PHOTO
Sono di ieri, 16 maggio, i dati europei di revisione al ribasso delle stime sulla crescita del Paese a causa degli effetti della guerra in Ucraina. Il rischio idi un ulteriore impoverimento e di un approfondimento delle diseguaglianze è reale. Gli interventi previsti dal governo, così ci dice in questa conversazione la vice segretaria generale della Cgil Gianna Fracassi, non sono sufficienti. Anzi, per quanto riguarda tasse e tributi si sta correndo seriamente in rischio e che a furia di mediazioni si vada nella direzione contraria a quella che indica la nostra Costituzione e che servirebbe per garantire equità e finanziare lo sviluppo
Inflazione, guerra, costo dell'energia alle stelle. Il governo, con il Decreto aiuti ha introdotto alcuni interventi dal bonus energia all’una tantum di 200 euro. Qual è il giudizio della Cgil? È sufficiente?
Gli interventi previsti non sono sufficienti. È di tutta evidenza che l’effetto dell’aumento dell’inflazione e del costo dell’energia e quindi dei beni in generale, non sarà breve. Quindi il Decreto non può che essere un primo passo. Positivo è il fatto che siamo riusciti a far aumentare le risorse fino a sei miliardi, ma lo strumento introdotto - una tantum di 200 euro da erogare a luglio - non ci convince. Innanzitutto, le cose non andranno meglio, anzi è verosimile che in autunno l’impatto negativo sarà maggiore, e poi perché occorre ragionare anche in termini di equità. Avevamo proposto una serie di strumenti che potevano potenzialmente essere rafforzati, diventare strutturali, dalla decontribuzione all’allargamento della platea, fino alla revisione delle detrazioni da lavoro e da pensione per fare qualche esempio. Insomma, avevamo fatto una serie di proposte che avrebbero avuto un respiro almeno di medio periodo visto che avremo di fronte dei mesi molto duri e difficili, e certamente occorrerà intervenire ancora. Il tema oggi è come si argina l’effetto inflattivo sui salari e sulle pensioni, occorre mettere in campo una pluralità di strumenti. Ad esempio, è positivo - sempre se verrà confermato - l’intervento previsto nel Decreto sul fondo affitti, ma anche in questo caso è necessario prevedere strumenti strutturali e non interventi temporanei.
Proprio in queste settimane il Parlamento sta continuando a esaminare la Legge Delega sulla riforma fiscale, una serie degli interventi di cui parli si potrebbero fare proprio attraverso il fisco. Facciamo un passo indietro. Pare che in maggioranza si sia trovata un accordo su alcuni capitoli della delega fiscale, a cominciare dal catasto.
Vorremmo capire di che si tratta. Trovo paradossale che in una situazione come la nostra, dove non rivediamo i valori catastali da alcuni decenni, e in merito siamo stati richiamati più volte dall’Europa, si trova un accordo perché l’analisi di mercato che dovrebbe accompagnare gli estimi catastali, non abbia nessun effetto sui valori stessi, cioè praticamente si lascia tutto così com'è. Lo trovo francamente bizzarro. Innanzitutto, è bene chiarire che sulla prima casa non si paga l’Imu. Inoltre, la situazione delle città e dei borghi è notevolmente cambiata rispetto ad alcuni decenni fa, non aggiornare i valori catastali significa da un lato non valutare pienamente la condizione patrimoniale dei singoli (di quelli che possiedono più immobili), dall’altra rinunciare, come erario, a possibili entrate. Dopodiché capisco, ma mi preoccupa, che questo è uno degli elementi della mediazione, ma mediazioni continue rischiano di combinare un pasticcio anche rispetto alle prospettive una riforma fiscale. Insomma, dobbiamo intenderci, vogliamo fare una riforma che salvaguardi rendite di posizione o che serve al Paese? Quale obiettivo ci poniamo? Se, come credo sia giusto, l’obiettivo è quello di ridurre le diseguaglianze che sono enormemente aumentate da un lato, e dall’altro rispondere al bisogno di sviluppo del Paese allora non possiamo accettare mediazioni al ribasso. Tanto più in una fase di crisi come quella che si sta aprendo. Quindi la domanda dovrebbe essere, quale riforma fiscale serve? Tasse e tributi vanno ripensati per garantire equità, redistribuzione, benessere diffuso, per sostenere il welfare state, cioè per rafforzare quelle grandi reti pubbliche di cui c’è straordinaria necessità.
