PHOTO
La memoria è una funzione del presente, non un relitto del passato. Eppure, ogni 27 gennaio ci ritroviamo a celebrare il Giorno della Memoria come fosse un rito espiatorio, una consolazione collettiva: ricordiamo per non ripetere, ci diciamo. Ma siamo sicuri che basti? Guardiamoci attorno: il mondo non dimentica, semplicemente replica.
Non servono né divise né stendardi per far rivivere la tragedia. Le dinamiche che portarono all’Olocausto oggi s’insinuano nei dettagli. Nei confini che diventano barriere insormontabili, nei centri di detenzione per migranti, nelle parole che disumanizzano l’essere umano. Allora erano le leggi di Norimberga, oggi sono decreti legge che distinguono tra vite meritevoli di salvezza e vite sacrificabili, come se la dignità umana fosse materia opinabile.
Il genocidio nazista non iniziò con i campi di sterminio, ma con una progressiva anestesia delle coscienze. Il male non si presenta mai come un dramma improvviso: cresce nell’abitudine e nell’indifferenza. L’“altro” diventa prima sospetto, poi indesiderabile, infine nemico. Questo processo è vivo e vegeto. Basta ascoltare il vocabolario politico: invasioni, minacce, identità da proteggere. Parole diverse, ma con lo stesso veleno.
Le analogie sono scomode perché ci costringono a guardare negli occhi la nostra epoca. Chiudere gli occhi oggi non è diverso dall’aver abbassato lo sguardo allora. Il Mediterraneo, con i suoi morti senza nome, è il nostro treno per Auschwitz. Le discriminazioni contro minoranze etniche, sessuali o religiose sono le nuove stelle gialle. E chi costruisce muri, reali o simbolici, sta già tracciando confini morali e orizzonti pericolosi.
Ricordare la Shoah non significa solo piangere i morti, ma riconoscere il loro grido nel presente. La memoria non ci salva automaticamente: è un’arma che funziona solo se impugnata. Il passato non è solo una lezione da imparare, è un avvertimento che abbiamo il dovere di ascoltare. Altrimenti, un giorno, racconteremo ancora una volta ai nostri figli che non abbiamo saputo fermarlo.