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La previsione di spesa del denaro europeo per il Pnrr per il 2024 è di 43 miliardi di euro, ma “a metà anno il governo ha impegnato solo il 22 per cento di quanto stimato”. A dirlo non i consueti detrattori dell’esecutivo, ma l'Osservatorio del think tank “The European House - Ambrosetti” che, con un report, ha acceso i fari sull’utilizzo dei fondi del Next generation Eu, alla vigilia del Forum di Cernobbio che ha ospitato, oltre alla presidente del Consiglio Meloni, anche alcuni suoi ministri.
Il report, il cui contenuto era stato già anticipato dal quotidiano La Stampa, riconosce che è stato raggiunto “un traguardo significativo”, poi però sposta l’attenzione sulla messa a terra dei progetti facendo emergere l’incapacità di spesa. Il responsabile dello studio, Diego Begnozzi, ha fatto intendere che se si procedesse di questo passo “a fine anno si arriverebbe appena a 18,6 miliardi, meno della metà di quanto preventivato”.
A essere maggiormente in alto mare è il capitolo “Inclusione e coesione”, ma anche la mancata spesa da parte dei Comuni desta preoccupazioni. Tra i settori che più rischiano di vedere sfumare l’opportunità fornita dal Next generation Eu c’è quello dei trasporti, con infrastrutture più che insufficienti e che, al momento, non sembrano in procinto di essere adeguatamente implementate e migliorate con i fondi per il Pnrr.
Le cause
“Il Pnrr è partito male dall'inizio”, afferma Maria Teresa De Benedictis, segretaria nazionale Filt Cgil: “Siamo arrivati impreparati dal punto di vista sia della capacità amministrativa sia delle figure tecniche necessarie a realizzare quegli obiettivi. Tanto che è stata forte la richiesta di operatori stranieri in grado di portare a compimento gli investimenti previsti con la conseguenza che molte risorse non hanno visto un effetto trascinamento sull’occupazione di qualità nel nostro Paese”.
Per la sindacalista “da troppo tempo non ci si chiede quale domanda di trasporto bisogna soddisfare e quali infrastrutture di trasporto servono. Per questo all’inizio é accaduto che molti investimenti che erano nel Contratto di programma Stato-Rfi e nel vecchio piano industriale di gruppo Fsi sono traslati nel Piano Next generation Eu”.
Quali politiche dei trasporti
L’idea doveva essere quella di inserirsi e sfruttare la procedura europea di revisione delle reti di trasporto trans-europee: “È su quella che si cambiano i sistemi di trasporto e non a ogni cambio di governo – afferma De Benedictis -, altrimenti il rischio è di produrre incapacità di misurare benefici in maniera completa delle opere, stimolando e coltivando il contenzioso e il dissenso pubblico. Tutto ciò tenendo conto dei cambiamenti intervenuti: climatico, demografico, delle politiche sociali”.
L’Italia, anche prima del Pnrr, ha sempre avuto un problema enorme con la spesa dei fondi europei. “Il vulnus – prosegue la segretaria nazionale Filt – è sempre risieduto nella progettazione esecutiva, quindi nel tradurre nel dettaglio i lavori da realizzare e il relativo costo previsto. Non sono la centralizzazione e la riduzione degli spazi di confronto la soluzione, come è stato previsto dall’ultima riforma della politica di coesione per i programmi nazionali e regionali dei fondi Sie. C’è anche un tema di saturazione delle infrastrutture di trasporto che richiede una necessaria pianificazione a monte, ed è stata la causa dei disagi di quest’estate nei trasporti aereo e ferroviario, con enormi disagi a lavoratori e cittadini”.
Strade e autostrade
Per il sistema stradale e autostradale c’è l’emergenza valichi che mette a rischio le relazioni commerciali tra Italia e Francia, con gravi ricadute per l’economia del nostro Paese. De Benedictis ricorda che “la chiusura del tunnel ferroviario del Frejus e quella del tunnel stradale del Monte Bianco, i divieti tirolesi che hanno fatto avviare una procedura d’infrazione contro l’Austria per la tutela della libera circolazione di persone e merci, hanno un forte impatto sull’autotrasporto merci nazionale e per l’export di merci italiane”.
“Non ultime – prosegue – ci sono le diseguaglianze infrastrutturali storiche sul territorio nazionale e l’arretramento del Mezzogiorno, che dovevano essere sanate con il famoso fondo di perequazione infrastrutturale che questo governo ha tagliato. L’Europa ha deciso di assegnare le risorse comunitarie dei fondi di coesione non in ragione della popolazione ma in funzione dei ritardi esistenti rispetto ai processi di convergenza”.
Logica avrebbe voluto, continua la dirigente sindacale, che “questi stessi criteri fossero traslati nell’assegnazione territoriale in Italia per il Pnrr. È stata invece scelta la clausola del 40%. Si tratta di una quota arbitraria sicuramente non marginale, ma comunque insufficiente per ridurre in modo significativo i divari esistenti, e solo una parte è gestita direttamente dalle amministrazioni centrali”.
Quindi la sindacalista conclude sottolineando le contraddizioni del governo: “Quest’esecutivo da una parte lavora a un ambizioso disegno di riforma della portualità per rafforzare una politica marittima nazionale, dall’altra vuole portare avanti l’autonomia differenziata, con un rischio di frammentazione del sistema e delle politiche di investimento e di regolazione”.