E allora veniamo proprio al capitolo del welfare, nel Def presentato poche settimane è contenuta una previsione di riduzione del fondo sanitario nazionale fino ad arrivare sotto il 6,5% l'anno che è la soglia minima considerata dalla OMS per non mettere a rischio la salute pubblica e si riducono le spese per l'istruzione. Insomma, sembra di essere tornati ai criteri pre pandemia nello scrivere il documento di programmazione economica. Cosa c'entra questo con il fisco?
Purtroppo, anche nel Def è centrale l’idea che, per far fronte alle prospettive economiche, si debba tagliare sullo stato sociale e in generale occorra restringere il perimetro pubblico. È sbagliato e per due ragioni. La prima è sotto gli occhi di chi vuol vedere. Abbiamo affrontato 24 mesi, e non è finita, drammatici sul versante dell'emergenza sanitaria, e solo questo dovrebbe convincere tutti che è necessario, al contrario, rafforzare il Ssn a cominciare dai territori per dare una risposta anche sul versante dell'assistenza alle persone. La seconda ragione è una miopia di fondo legata al fatto che non si comprende che investire sulle reti sociali determina coesione sociale, crea un benessere diffuso e nuova occupazione. È uno strumento d'investimento fondamentale per sostenere la ricchezza e lo sviluppo del Paese. Non sono due cose distinte. Oggi la sfida per un nuovo modello economico sta esattamente qui, nel tenere insieme il rafforzamento del sistema sociale pubblico e nello stesso tempo affrontare le grandi transizioni, e la ricetta del passato non funziona. Non solo, assistiamo all'eccessivo affidamento sulle risorse straordinarie del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, senza pensare che quelle risorse straordinarie senza investimenti ordinari del bilancio nazionale non funzioneranno. Io credo che il Def sia legato solo a una dimensione contabile senza pensare che, invece, potrebbe essere uno strumento di rilancio del Paese, a partire proprio dalla valorizzazione dei sistemi pubblici. Lo voglio dire proprio a partire dalla situazione difficile che si prospetta. Sono di ieri i dati europei di revisione al ribasso delle stime sulla crescita del Paese a causa degli effetti della guerra in Ucraina. Per questo diciamo che è necessario investire sui diritti primari e universali di cittadinanza rappresentati dai servizi pubblici quale strumento di tenuta sociale del Paese.
Da più parti si sottolinea come rischiamo che a pagare un prezzo salato sia il lavoro. Le infrastrutture sociali potrebbero essere uno dei filoni di ricostruzione di un lavoro di qualità nel nostro Paese?
Assolutamente sì. Non è un caso che chiediamo un piano straordinario per l'occupazione che parta proprio dal settore pubblico, istruzione, sanità, pubblica amministrazione. Basti pensare che una delle difficoltà maggiore nell’attuazione del Pnrr sta proprio nella scarsità di personale degli enti locali. Quindi, il terreno della qualità del lavoro e della creazione di occupazione è la grande sfida. Per questo occorre interrogarsi se la riforma fiscale di cui il Parlamento sta discutendo sia e adeguata rispetto all'obiettivo. Il nostro è un paese con straordinarie disuguaglianze sociali e territoriali che nel corso degli ultimi decenni si sono approfondite, allora la domanda corretta è come si ripristina equità fiscale e come si redistribuisce la ricchezza prodotta. Questo tema, invece mi sembra assolutamente fuori dalla discussione della Legge Delega che mi pare più un campo su cui ciascuno posiziona la propria bandierina, ma non si coglie la straordinarietà del dell'obiettivo di una riforma fiscale. La riforma fiscale serve per stabilire di quante risorse ha bisogno il nostro Paese, per quali obiettivi. E deve determinare anche quel sistema equo e progressivo che è stabilito dalla nostra Costituzione, soprattutto per le finalità sancite nella prima parte della Carta dove si individuano gli obiettivi di uguaglianza e diritti di cittadinanza. E poi non dobbiamo essere miopi. La leva fiscale deve servire, oltre che a ridurre le diseguaglianze, anche a ricostruire un sistema di finanziamenti pubblici per lo sviluppo.
