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Inclusione sociale e coesione territoriale, un tema vasto assai e infatti, in realtà, è considerato uno dei tre assi su cui articolare l’intero Piano. Convince poco che per ridurre le diseguaglianze profonde e molteplici, si individuino tre temi, certamente condivisibili, donne giovani e Sud, mentre la riduzione delle diseguaglianze, appunto, dovrebbe essere un obiettivo universale. Infatti il documento non riconosce la centralità di un welfare universale e pubblico come strumento indispensabile per la promozione dell’uguaglianza e la redistribuzione della ricchezza. In ogni caso la missione 5 del Pnrr approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 12 gennaio, dedicata alla coesione e all’inclusione si articola in tre linee di azione, la prima si occupa delle politiche per il lavoro, la seconda di infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore, la terza prevede interventi per la coesione territoriale.
“La missione 5 del Pnnr è certamente una delle più cruciali sia per scommettere sulla possibilità di una crescita economica e sociale del nostro Paese sia per determinare un'inversione di tendenza nella crescita dei divari e delle disuguaglianze”. Lo dice Tania Scacchetti segretaria confederale della Cgil, e aggiunge: “Ma per determinare davvero un cambio di passo le misure identificate sono ancora insufficienti: la creazione di occupazione e quindi la condizionalità degli investimenti a questo fine deve essere la vera scommessa dell’intero Piano”. Secondo il sindacato guidato da Landini le politiche per il lavoro non dovrebbero essere una linea di intervento di una delle missioni, ma: “il tema dell’occupazione dovrebbero intrecciare tutte le missioni” tanto più visto che si sono individuati giovani, donne e mezzogiorno come le tre criticità che nel Piano devono trovare risposte. Innanzitutto servono alcune riforme, quella degli ammortizzatori sociali e poi occorre ridurre le tipologie di contratto esistenti.
Afferma ancora Scacchetti: “Le politiche attive senza la crescita della domanda di lavoro rischiano di essere marginali o in alcuni casi uno slogan vuoto. È importante e prioritario certo rivedere il sistema delle protezioni sociali, ma non sarà utile se non si guarda alla struttura del mercato del lavoro, affermando e scegliendo politiche che facciano del contrasto alla precarietà e al lavoro povero il centro della azione legislativa. Occorre dare spazio e valore alla contrattazione intervenendo con norme sulla rappresentanza, questo è un altro elemento necessario per contrastare dumping al ribasso. Infine, è riduttivo e in alcuni casi sbagliato pensare che per affermare il diritto al lavoro delle giovani generazioni si pensi di rispondere con apprendistato duale e servizio civile universale. Lavoro di qualità e piena occupazione – conclude la dirigente sindacale - dovrebbero essere l’orizzonte di lungo respiro su cui innestare missioni e interventi del Piano. Su questo ancora non pare esserci il necessario coraggio e la necessaria critica alle scelte degli ultimi anni”. E fatte le riforme, o meglio mentre si predispongono, occorre realizzare un Piano nazionale di rilancio dell’occupazione giovanile e Misure innovative e specifiche per i Neet.
La formazione nel Piano è un capitolo importante per le politiche del lavoro. Dice Simonetta Ponzi, responsabile formazione continua e formazione permanente della Cgil: “Il tema della formazione si pone come questione trasversale rispetto ai tre assi strategici indicati nel Pnrr, digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale. Solo sostenendo con politiche adeguate il lavoro e più in generale le persone, si può rispondere a questi processi di cambiamento particolarmente essenziali per il nostro Paese, e in quest'ottica, formazione e istruzione giocano un ruolo fondamentale. Sarebbe opportuno quindi che la Formazione venisse inserita come nuovo obiettivo generale nell'ambito della missione 5 e non fosse considerata solo uno strumento, per quanto importante, delle politiche del lavoro. La formazione deve diventare una misura che accompagna e sostiene in maniera permanente le persone nell'arco della loro vita".
Per quanto riguarda la seconda linea di intervento, quella che si occupa di infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore, dice Giordana Pallone dell’Area Welfare della Cgil: “È positivo che il Piano dedichi una missione specifica all'inclusione sociale, ma il necessario rafforzamento dell'infrastruttura sociale dei territori deve essere individuato come obiettivo prioritario in quanto tale - e non solo come intervento complementare e funzionale ad altri obiettivi -, riconoscendo come non più rinviabile la realizzazione di un sistema di welfare pubblico universale. Un welfare capace di rispondere alla complessità dei bisogni crescenti della popolazione, attraverso una presa in carico multidimensionale, e di prevenire l'esclusione intervenendo sulle possibili cause prima che si manifestino, adottando dunque una declinazione dell'inclusione in termini "proattivi" e non solo "riparativi", e assumendo come centrale il dovere delle istituzioni pubbliche di rimuovere ogni ostacolo al pieno sviluppo di tutti”. È bene sottolineare che le risorse previste ammontano solo a 10,83 miliardi dei quali 6,6 destinati a rigenerazione urbana a housing sociale mentre ai servizi socio assistenziali, disabili e marginalità ne sono destinati 3,8. Davvero pochi. In ogni caso la prima cosa da fare, per la Cgil è la definizione legislativa dei Livelli essenziali delle prestazioni socio assistenziali, unico strumento in grado di garantire l’universalità dei diritti su tutto il territorio nazionale.
