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A Trieste il Festival Sabir, un evento diffuso e uno spazio di riflessioni sulle culture mediterranee che dall'11 al 13 maggio darà vita a 30 incontri con un centinaio di esponenti dell'attivismo, del mondo accademico, delle istituzioni locali nazionali e internazionali per analizzare i fenomeni migratori e sociali e costruire alternative.
L'evento, promosso da ARCI insieme a Caritas Italiana, ACLI e CGIL, con la collaborazione di ASGI e Carta di Roma, è alla sua nona edizione, dopo essere stato ospitato negli scorsi anni nei luoghi simbolo della Sicilia, della Puglia e della Basilicata. E anche Trieste è una scelta simbolica, un crocevia di culture e approdo dei migranti che percorrono la rotta balcanica.
Non solamente, il capoluogo giuliano è "il luogo che evoca l'Europa che si vuole costruire, uno spazio accogliente di democrazia e di rispetto dei diritti umani, contro l'idea che si sta invece diffondendo di un'Europa dei muri", ci spiega Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell'Arci, il quale ci ricorda anche il significato della parola Sabir, che sta a indicare la lingua comune usata nel mediterraneo, costituita da un lessico eterogeneo e che serviva a fare parlare tra loro i marinai di diversa provenienza. Ed è infatti "importante ricostruire un linguaggio comune"in questo grande bacino, per chi lo abita e per chi, sempre più, lo attraversa giungendo da molto lontano.
Tra gli scopi del Festival, dice Miraglia, "c'è quello di coinvolgere le istituzioni per un confronto che serva a trovare soluzioni, magari anche entrando in conflitto (come accade spesso), ma sviluppando un approfondimento che è anche un punto importante per la battaglia che noi, come associazioni, conduciamo tutto l'anno per promuovere i diritti delle persone di origine straniera".
Come già accennato dall'esponente dell'Arci, la preoccupazione, oggetto anche dei dibattiti di Sabir, è su come l'Europa stia costruendo la propria identità attraverso la "separazione dal resto del mondo, la costruzione di muri', ed è per questo che durante il Festival verranno presentate proposte in materia "di accoglienza, di accesso dei migranti in maniera sicura e legale per protezione e lavoro, di ricerca e salvataggio e di esternalizzazione delle frontiere", per contrastare le politiche che chiudono i confini anziché aprirli.
Sabir vuole quindi essere "uno spazio della società civile non equidistante ma schierata dalla parte delle vittime e contro tutti gli oppressori", si legge nella pagina di presentazione del Festival, uno scambio di buone pratiche, "per raccontare e costruire esperienze che tutelano i diritti e le libertà fondamentali delle persone", quelle storie che "spesso non trovano spazio nella narrazione pubblica",
"Vogliamo ribadire - concludono gli organizzatori - che la guerra in Ucraina e le altre crisi del nostro pianeta possono essere affrontate solo lasciando al centro le persone e i loro diritti, a prescindere dalla nazionalità.
L’obiettivo finale, è che Sabir continui a essere un’opportunità di mobilitazione e attivazione, riflessione e lavoro condiviso a livello locale, nazionale e internazionale".