l’idea di verticalizzazione del potere che contraddistingue la maggioranza. Loro decidono e – al più – comunicano agli altri attori sociali le decisioni già prese. Dimenticando che proprio l’Europa impone – forse meglio dire imporrebbe – la governance partecipata del Pnrr. La conclusione di Christian Ferrari è netta e amara: “Il nuovo decreto omnibus sul Pnrr giunge dopo un lungo e tortuoso percorso caratterizzato da una totale opacità dei processi decisionali e una partecipazione pari a zero del Parlamento e delle parti sociali. Un approccio sostanzialmente burocratico a problemi che, invece - conclude - richiederebbero reali processi democratici e partecipativi”.