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Il divorzio è stato ufficialmente introdotto in Italia con la legge n. 898 del 1º dicembre 1970 relativa alla Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio. Una legge approvata con 319 voti favorevoli e 286 contrari (605 i votanti e presenti in aula), al termine di una seduta conclusasi alle 5 e 40 del mattino con votazioni iniziate alle 10 del giorno precedente. Mancando l’unanimità nell’approvazione della legge e anzi essendo contrario il partito di maggioranza relativa, negli anni seguenti si organizzerà un movimento che promuoverà un referendum abrogativo. Nel referendum sul divorzio, tenutosi nel 1974, la maggioranza dei votanti si esprimerà per il mantenimento dell’istituto.
Una particolarità del sistema giuridico italiano è che il divorzio non può essere ottenuto direttamente con il relativo procedimento giudiziario, ma deve essere preceduto da un periodo di separazione coniugale. Nel 1987 verrà approvata una modifica alla legge che ridurrà da cinque a tre gli anni di separazione richiesti prima di poter accedere al divorzio, grazie alla determinazione dell’allora presidente della Camera, Nilde Iotti, che riuscì a ottenere l’accordo unanime di tutti i gruppi per un’approvazione in commissione in sede legislativa (dal 2015 il periodo di separazione legale sarà ridotto a un anno in caso di separazione giudiziale e a sei mesi in caso di separazione consensuale. Dal 2014 per il divorzio su domanda congiunta non è più necessario rivolgersi al tribunale, ma per i coniugi senza figli minori o incapaci o portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti può avvenire con dichiarazione condivisa e congiunta al sindaco quale ufficiale di stato civile del comune, con assistenza facoltativa di un avvocato. I coniugi i cui figli hanno i predetti problemi possono divorziare attraverso una negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte, senza rivolgersi al tribunale).
Il 25 novembre 1969, quando l’iter legislativo per l’approvazione della legge sul divorzio è ormai alle ultime battute, Nilde Iotti chiede la parola nella Camera dei deputati formulando un discorso passato alla storia:
Proprio perché noi siamo convinti di questo, onorevoli colleghi traiamo dalla nuova concezione della famiglia e dalla nuova realtà morale della vita familiare la necessità che la legislazione italiana consenta la possibilità di scioglimento del matrimonio. La nostra posizione è estremamente chiara e precisa: noi non ci nascondiamo dietro una casistica. Noi sosteniamo il divorzio perché riteniamo che questo istituto trovi rispondenza nella mutata coscienza morale dei cittadini italiani e nella mutata natura della famiglia. Vedete, onorevoli colleghi: per quanto siano forti i sentimenti che uniscono un uomo e una donna - in ogni tempo, ma soprattutto, direi, nel mondo di oggi - essi possono anche mutare; e quando non esistono più i sentimenti, non esiste neppure più, per le ragioni prima illustrate, il fondamento morale su cui si basa la vita familiare. Abbiamo dunque bisogno di ammettere la possibilità della separazione e dello scioglimento del matrimonio. Devo dire a questo proposito, onorevoli colleghi, che per noi il punto essenziale, determinante è la separazione, più ancora del divorzio. Se il divorzio mette definitivamente la parola fine alla convivenza, in realtà la rottura della famiglia comincia nel momento in cui i coniugi decidono di separarsi. Noi diamo quindi particolare importanza alla separazione e pensiamo che non si debba andare alla ricerca dei motivi che la determinano, enucleando una casistica molto precisa, ma che sia invece sufficiente procedere all’accertamento di un fatto, che può essere stato determinato da molti motivi: cioè il fatto che per essersi logorati i sentimenti che mantengono uniti marito e moglie la convivenza non è più possibile, e che quindi quella famiglia non ha più il suo fondamento morale. Del resto nella proposta di legge sul divorzio presentata dal nostro gruppo nella scorsa legislatura, noi ci muovevamo su questa base e chiedevamo che un istituto basilare di una nuova disciplina legislativa in materia familiare fosse appunto quello della separazione legale, fondato sul criterio dell’impossibilità della convivenza. Si prevedevano poi cinque anni di separazione per una necessaria e responsabile riflessione, prima di giungere al divorzio. Poi noi abbiamo accettato (in una discussione, del resto, che ha portato ad un accordo che non è soltanto formale) il testo che abbiamo oggi di fronte e al quale presenteremo, anche d’accordo con altri gruppi, determinati emendamenti, per renderlo più rispondente allo scopo.
Nilde Iotti affronta poi uno dei temi più dibattuti rispetto al divorzio: il benessere dei figli.
