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A 25 anni dalla Conferenza mondiale delle donne di Pechino occorre un bilancio degli avanzamenti, degli arretramenti e delle lacune nell’attuazione della Dichiarazione e del Programma di Azione, in rapporto all’Agenda 2030 rispetto al tema dei diritti delle donne e dell’uguaglianza di genere. La 64ma sessione della Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione delle donne che si doveva tenere a New York a marzo 2020 avrebbe dibattuto questo tema con governi, istituzioni e società civile, se la pandemia non avesse impedito l’evento. Non si è però mai fermato il lavoro di analisi e iniziative della società civile, volto a effettuare una valutazione e identificare le sfide emergenti. In questo contesto si inserisce il Position Paper “Il cambiamento che vogliamo. Proposte femministe a 25 anni da Pechino”, che è il risultato di un serrato confronto tra un ampio gruppo di donne femministe di varia provenienza coordinato da D.i.Re Donne in rete contro la violenza. Il documento avanza alle istituzioni una serie di puntuali e concrete proposte di contrasto alle disuguaglianze sociali, economiche e di genere, accentuate dall’emergenza sanitaria, e sottolinea il fallimento dell’attuale sistema economico e politico, in cui trova spazio lo sfruttamento delle persone e dell’ambiente.
Il documento riserva la prima parte al mondo del lavoro. I bassi tassi di occupazione insieme alle diffuse criticità del lavoro delle donne in Italia esigono interventi politici, culturali ed economici per determinare veri cambiamenti in termini di aumento della partecipazione al lavoro produttivo, miglioramenti delle condizioni di lavoro nei diversi settori, rafforzamento delle norme contro le discriminazioni e le molestie, qualifiche del welfare per ridurre le difficoltà di accesso e permanenza nel mondo del lavoro. Servono cambiamenti strutturali degli assetti economici e produttivi, in cui venga riconosciuto il valore del lavoro delle donne, incluso quello di cura non retribuito. È centrale il coinvolgimento del Ministero del Lavoro, affinché le politiche di conciliazione siano considerate investimenti e divengano politiche di condivisione, attraverso la legislazione e la contrattazione collettiva. In Italia il digital gender gap è elevato. La fase di pandemia ha visto diffondersi modalità di lavoro legate alla digitalizzazione e alle piattaforme, occorre che queste vengano tutelate contro ulteriori discriminazioni. Il paper sottolinea l’urgenza di prevenire e contrastare le molestie e i ricatti sessuali in ambito lavorativo, ricorrendo a tutti i meccanismi a disposizione per far emergere le violenze e ratificando la Convenzione Ilo n.190. E poi ancora emerge il bisogno di un’analisi valutativa sul funzionamento attuale dei meccanismi di parità, come base di una loro riforma.
Le proposte riguardano molti ambiti e aspetti della società in cui permangono ostacoli alla realizzazione dell’eguaglianza e mettono in discussione sia le norme sociali che gli assetti economici e sociali che rendono le donne invisibili. Le autrici esigono riconoscimento, spazio e valore, insieme a concreti strumenti di monitoraggio e attuazione, come i bilanci di genere, e strategie trasversali di attuazione che mettano al centro la dimensione di genere. In Italia resta prioritaria l’esigenza di superare l’approccio patriarcale e la matrice culturale ancora fortemente sessista e discriminatoria, con interventi mirati sui processi di educazione di donne e uomini e sul linguaggio.
Silvana Cappuccio, area Politiche europee e internazionali Cgil