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Il 22 aprile 1975 dopo un tormentato iter parlamentare viene approvata la riforma che modifica il diritto di famiglia (il 19 Maggio 1975 con una larghissima maggioranza e con la sola astensione del Movimento Sociale, il Parlamento italiano approverà la legge 151 pubblicata nella G.U. del 23 maggio 1975 n. 135 ). Dopo un iter di quasi nove anni, la riforma arrivava in porto.
I coniugi diventano finalmente uguali davanti alla legge1, il patrimonio di famiglia è condiviso secondo la comunione dei beni - scompare la dote -, i figli nati dal matrimonio acquistano gli stessi diritti dei cosiddetti ‘legittimi’, il tradimento del marito può essere causa di legittima separazione.
Affermava quel giorno Nilde Iotti alla Camera
Sono d’accordo (…) che questa riforma del diritto di famiglia rappresenti un fatto politicamente molto rilevante, per il retroterra culturale nel quale essa è mutuata e per l’unanimità di consensi alla quale si è arrivati oggi. (…) la riforma del diritto di famiglia finalmente traduce in legge positiva quello che era un dettato della Costituzione repubblicana. (…) Come rappresentante del gruppo comunista posso affermare che noi siamo molto fieri di essere stati (non da soli, certamente) parte creatrice di questa grande riforma e di aver dato un apporto non solo di consenso, ma anche di ricreazione delle idee fondamentali di essa. Io credo che non si tratti di vedere quanto ognuno di noi ha portalo in più o in meno nell’elaborazione di una legge che si colloca tra le più avanzate e civili che regolano il matrimonio nel mondo moderno, ma mi sembra molto importante sottolineare (mi rifaccio a quanto ho detto all’inizio) che, malgrado il travaglio attraverso il quale é passata questa riforma (la lunga vicenda della legge sul divorzio e quella ancor più lunga del referendum per l’abrogazione della legge medesima), malgrado, ripeto, questo lungo e difficile travaglio, malgrado i numerosi momenti di grave tensione che avrebbero potuto distruggere quanto era stato faticosamente costruito, il vincitore è stato il processo di volontà unitaria espresso dalla parte migliore del mondo politico italiano.
Il voto sulla riforma
La riforma è votata alla Camera a scrutinio segreto: voti contrari 0; tre le astensioni, quelle dei missini Antonino Macaluso, Ferdinando Di Nardo e Clemente Manco. Tutte presenti le donne: Carla Capponi Bentivegna, Maria Luisa Cassanmagnago Cerretti, Adriana Fabbri Seroni, Nilde Iotti, Maria Magnani Noja, Maria Eletta Martini.
“Storica riforma del diritto di famiglia: diventa assoluta la parità tra i coniugi”, titolava un articolo su La Stampa del 23 aprile.
La famiglia “non è più vista come piramide, che ha al vertice il marito, ‘capo’ e monarca assoluto”, gli faceva eco l’Unità, che aggiungeva “Finiscono le crudeli discriminazioni tra bambini”.
Per molti versi la riforma rappresenta davvero una discontinuità. Nelle pieghe della legge, tuttavia, si annidano elementi di continuità.
“Quando la Camera dei deputati ha approvato gli articoli del nuovo Diritto di famiglia (che dovranno ancora essere approvati al Senato) - notava Danielle Turone sulla rivista femminista Effe già nel 1973, analizzando il progetto della legge in un articolo intitolato, significativamente, Dopo anni di gestazione nasce già vecchio il nuovo diritto di famiglia - (…) la voce è stata pressocché unanime: questo provvedimento rinnova in profondità la struttura familiare”. Ma “Non basta togliere dal codice la parola ‘patria-potestà’ lasciando integro il concetto, o concedere alla donna di mantenere il proprio cognome ‘aggiungendo quello del marito’, per credere di aver dato alle donne la parità. È indubbio che la nuova legge comporta mutamenti anche vistosi e apporta significative modifiche: ma ci pare interessante farne un bilancio per vedere se è esatto parlare per il prossimo futuro di reale ed assoluta parità fra i coniugi, poiché sembra piuttosto che questo nuovo diritto di famiglia si limiti a prendere atto di modifiche già esistenti, senza cercare minimamente di anticipare quella che dovrebbe essere la struttura familiare moderna”.
“Non basta - annotava correttamente la giornalista - togliere dal codice la parola 'patria-potestà' lasciando integro concetto, o concedere alla donna di mantenere il proprio cognome 'aggiungendo quello del marito', per credere di aver dato alle donne la parità. Questa la donna potrà ottenerla solo quando, oltre ai rapporti inter-familiari, muterà tutta l’organizzazione sociale, quando le sue possibilità di studio, di lavoro saranno uguali a quelle degli uomini, quando il 'costo' di una maternità non verrà addebitato al solo nucleo familiare ma diverrà un costo «sociale», quando alloggi, servizi sociali ed assistenziali organizzati, toglieranno la donna dal ghetto delle quattro mura domestiche. La nuova legge sulla famiglia dà alle donne nuovi diritti, ma la parità è ancora lontana”.
La parità è ancora lontana, purtroppo.
1 Nel codice di famiglia del 1942 era prevista la potestà maritale e la norma (art. 144) stabiliva che “Il marito è il capo della famiglia, la moglie (…) è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli creda opportuno di fissare la sua residenza”. Ed ancora (art. 145): “Il marito ha il dovere di proteggere la moglie, di tenerla presso di sé e di somministrarle tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita in proporzione della sua sostanza”. Nella nuova legge, approvata il 22 aprile 1975, la prospettiva cambia completamente stabilendo l’art. 24 che “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti ed assumono i medesimi doveri (…). Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alle proprie capacità di lavoro, professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.