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Un autentico esercito, in continua espansione, attraversa quotidianamente i confini nazionali per recarsi a lavorare all'estero, per poi ritornare ogni sera a casa propria in Italia. Sono i lavoratori frontalieri, che hanno superato le 100 mila unità, per oltre i due terzi con destinazione Svizzera, senza dimenticare, ma in forma assai più contenuta, Francia, Principato di Monaco, San Marino, Austria, Slovenia, Croazia, isola di Malta, Città del Vaticano inclusa. "Un grosso aumento si è registrato a partire dagli anni '90 - ci racconta Giuseppe Augurusa, responsabile nazionale frontalieri Cgil Lombardia - quando si contavano non più di 35.000 persone operanti oltre il confine svizzero. Oggi costoro sono diventati 84.000 e il dato è in continuo aumento, tanto che si stima per il futuro una crescita su base annua del 5%".
Parallelamente, si assiste a un fatto nuovo, quello dei distacchi transnazionali, che riguarda tutti quei lavoratori che vanno a lavorare all'estero al seguito della propria azienda italiana. "Un fenomeno nuovo, che cresce molto più velocemente del primo - precisa il dirigente sindacale - tanto che su circa 17 milioni di lavoratori 'mobili' a livello di Unione europea, stimiamo 1,4 milioni di frontalieri e 2,5 milioni di distaccati".
Più salari, meno tasse
Le motivazioni che spingono una massa sempre più imponente di lavoratori a fare ogni giorno i pendolari sono presto dette: stipendio più alto e tassazione più bassa. "Il salario medio lordo in Ticino si attesta sui 4.500 franchi, mentre in Italia non supera i 1.500. Non solo. Nella Confederazione elvetica le imposizioni fiscali sono tre volte più basse che da noi. Ragion per cui, come si suol dire, non c'è partita", osserva Augurusa. Oltretutto, nel corso del tempo, le ingiustizie ai danni dei 'migranti di corto raggio' sono cresciute.
"Siamo di fronte a un nuovo accordo fiscale stipulato dagli Stati oggi all'attenzione del Parlamento, integrato per la prima volta da un memorandum d'intesa sindacale - hanno proposto e ottenuto Cgil, Cisl e Uil - perché il protocollo, tuttora in vigore, risale al 1974. In quasi mezzo secolo, il quadro è profondamente mutato, provocando fra lavoratori 'vecchi' e 'nuovi' un vero e proprio dumping. Nel 2020 si è arrivati alla definizione di un nuovo trattato, che però non è stato ancora ratificato dai singoli Stati", precisano le confederazioni.
Cosa hanno chiesto i sindacati...
La battaglia sindacale si concentra proprio su questo tema. "Dobbiamo assolutamente limitare il più possibile le sperequazioni esistenti fra i lavoratori più anziani e quelli più giovani - rileva Augurusa - che si traducono in un aumento della tassazione a carico di questi ultimi, causando evidenti disparità di trattamento, il memorandum limita queste differenze". In materia di sicurezza sociale e fiscalità, Cgil, Cisl e Uil lamentano un doppio ordinamento statuale, una scarsa diffusione di nuove prassi amministrative, una limitata coesione sociale, non sempre regolati dalla legislazione comunitaria e da convenzioni bilaterali, e non sempre impostati sul principio di leale collaborazione degli enti dei paesi di residenza e lavoro.
In aggiunta a tutto ciò, oggi occorre affrontare l’ulteriore criticità della mobilità internazionale, acuita nella fase della pandemia. Le differenti prassi di gestione dell’emergenza sanitaria hanno portato a una diversità di accordi ratificati dai vari Stati, Per quanto riguarda il nostro Paese, i sindacati esprimono forte preoccupazione per il mancato rinnovo dell'accordo sullo smart working, la cui disdetta porta la data del 1° febbraio 2023. "Le conseguenze di tale provvedimento - denunciano le tre sigle - determineranno che l'imposizione fiscale nel paese di residenza faccia venir meno lo status di frontaliero secondo le normative vigenti, con il conseguente incremento della tassazione sul salario, producendo un disallineamento con la normativa sugli oneri sociali per lavoratori e imprese. In tale contesto, l'Ue ha, al contrario, prorogato fino al 30 giugno 2023 l'applicazione delle regole europee oltrepassando la soglia del 25% del tempo di lavoro effettuato a distanza.
... e cosa hanno ottenuto
Più in generale, le organizzazioni confederali hanno rivendicato e ottenuto nel testo della legge all'esame del Parlamento la creazione di un tavolo interministeriale con i dicasteri dell'Economia, del Lavoro e degli Esteri, che porti alla definizione di uno statuto dei diritti dei frontalieri, in modo tale da ottenere una normativa specifica per il settore, sulla falsariga di quanto è stato, a suo tempo, ratificato a livello europeo con la direttiva 883/ 2004. "Quello che manca - dichiara l'esponente Cgil - è una legge nazionale che regolamenti l'attività di questi lavoratori in ogni suo aspetto, al cui interno siano specificate le modalità d'esercizio dell'impiego e la parità di trattamento. oltre alla costituzione di un osservatorio, presso il ministero del Lavoro, con compiti di monitoraggio sul frontalierato".
Sempre i sindacati, si sono battuti perché l'approvazione di un nuovo accordo fiscale contro le doppie imposizioni dei frontalieri fra Italia e Svizzera, comprendesse il memorandum d'intesa sottoscritto fra il Mef, i sindacati e i comuni di frontiera. "Qui la principale novità è costituita dall'innalzamento da 7.500 a 10.000 euro della franchigia da applicare a tutti i redditi da lavoro dei frontalieri che prestano la propria attività lavorativa nei paesi confinanti. Franchigia che va poi detratta sulle tasse pagate all'estero - sottolinea Augurusa -, sulla base dell'accordo stipulato da Italia e Svizzera il 23 dicembre 2020, che dovrebbe essere esteso a tutti i 100.000 frontalieri italiani".
E l'assegno unico?
Altre questioni irrisolte, che i confederali intendono affrontare al più presto, riguardano l'assegno unico familiare e la doppia affiliazione sindacale. "Nel primo caso - conclude Augurusa -, occorre rimediare a una grossa disparità di trattamento esistente, che si traduce in una misura assolutamente iniqua fra lavoratori che svolgono la stessa tipologia di lavoro nello stesso luogo, ma che non vengono retribuiti allo stesso modo per effetto dell'esclusività della residenza come criterio di erogazione dell'Auuf. Il tutto, con la responsabilità dell'Inps, che non comunica più con gli istituti previdenziali all'estero gli importi degli assegni percepiti in Italia. Mi riferisco, nello specifico, ai lavoratori in larga parte croati e sloveni, che non percepiscono né l'assegno unico né l'assegno familiare, con una perdita annua di 900 euro. Abbiamo sottoposto la questione alla Ces, (Confederazione europea dei sindacati) e stiamo valutando con il nostro ministero del Lavoro per cercare di trovare la soluzione ottimale. Mentre nel secondo caso, prettamente sindacale, stiamo rafforzando i rapporti bilaterali con le diverse organizzazioni sindacali all'estero, attraverso gli accordi di doppia affiliazione, come quelli realizzati con la Gwu di Malta, la Csdl di San Marino e in discussione con la Cgt della Costa Azzurra".