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I dati sono drammaticamente chiari. Il coronavirus, come gli altri agenti patogeni, non è affatto democratico. Uccide “spesso i più i più poveri e storicamente emarginati in misura prevalente rispetto a ricchi e privilegiati” lo afferma il Rapporto Oxafam di quest’anno che aggiunge: “In alcuni paesi, le persone più povere hanno avuto quasi quattro volte più probabilità di morire di Covid-19 rispetto alle persone più ricche. Nuovi dati suggeriscono che il tasso di mortalità per contagio da Covid nei paesi a medio basso reddito è in realtà circa il doppio di quello dei paesi ricchi”. Insomma i poveri muoiono di più dei ricchi e la pandemia fa aumentare i poveri. E questo vale in ogni paese, ad ogni latitudine e aggrava la distanza tra i paesi del Nord e del Sud del mondo. Inevitabile? Certo che no. Le disuguaglianze non sono un dato di natura, sono le conseguenze delle scelte di modello di sviluppo ed economico che si compiono. Come diceva il compianto professor Gallino, la lotta di classe tra ricchi e poveri esiste eccome, la si continua a combattere e la continuano a vincere i ricchi.
Alcuni esempi? È sempre Oxfam a dirlo: “I paesi che hanno perseguito politiche di austerità hanno tassi di mortalità Covid più elevati. Anche nell’Unione Europea, dove alcuni Stati membri hanno sistemi sanitari universali, la privatizzazione ha indebolito la capacità dei paesi di rispondere alla pandemia. In altre parole, l’austerità uccide”. Quale hybris alberga nelle menti dei potenti del mondo al punto da creare un sistema che si autoalimenta in negativo?
Veniamo al nostro Paese. Certo, nel 1978 il Parlamento italiano approvò la legge che istituiva il Servizio sanitario nazionale pubblico e universale, ma negli ultimi vent'anni, immolandolo sull’altare dell’austerità e del neo liberismo, gli sono stati sottratti oltre 30 miliardi di euro, e migliaia di operatori e operatrici, grazie al blocco del turn over e a una norma capestro che ogni anno limita le risorse che il sistema può spendere per il personale. Nel frattempo la sanità privata si è arricchita e continua farlo, e le famiglie meno fortunate o si impoveriscono per “comprare salute”, o non si curano perché non riescono a pagare ciò che il pubblico non è in grado di fornire a tutti.
Secondo il Bilancio di welfare delle famiglie italiane di Cerved, nel 2021 ben il 50,2 per cento delle famiglie italiane ha dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie, o a causa di difficoltà economica, o per indisponibilità del servizio, o per offerte inadeguate. Ormai è cosa nota che il coronavirus ha causato malattia diretta a chi si è contagiato, e malattia indiretta a chi a causa dell’indisponibilità di ospedali e ambulatori non ha potuto prevenire o curare altre patologie.
E se è vero che nella legge di bilancio 2022 c’è un incremento di 2 miliardi del Fondo sanitario nazionale, questa cifra non basta nemmeno a restituire alle Regioni quanto hanno speso per l’emergenza Covid, somme che il governo si era impegnato a risarcire. E non finisce qui. La Nadef, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza approvata lo scorso settembre, dovrebbe aver fatto saltare sulla sedia in molti e invece così non è stato. Lì c’è scritto nero su bianco che l’incidenza della spesa sanitaria sul Pil è in costante decrescita. Nel 2020 era il 7,3 per cento, nel 2021 il 7,1 e la curva al ribasso la porterà al 6,1 per cento nel 2024. Anche questo inevitabile? Assolutamente no, anche questo è frutto di scelte e di priorità che si dà chi si occupa dei conti pubblici. Andrebbe, però, ricordato che l’Organizzazione mondiale della sanità afferma – da prima che il coronavirus si diffondesse nel mondo - che in quei paesi in cui la spesa per la sanità incide per meno del 6,5 per cento sul Pil, la salute pubblica è a rischio. Sembrerebbe che il governo abbia scelto di andare in direzione contraria a ciò che bisognerebbe fare.
Se l’hybris non fosse così potente, i governati del mondo - e quelli italiani - si renderebbero conto che una delle ragioni del prolungamento della pandemia dipende proprio dalle disuguaglianze. Perché le varianti di Covid-19 si sviluppano là dove l’immunità di gregge non si raggiunge. E allora è facile capire che, visto che l’80 per cento delle dosi di vaccino è stato utilizzato nei paesi del G20, mentre meno dell’un per cento delle dosi ha raggiunto i paesi a basso reddito, la causa di Omicron e della quarta ondata è da ricercarsi anche proprio nelle disuguaglianze. E, contraddizione nelle contraddizioni, ciascun governo dei paesi che possono permetterselo paga attorno ai 20 euro le dosi, e le aziende produttrici fanno profitti stellari, ma le risorse utilizzate per la ricerca dei sieri sono state in gran parte pubbliche.
“Questo è un esempio lampante – scrive ancora Oxfam – di come le disuguaglianze si intersecano. La mancanza di accesso ai vaccini sta ampliando il divario tra paesi ricchi e poveri e ritardando la ripresa globale, che a sua volta sta ampliando le disuguaglianze economiche, di genere e razziali causate dalla pandemia”.
Anche questo inevitabile? Assolutamente no. Basterebbe sospendere, almeno sospendere, la proprietà intellettuale sui vaccini e sui farmaci utili a contrastare il coronavirus, e consentire ai paesi dei diversi Sud del mondo di produrli e distribuirli. È bene sapere che, diversamente da quanto si crede, sono oltre 100 le aziende in Africa, Asia e America Latina che hanno la capacità di produrre vaccini a mRna contro il Covid-19. Sono in grado di farlo ma non possono a causa dei brevetti. La salute è un diritto – probabilmente sarebbe più giusto affermare "dovrebbe essere un diritto" – per tutte e tutti i cittadini del mondo e come tale deve essere garantito, la solidarietà in alcuni casi è la benvenuta ed è inevitabile, ma non si può trasformare un diritto in carità.
La strada per sconfiggere la pandemia, e non solo, è chiara a chi gli dei non acceca: ridurre le disuguaglianze, economiche, sociali, di genere, di razza.