Secondo Laura Mariani, responsabile politiche abitative e per lo sviluppo urbano dell’area Politiche di sviluppo della Cgil: “È difficile valutare l’impatto delle misure del Pnrr sulle città per l’ampio spettro di interventi, le politiche di riferimento spesso frammentate, la mancanza di una normativa nazionale di riferimento, come per la rigenerazione urbana. Manca una politica urbana integrata, necessaria anche per superare una frammentazione di responsabilità istituzionali, che nei passati programmi volti alla rigenerazione urbana, ha inficiato spesso il raggiungimento di obiettivi credibili”. Tra le proposte che arrivano da Corso d’Italia la realizzazione di un Piano pluriennale di edilizia residenziale pubblica e sociale.
Uno dei tre assi attorno al quale il Piano è articolato è quello delle politiche per il Mezzogiorno, secondo Giuseppe Massafra, segretario confederale della Cgil: “Il divario Nord/Sud è il principale motivo del declino del Paese. Per imprimere una svolta sul piano della crescita, dunque è necessario colmarlo. È importante che nell’ultima versione del Pnrr, il Mezzogiorno sia considerata una delle tre priorità trasversali del Piano. Così come è condivisibile la scelta di programmare politiche e interventi a valere su diverse fonti di finanziamento - ordinarie, del Next Generation Eu (ReactEU e PNRR), dei Fondi strutturali - in modo unitario e integrato. L'obiettivo deve diventare quello di disegnare un grande piano di investimento sulle politiche di coesione e per il Sud. Resta una criticità l'assenza nel Piano di una stima puntuale di quante risorse vanno al Sud e per realizzare quali progetti. Occorre meglio dettagliare gli obiettivi da realizzare per intervenire in modo strategico sulle differenze interne al Mezzogiorno indicando dei diversi interventi che compongono le missioni e le relative risorse”.
Davvero quella sulla salute è una missione, trasformare il servizio sanitario nazionale all’altezza del dettato dell’articolo 32 della Costituzione e dei bisogni di salute dei cittadini e delle cittadine. Sufficiente quello prospettato nella – appunto – Missione 6 del Piano di ripresa e resilienza presentato dal governo? Per la Cgil è sicuramente un passo avanti rispetto al testo precedente ma del tutto sufficiente non lo è. Partiamo dai numeri, si destinano a questa missione 19,7 miliardi, 7,9 per assistenza di prossimità e telemedicina, a innovazione ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria ne vengono assegnati 11,82. Complessivamente oltre 10 in più, sembrerebbe, rispetto alla prima stesura del Piano. Ma non è esattamente così. “L’aumento appare in buona parte un rimescolamento di risorse già presenti per la sanità ma catalogati sotto altre voci”. Insomma aggiunge la Cgil, “Tra il precedente documento e questo non appare esserci un aumento consistente delle risorse destinate alla salute, in particolare per il potenziamento dell’assistenza socio sanitaria territoriale, che per noi è una priorità”.
L’obiettivo fondamentale del Pnrr dovrebbe essere quello di garantire l’universalità al diritto alla salute su tutto il territorio nazionale a partire dalle regioni del Sud riducendo fino ad azzerarli i divari esistenti. Non sembra però che questo sia un obiettivo previsto in maniera chiara dal documento presentato al Parlamento e alle forze sociali. In ogni caso, secondo Stefano Cecconi responsabile salute della Confederazione: “Rispetto alla versione precedente, la missione 6 è migliorata, ma non c’è quel significativo aumento di risorse destinate alla Salute che sarebbe necessario. In modo particolare, visto ciò che è successo durante la pandemia, stupisce non siano previsti adeguati progetti per le persone anziane non autosufficienti e per la prevenzione non. Sono invece certamente positivi due Progetti della componente M6C1 “Assistenza di prossimità e telemedicina” (7,9 miliardi complessivi): il primo riferito all’ attivazione di 2.400 nuove “Casa della Comunità” e l’altro sull’ Assistenza domiciliare. Finalmente si prevede la definizione di standard strutturali, tecnologici e organizzativi dell’assistenza territoriale ad alta integrazione socio sanitaria. Ci auguriamo che governo e Parlamento, utilizzino al meglio tutte le risorse messe in campo dall’Unione europea per contrastare e superare l’emergenza pandemica, ma investano anche più risorse ordinarie per sanità e sociale, per trasformare questa difficile situazione come occasione per restituire forza al nostro welfare socio sanitario indebolito da anni di tagli”.