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"Una persona a mare, dice il diritto internazionale, va salvata e noi la salviamo". Detto così è semplicissimo capire cosa fa una nave umanitaria e perché non può fare altrimenti. Francesco Creazzo lavora per Sos Mediterranee Italia ed è da qui che parte il suo racconto di cosa sta accadendo sulla Ocean Viking, costretta a neanche venti miglia a sud di Pozzallo, in quel braccio di mare che divide la Sicilia da Malta. Ci sono centottanta persone a bordo e c'è una barca in balia delle onde e del solito rimpallo di responsabilità. Lo slogan porti chiusi sembrava essere stato archiviato con il cambio di governo dello scorso agosto, eppure, quasi un anno più tardi, questa storia di mare e umanità tradita ricorda da vicino quella della Sea Watch all'epoca capitanata da Carola Rackete.
Dopo aver avanzato sette richieste di assegnazione di porto sicuro in una sola settimana e dopo sei tentativi di suicidio da parte dei migranti sopravvissuti ai naufragi e salvati tra il 25 e il 30 giugno, il comandante della Ocean Viking è stato costretto a dichiarare lo stato d'emergenza: "La situazione a bordo - si legge nel comunicato diramato dalla ong - è deteriorata al punto che la sicurezza dei centottanta sopravvissuti e dell'equipaggio non può più essere garantita".
"Non è la prima volta che ci troviamo in uno stallo del genere, - spiega Francesco - capitò anche con la nave Aquarius già nel 2017 e allora fummo costretti ad affrontare il mare grosso e a dirigerci a Valencia. Ma è certo la prima volta in cui dobbiamo ammettere che non possiamo garantire la sicurezza a bordo. La tensione sulla nave è altissima: tre persone hanno tentato di lanciarsi in mare, due sono state recuperate, il terzo è stato fermato prima che cadesse in acqua. Un gruppo minaccia atti di autolesionismo e violenza. Delle sette richieste di porto sicuro che abbiamo avanzato alle autorità italiane e maltesi, due hanno ricevuto risposta negativa, cinque sono finite nel vuoto. La dichiarazione dello stato d'emergenza avrebbe comportato assistenza immediata invece dall'Italia è stato disposto solo l'invio di un team medico arrivato questa mattina e tuttora a bordo. Non sappiamo quale sarà l'esito di questa visita. Per 44 persone avevamo chiesto l'evacuazione".
Il disagio è forte, il rischio che alcuni dei migranti soccorsi in questi giorni infliggano danni e sofferenze a se stessi e agli altri altissimo. L'ultimo tentativo nella mattinata di venerdì quando un uomo ha tentato di impiccarsi. Pesano nella mente e nei corpi il vissuto nei campi di concentramento libici, le torture, le violenze, l'impossibilità di contattare parenti, legami, affetti. La riva europea è in vista ma la salvezza appare ancora lontana mentre il mare si ingrossa e le condizioni meteorologiche peggiorano.
"Un gruppo dovrebbe essere partito dalla Tunisia - racconta ancora Francesco - ma la stragrande maggioranza è salpata dalla Libia. Le loro storie e i loro racconti ci confermano quello che già sapevamo: quel Paese è un inferno dove subiscono ogni tipo di abuso fisico e psicologico. Ci sono anche vittime inconsapevoli come un signore bengalese che era partito per cercare fortuna in Europa e si è ritrovato in Libia senza poter andare più avanti né poter tornare indietro, detenuto in quei centri dove nella migliore delle ipotesi si è solo prigionieri, in tantissimi casi, invece, torturati, picchiati, violentati allo scopo di estorcere denaro. Sulla nave resta anche una donna incinta al quinto mese".
Ancora una volta il diritto marittimo e quello umano sono calpestati: "Il salvataggio è completo solo quando i sopravvissuti hanno raggiunto un luogo sicuro e tale luogo deve essere fornito dalle autorità marittime competenti". "L'Europa - conclude amaro Francesco - ha dimostrato in questi mesi di avere un problema con la condivisione di oneri e responsabilità. Erano stati stilati gli accordi di Malta per la redistribuzione dei migranti, ci chiediamo che fine abbiano fatto e chiediamo anche che vengano ripristinati al più presto. Non si possono lasciare i Paesi costieri da soli e d'altronde questa, come ripetiamo da troppo tempo, non è un'emergenza ma una realtà umanitaria che va avanti da anni. Intanto mentre gli Stati non assolvono agli obblighi che derivano loro dal diritto internazionale, la società civile di cui Sos Mediterranee è espressione si trova a supplire a quei doveri che in realtà spetterebbero proprio a loro".
Tutti in silenzio i governi. L'Europa intera muta. Come sempre, più di sempre, impietosamente indifferente alla legge della mare e a quella umana.