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Gli spettacoli teatrali di due compagnie nate nel carcere di Rebibbia sono approdate nell’aula magna della Corte di Cassazione, a Roma, per ribadire la necessità di riflettere sul valore della pena e la rieducazione delle persone condannate alla reclusione. “Una giornata per affermare che la giustizia non si esaurisce nel processo, ma si realizza pienamente quando accompagna, ascolta e apre la strada al cambiamento”, per offrire “uno sguardo intenso e autentico sull’universo carcerario, trasformando la scena in luogo di consapevolezza e possibilità”, come scritto sul comunicato della Cassazione.
Lo scorso 1° aprile Le donne del muro alto, la compagnia di attrici ex detenute di Rebibbia, hanno portato in scena “Olympe”, nel quale, sotto la direzione della regista Francesca Tricarico, si raccontano gli ultimi giorni in carcere, prima di essere ghigliottinata, di Olympe de Gouges, la scrittrice, drammaturga e attivista per i diritti delle donne e degli ultimi della società che durante la rivoluzione francese fu processata e condannata a morte. Forse tutti la ricordiamo meglio come l’Olympià del film “Il marchese del Grillo” interpretata dall’attrice Caroline Berg, non una donna dai facili costumi, ma una donna libera che si battè per la libertà altrui.


Nel pomeriggio della stessa giornata gli ex detenuti del Teatro libero di Rebibbia hanno portato in scena “Cesare ‘addamorì!”, una piece adattata e diretta da Fabio Cavalli con gli stessi attori del film di Martone dal quale è stato tratto il testo. Il “Giulio Cesare” di Shakespeare prende voci dai diversi accenti e si intreccia con il vissuto e i sentimenti di chi si è trovato in stato di detenzione per errori irreversibili, ma che non devono precludere la possibilità di recuperare una vita degna di essere vissuta.
Due compagnie nate tra le mura del carcere di Rebibbia, dove Tricarico e Cavalli da anni conducono laboratori teatrali con uomini e donne in stato di reclusione. Ed è stato il Comitato pari opportunità della Suprema Corte a dare vita a questa iniziativa con il nome “Si va in scena!”, proprio nel luogo in cui si determinano le sorti di chi poi finisce in carcere. In due tavole rotonde seguite alle rappresentazioni si è quindi parlato delle condizioni dei carcerati e di quanto le attività all’interno degli istituti penitenziari possano cambiare le vite dei reclusi e, di conseguenza, anche ridurre il rischio di recidiva.


Ai dibattiti hanno partecipato Margherita Cassano e Pietro Gaeta, rispettivamente prima presidente e procuratore generale della Corte di Cassazione, Elisabetta Ceniccola, Presidente Cpo, le magistrate Valentina Manuali e Francesca Picarsi, oltre ai due registi, moderati dalle giornaliste Conchita Sannino e Giulia Merlo.
A colpire, in particolare, le parole di Margherita Cassano, la quale, nel suo intervento, ha sottolineato come di carceri si parli molto, “ma si agisca poco”, ricordando che “con risorse interne si possono dare risposte a un’umanità dolente in questo periodo storico particolare”. Grande rilievo all’attività teatrale per i carcerati come per qualsiasi persona: il teatro “lancia un messaggio sulla necessità di costruirci in maniera nuova e verso l’altro”.
Pietro Gaeta, nell’introdurre “Olympe”, non ha mancato di fare riferimento alle sempre attuali questioni di genere, comprese le violenze perpetrate sulle donne: “Il mancato rispetto delle donne è un malfunzionamento sociale generale”, ha affermato, esortando poi tutti a riflettere su cosa avrebbe pensato Olympe, avendo immaginato un futuro diverso, nel vedere, 250 anni dopo, l’attuale condizione femminile.
Non sono mancate parole sui “316 suicidi in carcere in 4 anni, “che ci devono interrogare e fare capire che non ci si può rassegnare”, ha detto Gaeta, concludendo che il teatro, come “forma artistica, ci faccia riflettere sullo stato di vite diversamente vissute”.