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Il Tribunale di Mantova e quello di Roma, con alcune recenti sentenze, hanno stabilito la nullità dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo intimati durante il periodo di emergenza pandemica derivante dalla diffusione del virus COVID-19. Com’è a tutti ben noto, il Governo, a partire dal decreto legge n. 18 del marzo 2020 (il cosiddetto “Cura Italia”) sino ad arrivare alla più recente Legge di Bilancio 2021, ha previsto il blocco dei licenziamenti economici (collettivi e individuali) sino al 31 marzo 2021, introducendo così nel nostro ordinamento una misura dal carattere eccezionale, dettata dalla sacrosanta esigenza di alleviare gli effetti catastrofici della pandemia sulle vite di centinaia di migliaia di lavoratori che avrebbero perso il loro posto di lavoro a causa della pesante crisi economica che ha attanagliato il nostro Paese.
Si tratta di una misura, seppur parziale (i licenziamenti disciplinari sono infatti esclusi dal blocco), che deve essere letta nel quadro di tutta una serie di interventi normativi di sostegno all’economia, a partire dall’utilizzo, praticamente generalizzato, di strumenti di sostegno del reddito in costanza di rapporto di lavoro e di mantenimento dei livelli occupazionali (vedi il diffusissimo ricorso alla Cassa integrazione con causale COVID-19, per non parlare degli interventi di decontribuzione etc...). Lette in quest’ottica (anche di sostegno alle imprese), le norme di blocco dei licenziamenti che il Governo ha periodicamente prorogato - sino, come detto, al 31 marzo 2021 - rivestono una finalità non solo di tutela sociale ma anche di politica economica e del mercato del lavoro, di salvaguardia del capitale umano e di contrasto alle forti spinte recessive di una delle peggiori crisi che l’Italia abbia mai dovuto affrontare in epoca repubblicana. Insomma, siamo di fronte a disposizioni emergenziali di natura sistemica e solidaristica che ben possono definirsi di ordine pubblico. Proprio seguendo questo ragionamento, il Tribunale di Mantova ha esplicitamente sostenuto che “trattasi di una tutela temporanea della stabilità dei rapporti per salvaguardare la stabilità del mercato e del sistema economico ed è una misura di politica del mercato del lavoro e di politica economica collegata ad esigenze di ordine pubblico”. Per tali ragioni, i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo adottati dalle imprese in spregio al blocco devono ritenersi affetti da nullità per violazione di norme imperative, comportando la reintegrazione nel posto di lavoro, indipendentemente sia dalla dimensione aziendale, sia dall’essere il lavoratore stato assunto dopo l’entrata in vigore del Jobs act (7 marzo 2015): in definitiva i giudici applicano alla fattispecie sia il comma 1 dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, sia l’articolo 2 del d.lgs. n. 23/2015.
Una chiosa finale sembra doverosa: la giurisprudenza che qui riportiamo, applicando la chiara lettera della legge, è assolutamente meritoria; ma resta l’amara constatazione della permanente esistenza di comportamenti di datori di lavoro (speriamo non molti) che palesemente contravvengono a misure di contenimento del disagio sociale ed economico assolutamente necessarie e sorrette dal crisma solidaristico che pervade la nostra Costituzione.
*Responsabile Ufficio giuridico e vertenze CGIL nazionale