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La doccia fredda è arrivata, anche se non inaspettata. Anzi, prevista. L’Istituto nazionale di statistica ha diffuso i dati sullo stato dell’economia italiana, dati che non potevano non registrare gli effetti che il coronavirus ha determinato su consumi e produzione di ricchezza. Il 2020 si è chiuso con un sonoro -8,9 per cento del Pil sull’anno precedente, un po’ meglio rispetto alle previsioni iniziali quando si temeva che la diminuzione sarebbe stata a doppia cifra. Per fortuna si è fatto sentire il rimbalzo positivo dei mesi successivi al primo lockdwon, ma certo non è stato sufficiente a recuperare quanto perso nelle settimane della prima ondata e in quelle della seconda. Il Pil ha registrato una diminuzione in tutti i settori: -6% in agricoltura silvicoltura e pesca, -11,1% nell’industria, -6,3% nelle costruzioni e -8,1 nelle attività dei servizi.
“Non ci sorprendono i dati diffusi quest’oggi dall’Istat. Erano ampiamente prevedibili per l'impatto economico della pandemia che continua a penalizzare il nostro Paese”. Lo afferma la vice segretaria generale della Cgil, Gianna Fracassi. “Un quadro, quello ritratto dall’Istat, con un crollo del Pil di 9 punti determinato in particolare dalla domanda interna, che si realizza - sottolinea la dirigente sindacale - all'interno di una situazione economica prepandemia praticamente di stallo. Ora bisogna evitare, al netto dell’incertezza sanitaria, un peggioramento per il 2021”.
Cerchiamo di capire qualcosa in più. L’Italia si è fermata e anche i consumi interni hanno registrato una battuta d'arresto (-7,8 per cento rispetto all’anno precedente). Ma il dato forse ancor più preoccupante è quello registrato dagli investimenti fissi che si sono ridotti del 9,1%. E anche per il settore delle esportazioni non è andata bene, con una diminuzione del 13,8%, mentre del 12,6% sono diminuite le importazioni.
Quel che aumenta, e di molto, è il debito pubblico arrivato a 155,6% nel 2020 mentre nel 2019 era attestato al 134,6%. Ma è ovvio sia così. Ristori, sussidi e incentivi gravano sull’indebitamento del Paese e dovranno continuare a farlo. Il debito “buono”, quello che produce investimenti e ripartenze dovrà continuare ad esserci. Anche il Commissario europeo all’economia, Paolo Gentiloni, ha affermato che “per i paesi ad alto debito come l’Italia non è il momento del ritorno all’austerità”, anzi – aggiunge l’ex premier parlando all’Ansa – “è molto importante che l’Italia e i paesi ad alto debito continuino a sostenere le loro economie”.
C’è un altro dato, tra quelli diffusi oggi dall’Istat, che preoccupa, ma forse si tratta di una dispercezione ottica: la pressione fiscale passa dal 42,4% del 2019 al 43,1% del 2020. Sono aumentate le tasse? No, sono diminuite nettamente, sempre a causa del coronavirus, le entrate di oltre 6 punti percentuali.
Infine l’inflazione, in media nel 2020 i prezzi hanno registrato una diminuzione pari a 0,2% (da +0,6 del 2019). Al netto degli energetici e degli alimentari, i prezzi crescono dello 0,5% (come nel 2019) e al netto dei soli energetici dello 0,7% (da 0,6% del 2019). Insomma siamo in deflazione, e questa per i conti pubblici non è certo una buona notizia.
“Per risalire la china - aggiunge Fracassi - occorre affrettare gli investimenti e utilizzare tutte le risorse, a partire da quelle nazionali, per sostenere il lavoro”. “Per invertire la tendenza è necessario uno sforzo straordinario che non sarà breve. Al centro di qualsiasi investimento dovrà esserci - conclude la vice segretaria generale della Cgil - la creazione di nuova occupazione e la tutela di quella esistente”.