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Sono passati pochissimi giorni dal secondo compleanno del governo Meloni celebrato con il solito video autocelebrativo della presidente del Consiglio, che però ha “dimenticato” di inserire nell’elenco dei successi la creazione di posti negli asili nido per rispettare i parametri europei. Dimenticanza necessaria, vista che dietro il raggiungimento – forse – del posto per il 33% per cento dei bimbi e delle bimbe c’è un trucco o più probabilmente un inganno. Inganno messo nero su bianco dallo stesso governo.
Il fatto
La scorsa settimana è partito per Bruxelles il Piano strutturale di bilancio: il nuovo strumento figlio del nuovo Patto si stabilità e crescita europeo votato dal governo Meloni e avversato dai sindacati europei a partire dalla Cgil. Allegato al documento una serie di tabelle, tra queste quella relativa al raggiungimento dell’obiettivo del Pnrr di creare nuovi posti in asilo nido per garantirne l’accesso almeno al 33% di quanti ne hanno diritto. Formalmente, dice la tabella, l’obiettivo al 2026 sarà raggiunto. Non si legge, però, nella tabella che rispetto al Piano originario redatto dal governo Draghi e approvato dall’allora Parlamento, quello modificato dal ministro Fitto per il governo attualmente in carica, ha cancellato oltre 110mila posti dei 250 mila previsti.
L’antefatto
All’Italia sono stati assegnati quasi 200miliardi da Next Generation Eu, la quota maggiore in assoluto. Tanto soldi certo, ma non perché siamo più bravi degli altri Paesi, al contrario tante risorse in più perché molto ampi i divari da colmare: tra giovani e anziani, tra donne e uomini, tra aree interne e grandi città, tra Nord e Sud. Infatti tra le clausole del Pnrr ve ne erano alcune che vincolavano parti consistenti di quelle risorse proprio al superamento di quei divari. Una riserva di posti per donne e giovani nell’occupazione scaturita dai progetti del Piano, saltata. Il 40% di investimenti da realizzarsi al Sud, non rispettato.
Il Rapporto
Lo scorso 14 ottobre il presidente del Cnel Renato Brunetta ha presentato la Relazione annuale sui servizi pubblici, si “scopre” così che anche nel 2023 esiste il fattore Sud ed è determinato da: “Un’allocazione ridotta di risorse, che si traduce in una minore offerta di servizi”. Un esempio? “Sul fronte dei servizi sociali, al Sud i livelli di impegno finanziario (95 euro pro capite) sono sempre più bassi di qualsiasi altro territorio (124 euro Nord-Est, 129 euro Centro, 134 euro Nord-Ovest), a fronte di un contesto in cui il tasso di deprivazione socio-economica è molto più elevato. Anche i servizi per il nido sono particolarmente arretrati al Sud, con tassi di copertura ben al di sotto della media (pari al 7%, contro l’18,5% del Nord-Ovest, il 21% del Nord-Est e il 22% del Centro)”. Domanda 1: perché si destinano alle regioni meridionali meno risorse per abitante che in quelle settentrionali? Domanda 2: cosa succederà con l’autonomia differenziata?
La tabella dell’inganno
Obiettivo del 33% rispettato, si legge. Peccato che quella cifra sia fumo negli occhi, perché a scorrere tutte le righe si scopre che proprio quella cifra inchioda il Sud alla propria arretratezza. Già, perché la soglia di copertura prevista per le regioni meridionali invece viene abbassata al 15%, quasi fotografando l’esistente. Dimentica chi ha scritto quel documento che oltre ad essere inadempienti verso l’Europa stiamo violando una norma italiana, quella scritta sempre dal governo Draghi e inserita nella legge di bilancio del 2022 che definisce un Lep, proprio quello dei posti in asilo nido: il 33% in ogni angolo del territorio nazionale. Domanda 3: cosa succedere dei Lep previsti dalla legge Calderoli, se mai vedranno la luce, se l’unico esistente viene così smaccatamente disatteso? Domanda 4: ma non sarà che questa tabella serve a dimostrare la fondatezza dell’idea leghista che i Lep debbono fotografare l’esistente a partire dalla spesa storica?
La Sicilia
“La scelta nella manovra di bilancio di portare dal 33% al 15% i posti nei nidi penalizza la Sicilia oltre misura. Nell’isola si trattava di recuperare un gap enorme, da tempo facciamo questa battaglia, invece prima col fine del Pac (il programma nazionale di sostegno alle rette delle famiglie), estintosi a giugno, ora i tagli nella manovra di bilancio la situazione è destinata a peggiorare”. Lo scrivono in una nota Gabriella Messina, segretaria confederale della Cgil Sicilia ed Elvira Morana, responsabile del dipartimento Politiche di genere, che chiedono al governo regionale e alla politica siciliana “una reazione netta rispetto a una misura che penalizza la prima infanzia, le donne, l’intera collettività siciliana”.
