Altro che ripresa eccezionale, occupazione record, calo della povertà. L’Italia dipinta dalla retorica del Governo Meloni non esiste, o per lo meno non è così piena di successi e vitalità come ci vogliono far credere i toni trionfalisti dell’esecutivo.

A smentire la narrazione e smorzare gli entusiasmi sono i dati dell’Eurostat, l’istituto di statistica europeo, pubblicati nel Quadro di valutazione sociale che monitora i progressi nella Ue: sebbene l’Italia registri dei miglioramenti, rimane la Cenerentola dell’Unione a 27 in tanti ambiti.

Redditi disponibili in calo

A partire dai redditi disponibili reali lordi delle famiglie, che nel 2023 sono diminuiti e si sono attestati a oltre 6 punti al di sotto di quelli del 2008, anno preso a riferimento perché precedente alla grande crisi finanziaria. Adesso la media italiana è del 93,74, contro i 100 di 16 anni fa.

Ma la situazione in Europa è ben diversa: nello stesso periodo si sono recuperati oltre 10 punti, con l'indice a quota a 110,82. La Germania è al 112,59 nel 2023, la Francia a 108,75 nel 2022. Peggio di noi solo la Grecia, che però ha vissuto un crollo senza precedenti. Rispetto alla media Ue, quindi, in Italia i redditi reali sono inferiori di oltre 17 punti: le condizioni economiche delle famiglie sono gravi e continuano a peggiorare, complice anche l’impennata dell’inflazione e la crescita dei prezzi che erode il potere d'acquisto, portandolo sotto i livelli del 2008.

Fonte: Eurostat

Occupazione troppo bassa

Poi c’è il tasso di occupazione: quello tra i cittadini con età tra i 20 e i 64 anni in Italia è salito dal 64,8 per cento del 2022 al 66,3 nel 2023, con una crescita di 1,5 punti; in media nella Ue l’aumento è stato di 0,7, dal 74,6 al 75,3 per cento. Nonostante questo allungo, però, rimaniamo gli ultimi in classifica, distanti dagli altri soprattutto per quanto riguarda l'occupazione femminile.

Stesso trend per la disoccupazione: il nostro Paese ha registrato un calo dello 0,4 per cento, mentre l’Europa ha segnato in media una riduzione di 0,1 punti nello stesso periodo. Ma anche qui siamo molto sotto la media europea.

Poveri pur lavorando

Nonostante i lievi progressi, sono preoccupanti anche i numeri del rischio povertà per chi lavora. Cioè la percentuale di cittadini con più di 18 anni che pur lavorando sono poveri: nel 2023 la quota è scesa al 9,9 per cento dall'11,5 di qualche anno prima.

Questo vuol dire che il 10 per cento degli occupati dipendenti e autonomi ha un reddito inferiore al 60 per cento di quello che è considerato sotto la soglia di povertà. Sono persone che hanno lavori poveri, discontinui, part-time, mal pagati, in nero o grigio. In Europa la percentuale è ferma all’8,3.

Fonte: Eurostat

Lavoro di qualità

"Questi dati Eurostat confermano che il miglioramento degli indici del mercato del lavoro non rappresenta di per sé una buona notizia se non affiancato da qualità e stabilità dei rapporti di lavoro – commenta Maria Grazia Gabrielli, segretaria confederale Cgil -: l'occupazione è uno strumento di protezione dal rischio di povertà solo quando è stabile, tutelata, sicura e dignitosa. Per noi le priorità restano il contrasto ad ogni forma di precarietà, sfruttamento e illegalità e l'aumento delle retribuzioni. Discontinuità e povertà che si riscontrano in molti settori pubblici e privati, dovute per esempio a part-time, appalti e subappalti, sono le condizioni che vanno rimosse per costruire una nuova cultura del lavoro con standard più alti: questa è la strada per colmare le distanze rispetto al resto dei Paesi europei, soprattutto per giovani e donne”.

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Altri divari

Diminuiscono anche i cosiddetti Neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non si formano e non lavorano: 16,1 per cento nel 2023, il dato più basso dall'inizio delle serie storiche del 2009, ma comunque molto più alto della media europea, che è all’11,2.

Migliora la situazione anche sul fronte dell'istruzione: la percentuale di chi lascia la scuola prima del dovuto si abbassa, passando dall'11,5 al 10,5 per cento. E cresce anche il tasso dei laureati, ma anche in questo ambito il divario con il resto dell’Europa è grande: peggio di noi fa solo la Romania.