Irene Pezzotta, madre di due figlie, deve lasciare il lavoro che svolgeva prima di diventare mamma, non per una scelta personale, ma per necessità. La sua carriera nel settore della moda, che prende il via con una laurea in design della moda al Politecnico e si rafforza grazie a esperienze lavorative a Londra e New York, la conduce a lavorare per un importante brand di lusso a Milano.
Dopo aver completato uno stage, viene assunta con contratto a tempo indeterminato. Al suo ritorno dalla prima maternità, le cambiano il ruolo e le chiedono di rimanere a casa ancora per un po'. Ma la situazione peggiora ulteriormente con l’arrivo della seconda figlia: al termine del congedo, non trova più né una scrivania né un computer. I colleghi non sanno più come interagire con lei e Irene percepisce chiaramente che la sua presenza non è più ben vista. Nonostante il dispiacere, decide di lasciare il posto per una nuova opportunità in un’altra azienda più piccola. Tuttavia, questa esperienza le fa comprendere che l’azienda in cui ha lavorato non solo non supporta le madri, ma le discrimina apertamente.
Oggi, Irene trova una nuova dimensione professionale: due anni fa apre un laboratorio in provincia di Bergamo, dove si dedica alla produzione di camiceria e abbigliamento per marchi di alta gamma.
Se da un lato è soddisfatta della sua scelta, dall’altro non nasconde un certo rimpianto per la carriera che deve abbandonare. Un rimpianto che, però, la società sembra ignorare, poiché, come evidenzia, suo marito non deve fare alcuna rinuncia. Il peso del sacrificio, quindi, ricade principalmente sulle spalle delle madri.