Più 1,3% di Pil al Sud contro la media nazionale dello 0,9%: il risultato è frutto degli investimenti del Pnrr.

Al Nord il Pil è basso perché frena l’industria. Questi i dati diffusi dalla Svimez, in qualche modo confermati dell’Inps che ha pubblicato i dati sulla cassa integrazione registrando a maggio un boom delle ore autorizzate: 47,2 milioni con un incremento del 36% rispetto allo scorso anno.

A illustrare lo studio è il presidente dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, Adriano Giannola. Finalmente arrivano investimenti e si costruiscono le infrastrutture di cui il meridione, diversamente dal settentrione, è assai carente. Cresce il Pil e cresce l’occupazione ma domani? Secondo Giannola, la scommessa si gioca sulla capacità di dar vita a un sistema che inneschi l’arrivo di investimenti esteri e commerci che a sua volta produca crescita. Scommessa, però, ad alto rischio sia perché manca un’idea e un progetto su quale debba essere la vocazione e il ruolo del Sud. Sia perché l’approvazione della legge sull’autonomia riporterà il Paese nella logica della spesa storica, penalizzando ulteriormente le regioni meridionali, acuendo le diseguaglianze. Il rischio che vede profilarsi il presidente della Svimez è la disgregazione del Paese.

Secondo gli ultimi dati diffusi dalla Svimez, nel 2023 il Pil del Mezzogiorno è cresciuto più del resto di Italia toccando quota 1,3% contro l'1% del Nord e lo 0,4%. Crescita favorita dalle risorse del Pnrr e dall’accelerazione sull’utilizzo degli altri fondi europei.

Sì, la crescita è legata a una maggiore disponibilità rispetto al passato di risorse, e soprattutto di risorse per investimenti in conto capitale. La notizia quindi è che Sud è vivo. È la dimostrazione che se lo si stimola, se gli arrivano risorse reagisce. Negli ultimi decenni non è cresciuto non perché non fosse vivo, ma perché non era stimolato, non aveva risorse, basti pensare che nonostante il vincolo di assegnare al Mezzogiorno il 34% di spesa pubblica in conto capitale non è mai stato così, era sempre sotto il ‘20-21. Nel 2023, nonostante anche questa volta la clausola Pnrr del 40% di risorse da destinare al Sud non sarà rispettata, l’arrivo di investimenti ingenti ha fatto crescere il meridione più del resto del Paese. La scommessa ora, vedremo nel tempo se sarà vinta, è che l'accelerazione consistente di spesa in conto capitale corrisponda a progetti buoni in grado di continuare a sviluppare l’economia e la crescita anche quando saranno realizzati.

A fronte di questa maggiore crescita aumenta anche dell'occupazione, più 2,6%, assai più alta della media del Paese che si ferma al 1,8%.

È la dimostrazione che gli investimenti in contro capitale sono un intervento fisiologico e non patologico, come quello degli anni scorsi quando si destinavano al Sud interventi residuali e di tipo assistenziale che avevano come obiettivo non far crollare troppo il sistema, dirottando altrove le risorse in grado di attivare la crescita. È quindi vera la nostra convinzione che, nonostante quel che pensano al Nord, se il Sud viene curato bene può attivare tutto il Paese. Certo, oltre alle risorse, ci vogliono progetti, idee, una strategia complessiva su cosa debba essere il Mezzogiorno e l’intero Paese.

Il settore nel quale la crescita è maggiore è quello delle costruzioni. Se si parte da Napoli e si va verso la Sicilia ci si accorge che l'infrastrutturazione materiale delle regioni meridionali è assai inferiore a quella delle regioni settentrionali. Appena si comincia a costruire alta velocità e strade cresce il Pil e cresce l'occupazione: ma non sarà che negli anni scorsi tutte le risorse disponibili sono state dirottate al Centro e al Nord, quella parte del Paese si è infrastrutturata e il Mezzogiorno no?

È così: questa è la dimostrazione di una sottovalutazione del Mezzogiorno, l’idea del Sud come palla al piede si dimostra falsa. Così come falsa è la vulgata che i meridionali abbiano avuto tanti soldi e li hanno sprecati. Il Sud ha bisogno come il pane di una spinta infrastrutturale che lo renda attrattivo rispetto ad ulteriori investimenti che arrivino dall'esterno. Noi della Svimez è da tempo che lo sosteniamo dicendo, ad esempio, che i quattro porti Taranto, Napoli, Bari e Gioia Tauro dovevano essere attrezzati sia con banchine grandi ed efficienti per trasferire una parte di mobilità dalla strada al mare, sia collegati tra di loro attraverso infrastrutture per dar vita a un enorme quadrilatero di interscambi tra Tirreno e Adriatico creando le condizioni per far diventare l'Italia il perno europeo nel Mediterraneo. Siamo stati inascoltati, si è preferito individuare Trieste e Genova come porti strategici, senza capire che solo se si mettono tutti insieme l'Italia può diventare l'alternativa a Rotterdam e ai porti del Nord-Europa. Tanto più oggi che la Germania è alle prese con grandi problemi, il Mediterraneo torna strategicamente centrale anche proprio per la Germania: noi dobbiamo essere pronti a offrire i servizi e cogliere queste opportunità. Purtroppo vedo che il Pnnr non è orientato con determinazione in questa direzione.

