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Ad ottobre 2021 l’occupazione cresce di +35 mila unità (solo uomini) rispetto al mese precedente. Si tratta di una crescita veramente esigua (+0,2%) se rapportata all’andamento del Pil che, invece, nel terzo trimestre di quest’anno è cresciuto del +2,6% (rispetto al secondo trimestre). Se dunque, su base annua, prosegue un parziale recupero (+390 mila occupati rispetto ad ottobre 2020), la sua intensità è troppo bassa. Non solo non si recupera ancora il dato immediatamente pre-pandemico (-188 mila occupati rispetto a febbraio 2020) ma mancano ancora più di 250 mila unità rispetto ad ottobre del 2019.
In secondo luogo, l’incremento occupazionale dell’ultimo anno riguarda prevalentemente la componente maschile (circa il 70%) rispetto a quella femminile (poco più del 30%). Questo accentua ancora di più gli elementi di diseguaglianza e rappresenta il punto principale di differenza fra il tasso di occupazione italiano e quello europeo che risiede proprio nel tasso di occupazione femminile. Un dato particolarmente negativo che ad ottobre si è ancora incrementato.
Infine, il problema della qualità di questa insufficiente crescita numerica dell’occupazione è enorme. Nell’ultimo anno i lavoratori a termine sono cresciuti di +14,3% (contro il +0,9% dei lavoratori a tempo indeterminato). Invece, rispetto a febbraio del 2020, i lavoratori dipendenti crescono esclusivamente per l’aumento dei precari che ad ottobre 2021 hanno raggiunto la quota di 3 milioni e 67 mila unità.
Per quanto riguarda i lavoratori indipendenti, invece, si registrano dati negativi sia su base mensile che annuale e soprattutto anche rispetto al periodo pre-pandemico. Mancano ancora due mesi per i dati conclusivi per il 2021 ma gli elementi già a nostra disposizione ci consentono alcune letture: la ripresa economica si trasmette in maniera decisamente lenta sulla quantità di lavoro e, a questo punto, probabilmente il recupero del pil sarà più veloce del recupero relativo all’occupazione.
Quello che però colpisce particolarmente è il meccanismo di precarizzazione in atto che riguarda tutti ma in modo evidente i più giovani, a cui va sommato una disoccupazione attualmente al 9,4% (2 milioni e 373 mila disoccupati) che su base annua sarà mediamente più alta e una percentuale di part-time involontario di circa i due terzi del totale. Problemi già commentati nei mesi precedenti ma costantemente in fase di accentuazione e particolarmente pericolosi se collocati in una fase di così forte crescita e della prima fase degli investimenti legati al Pnrr.
Fulvio Fammoni è il presidente della Fondazione Di Vittorio