I ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri. Nel mondo come in Italia. La denuncia arriva dal nuovo rapporto Oxfam presentato a Davos in occasione dell’apertura del World economic forum: la ricchezza dei miliardari è cresciuta, in termini reali, di 2 mila miliardi di dollari nel 2024, circa 5,7 miliardi al giorno, tre volte più velocemente dell’anno precedente, mentre 3,5 miliardi di persone vivono con meno di 6,85 dollari al giorno, cioè sotto la soglia di povertà, lo stesso numero del 1990.

Rallenta anche il tasso di riduzione della povertà estrema, in cui versa chi non ha più di 2,15 dollari al giorno, allontanando così l’obiettivo di eliminare la povertà globale entro il 2030.

Mentre a Washington il neoeletto presidente Usa Donald Trump ha ospitato sul palco dell’Inauguration day più costoso della storia i paperoni della tecno-oligarchia mondiale, da Musk e Zuckeberg al ceo di TikTok, la ong impegnata nella lotta alle disuguaglianze snocciola i numeri di un sistema ingiusto, dove i Paesi del Nord del mondo drenano dal Sud mille miliardi l’anno, grazie ai vantaggi che vengono dalle valute e dai costi di finanziamento.

Simmetria perversa

“Il report parla di simmetria perversa, che è raccontata da due dati”, spiega Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia: “L’1 per cento più ricco del mondo possiede quasi il 45 per cento della ricchezza del pianeta, mentre il 44 per cento della popolazione globale, invece, vive oggi con meno di 6,85 dollari al giorno, una delle soglie di povertà monitorate dalla Banca mondiale. Il sistema economico genera vincitori e vinti, dove i vincitori sono quelli che si trovano al vertice, i miliardari che nonostante l’inflazione hanno visto una robusta crescita dei propri patrimoni, anche grazie ai risultati record dei mercati finanziari. Dall’altra parte ci sono i vinti, che non riescono ad avere un’esistenza dignitosa”.

Moderno colonialismo

Uno squilibrio che c’è anche tra Nord e Sud globale: i Paesi ad alto reddito controllano il 69 per cento della ricchezza, nonostante rappresentino appena il 21 per cento della popolazione del pianeta, e grazie al sistema dei pagamenti internazionali e ai costi di finanziamento, estraggono ogni anno quasi mille miliardi di dollari dal Sud.

Dall’altra parte, il Sud contribuisce per il 90 per cento alla forza lavoro totale, ma riceve solo il 21 per cento del reddito da lavoro. Con differenze salariali incredibili: si stima che i salari dei lavoratori del Sud siano inferiori dell’87-95 per cento rispetto a quelli del Nord, a parità di competenze. Una forma di moderno colonialismo.

Ma quale merito

Un focus importante riguarda la provenienza di questa ricchezza. Ai paperoni piace dire che per accumulare enormi patrimoni ci vogliono abilità, determinazione e duro lavoro. Ma la verità è che gran parte della ricchezza estrema non è frutto del merito.

“Oltre un terzo delle fortune dei miliardari deriva da eredità e tutti i miliardari sotto i 30 anni hanno ereditato i propri patrimoni”, prosegue Maslennikov: “Non basta. Si prevede che nei prossimi due o tre decenni più di mille miliardari lasceranno oltre 5.200 miliardi di dollari ai propri eredi, spesso non tassati, perché i due terzi dei Paesi applicano imposte di successione irrisorie. Inoltre, chi è più ricco è anche colui che ha il potere di condizionare le scelte della politica. La crescita delle fortune è in parte riconducibile a sistemi di relazioni clientelari e, soprattutto, intrecciata con l’immenso potere di mercato esercitato dalle imprese che controllano o dirigono”.

E in Italia?

La situazione in Italia rispecchia quella globale: il 5 per cento più ricco delle famiglie possiede quasi il 20 per cento in più della ricchezza complessivamente detenuta dal 90 per cento più povero. La ricchezza, quindi, è concentrata al vertice: i gruppi sociali più abbienti hanno visto crescere significativamente le proprie fortune negli ultimi decenni.

E mentre quasi i due terzi della ricchezza miliardaria è frutto di eredità anche in Italia, la povertà assoluta si attesta oltre il livello di guardia, con poco più di 2,2 milioni di famiglie per un totale di 5,7 milioni di persone che non dispongono di risorse mensili sufficienti ad acquistare beni e servizi essenziali.

Poveri senza misure

“Anche se il mercato del lavoro ha registrato un andamento positivo nel 2023, non c’è stata una riduzione della povertà assoluta”, prosegue Mikhail Maslennikov di Oxfam Italia; “E le misure di contrasto non hanno funzionato. Rispetto al reddito di cittadinanza, l’assegno di inclusione ha comportato una riduzione del 37,6 per cento dei beneficiari, se si eccettuano i nuclei con i minori. Fallimentare è anche l’esperienza del supporto per la formazione e il lavoro che va prefigurando, per i suoi percettori, una lenta transizione dall’occupabilità alla disperazione”.

Salari ai minimi

Nel frattempo, secondo Oxfam, il salario medio annuale reale è rimasto pressoché invariato negli ultimi trent’anni: mentre tra il 2019 e il 2023 le retribuzioni sono cresciute in media del 6-7 per cento e quelle nette di ulteriori 3 punti, nello stesso periodo l’inflazione si è attestata intorno al 17-18 per cento. Il risultato? Una contrazione del salario lordo reale di oltre 10 punti.

“Anziché adottare toni trionfalistici sulla crescita dell’occupazione, il governo dovrebbe affrontare le debolezze del mercato del lavoro – dice ancora Maslennikov – favorendo la riduzione dei divari retributivi e delle sacche di lavoro povero. Manca una chiara politica industriale orientata alla creazione di buona occupazione, che dovrebbe essere accompagnata dal rafforzamento della contrattazione collettiva e dalla revisione del sistema di fissazione dei salari. E ancora. È stato anche affossato il salario minimo legale come tutela dei lavoratori più fragili e meno protetti. Insistere sulla liberalizzazione dei contratti a termine, di somministrazione e stagionali e ridurre le tutele del lavoro negli appalti rischia di esasperare ulteriormente saltuarietà, discontinuità e precarietà lavorativa”.

Fisco iniquo

La ong affronta infine la questione fiscale: il 7 per cento dei contribuenti più ricchi paga meno imposte dirette, indirette e contributi di un infermiere o un insegnante, in proporzione al proprio reddito.

“C’è qualcosa che non va”, conclude Maslennikov: “La frammentazione del sistema fiscale in tanti regimi, le preferenze per alcune categorie che non contribuiscono appieno al finanziamento di beni e servizi cui sono associati diritti come istruzione e sanità, di cui loro stessi godono. Le misure del governo su questa materia nel 2024 prefigurano un tradimento della democrazia fiscale. E la legge sull’autonomia differenziata certo non contrasterà le disuguaglianze”.