A legger con attenzione le tabelle dei conti pubblici si “scopre” il perché della pervicace perseveranza di alcune Regioni e della Lega nel voler attuare immediatamente l’autonomia differenziata, nonostante la legge Calderoli imporrebbe che senza la determinazione dei Lep e la definizione dei relativi finanziamenti non si possa fare.

La lettura di quel che sta accadendo la fornisce uno studio dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’università Cattolica di Milano: “La regione che ha versato di più allo Stato è la Lombardia che ha un avanzo di bilancio di ben 56,8 miliardi di euro, quasi il 60% del residuo del Centro-Nord e il 90% del residuo fiscale – positivo – del Mezzogiorno”. Il cuore della questione è tutto qui, nonostante la propaganda Salvini e i governatori della Lega, Fontana e Zaia in testa, vogliano mantenere nella singola regione la differenza tra quanto entra con le tasse e quanto spendono per servizi e salari pubblici. Dimenticando che la Costituzione afferma solidarietà, equità, uguaglianza.

Rossella Arcano

La studiosa

Rossana Arcano è una giovanissima economista (non arriva a 30 anni) che, insieme ad Alessio Capaci e Giampaolo Galli, per l’Osservatorio sui conti pubblici italiani ha analizzato incrociando i numeri dei conti pubblici e simulando come cambierebbero le cose con l’autonomia voluta da Calderoli.

Per capire l’impegno e la passione che Arcano trasmette a chi l’ascolta occorre conoscerla meglio: “Sono laureata in Economia, banca e finanza all’università di Messina e specializzanda in Banking and finance all’università Cattolica di Milano. La volontà di migliorare la mia terra natale – la Calabria – mi ha spinto a studiare l’economia criminale, insieme alla mia grande passione per la macroeconomia. Il mio sogno nel cassetto? Insegnare economia criminale e occuparmene in politica”.

Lo studio

“Si dice che l'autonomia differenziata ridurrà il divario Nord-Sud, in realtà – afferma l’economista prima di illustrare lo studio – per come è stata predisposta credo lo andrà ad aggravare ancor di più”. Perché? Facilmente intuibile, oggi tutte le risorse provenienti da tasse e imposte vengono versate interamente dalle regioni dove si producono nelle casse dello Stato, l’ammontare arrivato viene poi redistribuito a tutte le regioni non in ragione di quanto hanno versato ma in ragione di una serie di parametri uguali per tutti, dal numero degli abitanti all’età degli stessi, per garantire in ogni territorio il funzionamento della pubblica amministrazione, l’erogazione dei servizi dalla sanità all’istruzione, dalla mobilità agli asili nido e così continuando.

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Cosa cambierebbe

Praticamente tutto. Occorre innanzitutto tenere presente che la legge Calderoli afferma che l’autonomia differenziata deve realizzarsi a invarianza di spesa per lo Stato e che non può entrare in vigore senza la definizione dei Lep e fissa in 24 i mesi il tempo che il governo ha per definirli. Per illustrarci lo studio Arcano rileva con forza le contraddizioni contenute nella legge stessa: “La norma stabilisce che nel determinare i Lep non possono derivare nuovi o maggiori oneri, questa è la prima forma di incoerenza. Da un lato, le Regioni non debbono generare nuovi oneri, dall'altro lato, lo possono fare perché nel caso in cui le entrate proprie siano maggiori alle uscite le Regioni avrebbero la possibilità di poter reintegrare quelle maggiori risorse all'interno della Regione stessa”.

L’arcano del residuo fiscale

Essendo la Repubblica italiana una e indivisibile, così recita l’articolo 5 della Carta, tutto è di tutti e l’avanzo positivo di un territorio serve a finanziare quello con avanzo passivo. Che cosa è il residuo fiscale e perché è importante è ancora Arcano a spiegarlo: “E’ quella specie di tesoretto che oggi salva il Meridione e salva l'Italia. È il maggior gettito che viene trasferito allo Stato che poi, secondo la logica della redistribuzione, va destinato alle Regioni in difficoltà”.