“Senza Pac – sostengono Messina e Morana - abbiamo denunciato che la copertura sarebbe scesa dal 13% all’8%. Ovviamente non c’è stato alcun intervento e ora si potrebbe andare ancora più giù. Di fatto molti comuni – sottolineano- avranno difficoltà a garantire un servizio che ha un’importante valenza socio-pedagogica e che supporta l’occupazione delle donne, con danno dunque per tutti. Questo è scandaloso, un passo indietro inaccettabile”.
La Calabria
L’offerta dei servizi per la prima infanzia arriva a soddisfare meno del 12% della popolazione al di sotto dei 3 anni. Oltre ai tagli arrivati con la rimodulazione sulla spesa prevista inizialmente, si aggiungono i notevoli ritardi dell'utilizzo dei fondi per gli avanzamenti dei lavori, rischiando ancora una volta di lasciarli incompiuti. “La situazione è drammatica ed il diritto ad accedere ai servizi educativi per la prima infanzia è praticamente quasi inesistente, con una disponibilità di posti per i bambini sotto i 3 anni che rimane tra le più basse d'Italia”. Lo afferma Celeste Logiacco, segretaria regionale della Cgil che aggiunge: “È evidente che il nostro Paese stia lentamente scivolando verso un modello di autonomia differenziata di fatto, dove l’accesso all’educazione e ai servizi essenziali dipende sempre di più dalla regione di residenza. A questo dato preoccupante sugli asili nido si lega inevitabilmente la condizione lavorativa delle donne. Esiste – aggiunge – una correlazione evidente tra la presenza di servizi educativi per la prima infanzia e la partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Meno strutture educative sono disponibili, minori sono le opportunità per le donne di cercare o mantenere un'occupazione”. Le conclusioni di Logiacco, mamma di una bimba di meno di 3 anni che frequenta un nido necessariamente privata, sono inevitabili: “È fondamentale investire in politiche che potenzino la rete degli asili nido e ne rendano l'accesso più conveniente a livello economico. Insieme a un miglioramento delle politiche sul congedo parentale, queste misure potrebbero rappresentare un passo decisivo per facilitare l’inserimento delle madri nel mercato del lavoro”.
La Campania
Alcuni passi in avanti si sono fatti: l’offerta del servizio è aumentata nel corso degli anni, pur se in maniera disomogenea e in presenza di rette ancora troppo care, nonostante i sussidi (anche regionali) stanziati. Nel 2021 la regione era all’ultimo posto nel Paese con una copertura regionale dell’11,7% e una profonda difformità tra province, aree interne e costiera, grossi conglomerati urbani e piccoli centri urbani. Nel 2022 l’offerta era già salita di un punto e mezzo arrivando a una copertura del 13,2%, passando dal 15,8% in media garantito dal comune di Napoli, al 40,4% coperto a Salerno e il 19,2% a Benevento, il 14,9% a Caserta e infine il 25,3% ad Avellino. Secondo le previsioni del governo solo la provincia di Benevento riuscirà a raggiungere il 33%, il resto del territorio. “Le risorse del Pnrr destinate alla Campania prevedevano un investimento pari a mezzo miliardo per il finanziamento di 343 interventi”, si legge in una nota della segreteria della Cgil di Napoli e Campania: “Che ne sarà di quei progetti? E quali prospettive per la nostra regione, con gli esiti dell’autonomia differenziata che andranno ad acuire i divari già enormi col resto del Paese e figuriamoci con l’Europa?”. La conclusione della nota è esplicita: “I cittadini campani si aspettano non solo che quelle risorse vengano garantite, ma che siano raggiunte da nuove e ulteriori, affinché l’obiettivo di copertura del 33% che, ribadiamo, è un obiettivo minimo - specie se guardiamo alla riformulazione al 45% da raggiungere entro il 2030 - sia realizzato”.
Gli asili servono ai bambini
Secondo un’indagine di Save the Children i bimbi e le bimbe che hanno frequentato i nidi hanno, nel corso del loro percorso scolastico, risultati migliori non solo sul fronte della capacità di socializzazione, ma anche su quello della capacità di apprendimento della matematica, dell’italiano e sulla capacità motoria. E gli asili servono proprio dove le marginalità sociali ed economiche sono più forti, per garantire almeno qualche ora in ambienti accoglienti, dove sono curati e aiutati a crescere. E servono alle mamme per avere tempo libero dal lavoro di cura per, magari, svolgere lavoro retribuito.
Domanda numero 5
Secondo i dati forniti da Il Sole 24 Ore, a Caivano esistono 22 posti in asilo nido per 1029 bimbi e bimbe. Sono stati stanziati 1,73 milioni per “costruire” altri 72 posti per un totale di 94, stiamo parlando della fantastica soglia del 9%. Non sarà – e qui arriva la domanda – che invece di prevedere il carcere per i genitori che non mandano i figli a scuola, servirebbe di più arrivare a una copertura di posti nido per molti più bambini, a Caivano e negli altri comuni delle regioni meridionali che a Caivano assomigliano? Domanda finale: visti i tagli agli enti locali previsti dalla manovra come faranno i Comuni ad assumere il personale, a pagare le utenze e la gestione ordinaria dei nidi?