Aggiungo, infine, onorevoli colleghi, che la condizione dei figli in una famiglia tenuta insieme per forza, in una famiglia dove la violenza o, peggio - dico peggio - l’indifferenza sono alla base dei rapporti dei coniugi, è la peggiore possibile, e causa la devastazione della loro personalità; peggio, assai peggio, questa condizione che non quella di un figlio o di più figli che vivono con uno solo dei genitori separati, perché almeno in questo caso è possibile mantenere un minimo di rispetto per i genitori mentre nell’ambito di una famiglia basata o sulla violenza o, peggio ancora, sull’indifferenza dei coniugi, non può più aversi neppure il rispetto dei figli nei confronti dei genitori. Dalla natura nuova della famiglia, onorevoli colleghi, discende, per noi, e nelle proposte che abbiamo avanzato, l’autonomia della famiglia stessa. Noi diamo molta importanza a questo concetto della autonomia della famiglia e postuliamo quindi una legislazione familiare che si collochi nei confronti della famiglia in modo da riconoscerne l’autonomia. Quando parliamo di autonomia della famiglia - come ho già precisato all’inizio della mia esposizione - non intendiamo riferirci naturalmente a un’autonomia che si ricollega ad una concezione della famiglia intesa quale realtà precedente lo Stato o quale società di diritto naturale autonoma nei confronti dello Stato. Questo discorso, infatti, oltre che molto dottrinario è anche molto astratto e lontano dal modo in cui noi concepiamo e sentiamo l’autonomia della famiglia. Noi poniamo il problema dell’autonomia della famiglia nei confronti dello Stato perché ci troviamo di fronte a una realtà, quella familiare, che è inerente alla sfera più gelosa, più intima, più libera dell’uomo. Proprio per questo noi sentiamo che lo Stato deve avere nei confronti di questo organismo, che ha una sua vita e sue leggi morali, un atteggiamento di grande rispetto, cioè deve riconoscerne l’autonomia. (...) Voglio qui molto brevemente, onorevoli colleghi, illustrare in che modo noi crediamo che lo Stato possa richiedere senso di responsabilità e intervenire nella tutela dei figli. Abbiamo del resto già esposto il nostro pensiero in un progetto di legge che è di fronte all’attenzione della Camera e già in discussione alla Commissione giustizia. Lascio da parte la questione, su cui siamo tutti d’accordo, dell’elevamento dell’età matrimoniale, come primo atto di assunzione di maggiore responsabilità da parte dei singoli. Chiediamo la corresponsabilità dei due coniugi e quindi la parità dei coniugi nella conduzione della famiglia e nell'esercizio della patria potestà comune. Chiediamo, naturalmente, la comunione dei beni nel corso del vincolo familiare. Chiediamo anche, come segno di responsabilità - è un argomento che stiamo affrontando in quest’aula – che gli uomini e le donne che sono arrivati alla grave determinazione di rompere un vincolo familiare siano costretti ad un periodo di riflessione e di prova: i cinque anni che abbiamo di fronte in questa legge. Questo è chiedere senso di responsabilità agli individui.
Le richieste avanzate dall'onorevole Iotti si spingono tutte verso un forte intervento dello Stato a tutela dei figli, per l'abolizione de concetto di colpa per quanto riguarda le separazioni legali, per una legislazione del diritti di famiglia "che veda in ogni caso, la prevalenza, nelle controversie fra i genitori, dell’interesse dei figli, per cui tutte le norme relative all’affidamento devono essere prese soltanto nell'interesse dei figli e non sulla base della colpa dell’uno o dell’altro coniuge". Altro tema controverso quello del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio.
Vorrei dedicare a questa questione poche parole, perché è una delle questioni che sono state sovente, e giustamente, portate come uno dei motivi alla base della legge sul divorzio che stiamo esaminando. Noi riteniamo che la situazione dei figli di coppie irregolari sia estremamente drammatica; noi ci accingiamo - mi auguro che la Camera si accinga a farlo, nella sua maggioranza, con la approvazione di questa legge - a creare una situazione attraverso la quale i figli di coppie irregolari possano avere la loro collocazione normale nella società e possano avere, anche agli effetti legali, la loro famiglia. Tuttavia, onorevoli colleghi, io credo che problema ancora più grave di questo, che pure lo è molto, sia quello dei figli nati fuori del matrimonio, che non fanno parte di un nucleo familiare di fatto, perché costoro sono come tagliati fuori da ogni diritto, anche nei confronti dei genitori. Credo che questo sia l’aspetto più drammatico del problema dei figli nati fuori del matrimonio. Ebbene, anche in questo caso dobbiamo avere il coraggio, secondo quanto dice la Costituzione repubblicana, di affrontare questa questione, sulla quale la nostra posizione è molto ferma. Noi chiediamo che sia possibile il riconoscimento a tutti gli effetti dei figli nati fuori del matrimonio, sia in costanza di matrimonio, sia quando quel matrimonio si sia spezzato, perché riteniamo che questa sia l’unica soluzione possibile, la unica soluzione morale giusta.
Onorevoli colleghi, potrei a questo proposito portare un argomento che può sembrare molto elementare, ma proprio perché è elementare è il più vero. I figli non chiedono di venire al mondo e la responsabilità del fatto che siano venuti al mondo non è loro, è dei genitori che li hanno messi al mondo. Non può quindi ricadere su di loro la responsabilità dei genitori. Noi dobbiamo affrontare questo nodo, che, me ne rendo conto, è un nodo difficile, perché presenta una serie di aspetti estremamente delicati, tenendo conto soprattutto del diritto dei figli ad avere pienamente riconosciuta la loro legittimità. Un solo limite noi crediamo che possa essere posto in questo campo ed è l’ingresso nella famiglia legittima, quando questa famiglia vi si opponga, perché riteniamo che questo non possa essere fatto, né per il rispetto che la famiglia legittima si merita e neppure nell’interesse di questi figli, che sarebbero soltanto degli intrusi all’interno di una famiglia che li respinga. Queste sono le nostre posizioni, onorevoli colleghi, e noi le abbiamo espresse qui, uscendo forse un po’ - lo riconosco - dal campo preciso della proposta di legge che ci sta davanti e che stiamo esaminando. Lo abbiamo fatto perché riteniamo, come ho detto all’inizio, che nel momento in cui affrontiamo la questione del divorzio, dobbiamo con piena responsabilità dire quello che pensiamo circa la famiglia, dire perché accettiamo questa tesi, in quali termini, con quali contenuti, e quale significato diamo alla nostra adesione alla proposta di legge che stiamo per votare.