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L’appuntamento era fissato per lunedì 28 marzo, quello il giorno stabilito per l’arrivo in aula a Montecitorio del disegno di legge delega sulla riforma fiscale. Ma non è stato così. Le divisioni nella maggioranza rendono inevitabile il rinvio, si spera di una sola settimana, dell’esame del testo da parte dei deputati e delle deputate. Eppure, questa è una riforma di “accompagnamento del Pnrr", secondo il programma avrebbe dovuto essere presentata entro luglio 2021: invece il Consiglio dei ministri l’ha licenziata il 29 ottobre.
I tempi lunghi non sono frutto di sciatteria o noncuranza, sono figli di posizioni assai diverse tra i partiti che sono sostengono il governo e delle ambiguità contenute nella "Relazione dell’indagine conoscitiva sulla riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti della riforma tributaria", su cui ci si doveva basare per scrivere la delega. Risultato? Scontri in commissione e ritardo nell’esame del testo. E, soprattutto, il rischio che la legge che verrà varata non sia quella riforma di cui il Paese ha bisogno è più che reale. A questo si aggiunge la probabilità che si rinvii ai decreti attuativi della delega la definizione dei punti contrapposti.
“Si continua a impostare la riforma come riduzione generalizzata d'imposte, perdendo di vista lo scopo principale del prelievo fiscale: il finanziamento dello Stato per garantire servizi ai cittadini e alle cittadine”. Lo afferma preoccupata Gianna Fracassi, vicesegretaria generale della Cgil, che aggiunge: “Scopo della riforma dovrebbe essere quello di rendere più equo e progressivo il sistema riducendo il prelievo fiscale a lavoratori e pensionati con redditi medio bassi, ampliando la base imponibile e facendo una seria lotta all’evasione e all’elusione”.
I punti più controversi del testo all’attenzione della commissione Finanze della Camera dei deputati sono diversi. Innanzitutto, sembra un paradosso, la riduzione dei tempi di attuazione. Al momento sono previsti 18 mesi per l’emanazione da parte del governo dei decreti attuativi. Troppi, si rischia di arrivare a dopo la fine della legislatura. E poi il cuore della riforma. La Lega e non solo spinge per conferma ed estendere la filosofia della tassa piatta mentre altre forze, e i sindacati con loro, ritengono che vada rispettata e attuata la Costituzione ripristinando una vera progressività dell'imposizione fiscale. Ancora, sono stati presentati emendamenti che provano a inserire nella delega una serie di clausole che impediscano l’aumento della pressione stessa.
“Il punto – ribadisce Fracassi - non è non aumentare le tasse, ma ridurle ai redditi bassi, farle pagare a chi non le paga e magari farne pagare un po’ di più ai redditi più alti. Per farlo serve un'imposizione sui grandi patrimoni e, per esempio, reintroducendo l’imposta di successione sui grandi e grandissimi patrimoni”.
Tra gli altri punti di non accordo c’è la volontà del centrodestra di espandere il perimetro dell’applicazione del regime Flat tax dei forfettari. La Cgil crede che il regime debba essere completamente abolito e sostituito da un regime semplificato, destinato ai contribuenti effettivamente minimi, certo non fino ai 65mila euro di ricavi. Così come, per l’aliquota destinata ai redditi fuori dal perimetro dell’Irpef, la confederazione di corso d’Italia ritiene che per individuarla occorra partire da quella attualmente destinata alle rendite finanziare. Insomma, deve essere superiore al 26%.
C’è poi la questione della revisione degli estimi catastali. Al momento alla Camera è passato il testo presentato dal governo che, per altro è assai generico e debole, ma cosa succederà al Senato non è dato sapere, visto che su questo punto lo scontro è molto acceso. “La revisione del catasto è questione di equità - sostiene la vicesegretaria -, oltre che necessario all’efficienza del sistema fiscale. Così come ipotizzare l’istituzionalizzazione della rottamazione delle cartelle esattoriali è iniquo e favorirebbe l’evasione e l’elusione. Fenomeni che invece andrebbero contrastati con ben altro impegno”.