Redistribuzione e finanziamenti pubblici, basta la lotta all’evasione o la tassazione degli extraprofitti per finanziare tutto ciò?
Sicuramente gli extraprofitti sono una risposta all'emergenza, è una prima risposta che potrebbe essere ulteriormente aumentata. Ovviamente rimane il fatto che siamo in una condizione di diseguaglianza fiscale, è un dato incontrovertibile. La grande parte della popolazione italiana, la grande parte del lavoro dipendente e dei pensionati, è in una condizione di difficoltà. Allora intervenire sulle grandi ricchezze, sui grandi patrimoni, significa fare un'operazione di equità, di uguaglianza e soprattutto significa anche affrontare e rivedere quelle norme che hanno consentito l'accumulazione di tanta ricchezza, perché dobbiamo ricordarci che questo non è accaduto per uno scherzo del destino, è accaduto perché il sistema fiscale è stato progressivamente modificato negli ultimi vent'anni per assicurare che questi accumuli fossero possibili.
Non si tratta di demonizzare la ricchezza...
Certo che no, né di mettere le mani le tasche di qualcuno, si tratta, invece, di ripristinare margini di equità. Parlare di tassare le grandi ricchezze, intervento per altro previsto in diverse forme in tutti i paesi europei e non solo, significa riconoscere che esiste una distorsione alimentata dai diversi governi che si sono alternati nel corso degli anni. Possiamo discutere quale intervento sia preferibile, ma non possiamo più eludere la questione anche se, temo, la Legge Delega non andrà in questa direzione. C’è poi il tema della elusione ed evasione fiscale. Alcune cose si sono fatte anche accogliendo nostre proposte. Non basta, si può fare di più, per esempio rendendo davvero interoperabili le banche dati, ci sono le norme aspettiamo che vengano meno alcune obiezioni sul versante della privacy, ma questo è un altro tema molto rilevante perché consente di fare un intervento preventivo e non solo repressivo.
Cosa pensa di mettere in campo la Cgil, insieme a Cisl e Uil per cercare di evitare che la Delega fiscale vada esattamente nella direzione contraria a quella che dovrebbe seguire?
Siamo stati molto critici sui contenuti della Delega innanzitutto perché ha un'impostazione che non condividiamo sullo schema di tassazione, il cosiddetto sistema duale, vale a dire la tassazione proporzionale del capitale e dei redditi non da lavoro e progressiva dei redditi da lavoro. Avremmo preferito una curva continua e progressiva alla tedesca e soprattutto l’ampliamento della base imponibile, che non c’è nella delega. Dopodiché il sistema in realtà non è neanche duale perché si mantengono e anzi si allungano con un décalage, anche i regimi forfettari con una tassazione al 15% per gli autonomi. Non ci siamo proprio. Tra l’altro i decreti legislativi attuativi dovranno essere prodotti nei successivi 18 mesi; quindi, si andrà alla prossima legislatura. La nostra attenzione rimarrà altissima soprattutto per la definizione dei decreti. L’obiettivo da raggiungere, per noi è chiaro: riduzione dei divari e possibilità d'investimenti pubblici, equità e progressività. Una riforma fiscale per le reali necessità del Paese e dei lavoratori e pensionati.