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La trappola della spesa storica

Oggi il meccanismo è chiaro e nonostante lo sia nel corso degli anni si sono stratificati divari tra Nord e Sud che hanno molte cause, alcune antiche alcune più recenti. Basti pensare che le risorse per alcuni servizi, gli asili nido ad esempio, vengono assegnate non in ragione delle necessità ma secondo quanto speso negli anni precedenti. E così in Emilia Romagna, che ha tanti posti nei nidi e quindi spende tanto, vengono elargite ogni anno molte risorse per quel servizio; in Campania, Calabria o Sicilia, che di asili non ce ne son,o non arrivano risorse. Domanda, come si costruiranno e pagheranno quei posti nei nidi che non ci sono senza soldi? E la stortura ingiusta si perpetua all’infinito.

Perché salterebbe il principio di solidarietà

Se la legge Calderoli afferma “senza maggiori oneri” dove sta la preoccupazione? La spiegazione la fornisce la ricercatrice dell’Osservatorio: “Qualora una regione ottenga la possibilità di avere l'autonomia su quella determinata materia, se non è sottoposta a Lep si fa riferimento alla spesa storia, se è una materia Lep si può utilizzare all'interno della propria regione quelle determinate risorse del residuo fiscale p. A questo punto si crea un problema, in che modo vengono aiutate le regioni più in difficoltà?”. Ecco svelato il trucco, il senza oneri vale per lo Stato nel suo complesso non per la singola regione.

Tanti miliardi

Ma di quali cifre parliamo? Di quelle che nonostante il considerevole debito pubblico, consentono al Paese di funzionare, ancorché in maniera diseguale. Secondo lo studio stiamo parlando di quasi 32 miliardi che lo Stato redistribuisce alle regioni meridionali. O almeno questa era la cifra nel 2019, lo studio infatti analizza gli ultimi dati resi disponibili da Banca di Italia e afferma: “Il Centro-Nord contribuisce con quasi 100 miliardi (95,9) al bilancio aggregato del sistema Italia. Il Mezzogiorno invece assorbe risorse dall’esterno per un po’ più 60 miliardi (64,2). La somma algebrica di queste due cifre è il bilancio primario dell’Italia che nel 2019 era pari a 31,7 miliardi di euro e l’1,8% del Pil”.

Lo Stato senza più residuo fiscale

E cosa succederebbe all’Italia se al bilancio nazionale mancassero oltre 95 miliardi? Non esisterebbe più. Scenario irrealistico? Forse ma i numeri non mentono: “Se, per assurdo, le regioni del Centro-Nord si coalizzassero per fare ciò che la Regione Veneto aveva richiesto nel 2017, ossia trattenere per intero (o quasi) il proprio residuo, il costo per lo Stato sarebbe di 95,9 miliardi di euro (5,3% del Pil nazionale dell’anno), pari al 24% del Pil del Mezzogiorno”. Converrebbe tutto questo alle regioni del Nord? Ai cittadini e alle cittadine del settentrione o ai sui imprenditori? Certamente no.

Uno scenario altrettanto catastrofico

Arcano illustra che cercando di mitigare i problemi, insieme ai suoi colleghi, ha provato a verificare cosa succederebbe se invece che l’intero residuo fiscale le regioni con il maggior gettito fiscale trattenessero solo 2 punti del proprio Pil regionale. Due sono gli scenari che si aprirebbero: far confluire nel calderone del debito pubblico nazionale quei 2 punti di Pil continuando a fornire le stesse risorse alle regioni del Sud, oppure lasciarle al proprio destino. Questo il risultato: “Facendo confluire questi due punti aggiuntivi nel deficit della PA, il saldo primario nazionale peggiorerebbe di 1,4 punti percentuali del Pil (da 1,8% del Pil a 0,4%). Si noti che si tratterebbe di un peggioramento molto rilevante in quanto sarebbe a carattere permanente. Qualora lo Stato cercasse di ovviare a questa diminuzione di risorse penalizzando il Mezzogiorno, la riduzione della spesa per il Sud sarebbe pari al 6,2% del suo Pil”. L’una e l’altra ipotesi insostenibili economicamente, socialmente, costituzionalmente.

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