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Lo chiamano indice di Charles. Nome maschile per uno dei tanti limiti imposti all'occupazione femminile. Serve a quantificare la segregazione di genere nel mercato del lavoro ovvero a capire quanto le donne siano relegate ad alcuni ambiti professionali. Un altro indicatore che si aggiunge alla sfilza di statistiche che raccontano un'Italia che continua a concedere poco spazio alle lavoratrici e che, complici la pandemia e la crisi economica che ne sta seguendo, rischia di offrirgliene ancora meno. Le donne in Italia hanno i loro mestieri da donna. Li hanno sempre avuti ma adesso ancora di più: attività domestiche, ricreative e culturali (88,8%), formazione, lavoro d'ufficio o di assistenza clienti, servizi di istruzione, sanitari o familiari sono i terreni nei quali restano perlopiù confinate.
Questo quando il lavoro c'è. Perché gli ultimi dati allarmanti confermano che la diminuzione dell'occupazione è anche una questione di genere. Doppiamente penalizzate le donne, dunque: sia sul fronte della quantità che della qualità. Stando all'ultimo rapporto annuale dell'Istat, recentemente pubblicato, il rischio che le diseguaglianze e le discriminazioni aumentino è fortissimo. Se il tasso di disoccupazione è risalito in media al 7,8%, nel mese maggio si sono contati 84 mila posti di lavoro in meno rispetto ad aprile, e 65 mila di questi (circa l’80%) erano occupati proprio dalle donne. Sono sempre loro che cercano di più un impiego ma anche quelle che, a causa delle difficoltà di conciliazione, sono costrette a modificare turni e orari o ad accettare quella che in gergo viene definita "turnazione antisociale" (serale, notturna, nel fine settimana).
È sempre l'Istat a segnalare che "il 38,3% delle madri occupate e il 42,6% se con figli da 0 a 5 anni modificano orario o altri aspetti del lavoro per adattarli agli equilibri familiari, mentre i padri lo fanno in misura molto minore, rispettivamente 11,9% e 12,6%". Se i nidi e i servizi integrativi, "tradizionalmente strumenti di conciliazione", ricoprono "una importante funzione educativa e quindi un ruolo nella riduzione delle diseguaglianze tra bambini", l’offerta di servizi per l'infanzia è "carente e diseguale sul territorio" e "svantaggia le donne scoraggiandone la partecipazione" proprio in quelle aree del Paese e in quelle famiglie che maggiormente ne avrebbero bisogno. Nel Mezzogiorno e nei contesti meno agiati si resta indietro. Come se non bastasse anche a parità di lavoro le donne soffrono uno sconcertante divario retributivo: con un taglio in busta paga del 7,4% in meno rispetto ai colleghi uomini. Non fossero sufficienti queste cifre a inquadrare la condizione femminile, nelle scorse settimane, l'Ispettorato del lavoro ne ha aggiunta un'altra: nel 2019 si sono dimessi 51mila neo-genitori. In 7 casi su 10 erano madri.
I mesi che verranno rischiano di essere persino peggiori. Una delle sfide che l'Italia si troverà davanti sarà proprio quella dell'occupazione femminile, senza la quale sarà difficile immaginare una vera ripartenza. La strada per ridisegnare un Paese a misura di donna, però, è lunga e piena di ostacoli. Eppure, forse, basterebbe ricominciare da alcune parole semplici: parità e condivisione.