Quale dovrebbe essere, allora, il suggerimento che arriva dai vostri dati?

Il Sud è vivo. Occorre far sì che la sua vivacità si trasmetta anche al Nord, e contemporaneamente Nord e Sud possano riprendere una relazione fisiologica di sviluppo per l’intero Paese. I dati dimostrano come la situazione dell’Italia sia preoccupante, le Marche e l’Umbria stanno entrando nelle politiche di coesione, la Toscana ci si avvicina, l'Emilia e la Lombardia stanno regredendo sia pur rimanendo tra le regioni più ricche d'Europa, ma da vent'anni stanno andando indietro. Il settentrione sta vivendo un incubo e vede tutte le risorse date al Sud come una sottrazione alla sua salvezza, senza capire che la sua salvezza può arrivare solo se il sistema Italia torna in una posizione di centralità che solo la logistica e la via del mare possono ridargli.

È una vecchia storia: il Nord continua a ritenere che il Sud gli sottragga risorse, ma se ci limitiamo al Pnnr ben oltre il 60% delle risorse sono investite al Nord e al centro, eppure crescono meno del Sud.

Scontano l’indebolimento del rapporto con la Germania, perché quel Paese è in difficoltà, dimostrando che la tanto mitizzata catena del valore altro non è che la subfornitura che l’Italia fa alla Germania. Il Nord continua a ritenere che ogni spesa fatta al Sud li penalizzi senza capire che il loro grande mercato è il Mezzogiorno, nonostante sia stato molto penalizzato da vent'anni di austerità estrattiva. Occorre capire che la ripresa dello sviluppo passa dal rafforzamento del Paese nel Mediterraneo, dove può svolgere il ruolo di intermediario con il Nord Europa. Il Nord, invece, ritiene che con l’autonomia di Calderoli, ottenendo sovranità su una serie di funzioni, dimostrerà di essere più bravo e più efficiente.

Ma allora il vero obiettivo dell'autonomia differenziata è evitare la sottrazione di risorse attraverso il meccanismo della spesa storica, con buona pace dei Lep?

Esiste un grosso equivoco di cui nessuno parla, che è invece il cuore della legge Calderoli, che apparentemente dice una cosa di grande magnanimità: non si possono devolvere le materie a cui sono collegati i Livelli essenziali delle prestazioni che devono essere definiti entro 24 mesi. Se pur i Lep venissero definiti, i soldi per finanziarli non ci saranno e allora si procederà con la spesa storica. Il vero obiettivo di questa autonomia è di far passare il principio della spesa storica che approfondirà, come già avviene, le diseguaglianze tra Nord e Sud. E contemporaneamente l'affermazione della sovranità regionale, che porterà alla reazione del Sud e alla disgregazione del Paese. La legge appena varata è, inoltre, l’inversione della prassi costituzionale.

Professore, una volta finite le risorse del Pnrr e tornati alla spesa storica che è tutta sbilanciata a favore del Nord, con l’autonomia , cosa succederà al Mezzogiorno?

È facile prevedere il peggio: torneremo a non crescere. Dobbiamo scommettere che negli ultimi due anni di attuazione del Piano europeo si facciano i fuochi d'artificio innescando una crescita che si autoriproduce, altrimenti si tornerà alla situazione precedente. Il punto allora è come si sono spesi e si stanno spendendo i soldi che oggi fanno crescere il Pil ma domani? Riusciremo a far partire il motore che rimetta in moto tutto il Paese? La Svimez aveva sottolineato che doveva essere utilizzato per far ripartire i diritti civili, scuola e sanità, ma soprattutto che occorreva avere un progetto per i porti e per la logistica delle zone economiche special, rimettendo in moto tutto il sistema. Così che una volta finite le risorse del Pnrr si continua a crescere perché aumentano i commerci, i trasferimenti, gli investimenti esterni. Insomma occorre fare del Sud un grande polo della logistica incuneato nel Mediterraneo, con i nodi ferroviari interconnessi che favoriscano i collegamenti e quindi lo sviluppo delle aree interne, eccetera. Se questo non avviene – e non sta avvenendo in modo significativo – il contraccolpo sarà pesante, il turismo non è sufficiente. Temo che una serie di opportunità andranno perse; certo si stanno realizzando una serie di opere importanti ma manca un disegno e una vocazione, e l’approvazione dell’autonomia certo non fa ben sperare, anzi.