“Costruire la cultura della legalità riguarda tutti”. Lo sostiene convinto il Fabio Roia, in magistratura dalla seconda metà degli anni '80, In passato, è stato pubblico ministero presso la Procura ordinaria del tribunale di Milano e componente del Consiglio superiore della magistratura dal 2006 al 2010. Rientrato in ruolo ha svolto le funzioni di giudice nell’area dei soggetti deboli e attualmente ricopre le funzioni di presidente di Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Milano. Da sempre si occupa, come studioso e formatore, delle tematiche che riguardano la violenza contro le donne, è tra i fondatori dell’Osservatorio sulla violenza contro le donne dell’Università degli Studi di Milano. La restituzione alla società e il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie sono uno dei mattoni di questa costruzione.
È da poco trascorso il 40esimo anniversario dell’assassinio di Pio La Torre per mano di Cosa Nostra, il dirigente sindacale e poi dirigente politico che ebbe l’intuizione di colpire i mafiosi in ciò che hanno di più caro, “i piccioli”; la normativa su sequestri e confische nacque così. Ma la sua applicazione si è ampliata. Riflette Roia: “È uno strumento molto efficace perché colpisce il patrimonio, sfrutta la velocità del procedimento di prevenzione che, al contrario di quello penale, è per necessità e per disposizione di legge più veloce”. Dal decreto di sequestro alla confisca definitiva, in genere, ci vogliono non più di tre anni.
Altra questione, invece, e altri tempi son quelli che riguardano le assegnazioni dei beni. “Un primo problema - illustra il magistrato – riguarda l’assenza di formazione e di informazione da parte dei Comuni, soprattutto più piccoli. Appartamenti, capannoni, villette possono essere una risorsa per il territorio ma occorre formare, appunto, funzionari e impiegati degli enti locali”. Il secondo problema è quello delle risorse. Spesso i manufatti dopo anni di abbandono hanno bisogno di cospicui interventi manutentivi. Infine, sottolinea Roia, occorre superare un altro ostacolo, forse il più difficile. Nei locali confiscati e assegnati a organizzazioni del Terzo settore che li riutilizzano a fini sociali, così come prevede la legge, trovano spazio comunità di accoglienza, case famiglie, centri antiviolenza, cooperative che consentono il lavoro a soggetti svantaggiati ecc., ebbene capita frequentemente che i “vicini di casa” o quanti potrebbero diventarlo non siano così felici, pongano ostacoli che inevitabilmente rallentano il percorso di riutilizzo dei beni.
“C’è un problema di coesione sociale”, sottolinea Roia che racconta una vicenda recente. Il tribunale di Milano ha alcuni appartamenti in un complesso immobiliare in Toscana, ha deciso di assegnarli a profughi arrivati dall’Ucraina, l’amministratore giudiziario del patrimonio ha però segnalato che i possibili acquirenti degli altri appartamenti, appresa la notizia dell’assegnazione ai profughi, si son tirati indietro e non hanno più comprato. “Sembra quasi che il mafioso dia meno fastidio di una comunità di accoglienza. Dobbiamo abbandonare la logica che tutto debba essere orientato al profitto. E dobbiamo tornare al senso della normativa sui beni confiscati, anche al suo valore simbolico”.
Il valore, simbolico e non solo, di queste norme, è riconosciuto dal Consiglio d’Europa, notizia di questi giorni, che ha deciso di mutuarlo per provvedimenti che consentano di utilizzare i beni degli oligarchi russi per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina.
Insieme agli immobili e ai beni mobili, durante i sequestri vengono sottratti alla criminalità anche ingenti patrimoni economici e finanziari. Perché non usare, allora, questi fondi per manutenere e restaurare case e palazzi e così rendere più rapida e semplice la restituzione alla collettività? “Serve un provvedimento normativo – dice il presidente – ora tutte le risorse finiscono nel Fondo Unico per la Giustizia che viene usato per tutte emergenze che capitano, dai terremoti ai profughi, una sorta di bancomat”.
E arriviamo al Pnrr. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza destina 300 milioni per progetti di riutilizzo, riconversione e ristrutturazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Il bando si è chiuso dopo un paio di proroghe, il 22 di aprile, e sono stati presentati oltre 600 progetti. Ma il bando era riservato solo alle regioni meridionali. Ora è vero che lì insistono molti beni sequestrati e confiscati, ma anche in altre regioni ve ne sono molti. Il Lazio è la terza regione, dopo Sicilia e Campania, per aziende definitivamente confiscate, la Lombardia è quarta per numero di beni. E la recente sentenza della Cassazione sul processo Aemilia, così come il recentissimo sequestro di beni nel Lazio per una inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta, stanno a testimoniare come le mafie siano presenti in tutto il territorio nazionale.
Per Fabio Roia “è una buona notizia che siano stati presentati tutti questi progetti. Certo esiste una contraddizione, si tende a pensare che la criminalità organizzata investa laddove esiste. Ma intanto non è vero che le mafie investono solo dove sono presenti, da sempre Cosa Nostra ha interessi fuori dalla Sicilia, e poi - appunto – non vi è territorio dove le mafie non abbiamo allungato i propri tentacoli”.
Infiltrazioni e appalti sono gli altri capitoli del percorso di costruzione di legalità. I soldi in arrivo dall’Europa sono davvero tanti e fanno gola. Gli appalti, soprattutto lungo la catena dei subappalti, sono lo strumento. Ed è per questo che la guardia deve rimanere alta e vanno messi in campo strumenti e meccanismi di contrasto. “Credo ci vogliano delle sentinelle sociali, cioè persone che vogliono e credono nella legalità e operano in tal senso”. Roia non ragiona solo di procedure processuali e di reati, ragione invece del contesto sociale e di quanto ciascuno di noi potrebbe o forse dovrebbe mettere in campo. Noi singoli cittadini e cittadine, gli operatori economici, le aziende. “Laddove ci sono profili di concorrenza sleale c'è un danno per le altre aziende, quelle che invece operano bene sul territorio, rispettando le regole contrattuali, e gli oneri fiscali e previdenziali. Quando parlo di sentinelle sociali, ad esempio, mi riferisco anche a chi può accorgersi delle aziende che risparmiano molto sul piano della sicurezza determinando poi il tragico fenomeno delle morti sul lavoro, che è un fenomeno non accettabile nel 2022 per un Paese come l'Italia. L'imprenditore deve capire che l'investimento di legalità non è mai un investimento a fondo perduto, avrà un ritorno. E bisogna fare un investimento in cultura del singolo operatore economico, giudiziario, sociale e oserei dire anche del cittadino che deve essere la prima sentinella di allarme laddove si verifichino situazioni di opacità. Bisogna creare sempre queste spinte di contaminazione positiva”.