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Il 4 luglio 1958 nasceva a Casal di Principe don Peppe Diana, assassinato il 19 marzo 1994 dalla camorra per il suo impegno antimafia. Il suo scritto più noto è la lettera Per amore del mio popolo, un vero e proprio manifesto di intenti e di impegno contro il sistema criminale, diffuso a Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe.
La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l'imprenditore più temerario; traffici illeciti per l'acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato. (…) Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama ad essere profeti. Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18); Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43); Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23); Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5).
Un impegno a favore della comunità, improntato alla legalità ed alla giustizia che don Diana pagherà con la vita. Alle 7 e 20 del 19 marzo 1994, mentre si accinge a celebrare la messa, il sacerdote venne assassinato nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe con 5 colpi di arma da fuoco, due alla testa, uno al volto, uno alla mano e uno al collo.
“Chi è don Peppino? Sono io - scriverà Roberto Saviano - L’ultima risposta. Cinque colpi che rimbombarono nelle navate, due pallottole lo colpirono al volto, le altre bucarono la testa, il collo e una mano. Avevano mirato alla faccia, i colpi I'avevano morso da vicino. Un’ogiva del proiettile gli era rimasta addosso, tra il giubbotto e il maglione. Una pallottola gli aveva falciato il mazzo di chiavi agganciato ai pantaloni. Don Peppino si stava preparando per celebrare la prima messa. Aveva trentasei anni”.
“Sento il bisogno - dirà Giovanni Paolo II durante l’Angelus del giorno successivo - di esprimere ancora una volta il vivo dolore in me suscitato dalla notizia dell’uccisione di don Giuseppe Diana, parroco della diocesi di Aversa, colpito da spietati assassini mentre si preparava a celebrare la santa messa. Nel deplorare questo nuovo efferato crimine, vi invito a unirvi a me nella preghiera di suffragio per l’anima del generoso sacerdote, impegnato nel servizio pastorale alla sua gente. Voglia il Signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro, evangelico chicco di grano caduto nella terra, produca frutti di piena conversione, di operosa concordia, di solidarietà e di pace”.
Al sacerdote - “parroco di un paese campano, in prima linea contro il racket e lo sfruttamento degli extracomunitari, pur consapevole di esporsi a rischi mortali, non esitava a schierarsi nella lotta alla camorra, cadendo vittima di un proditorio agguato mentre si accingeva ad officiare la messa. Nobile esempio dei più alti ideali di giustizia e di solidarietà umana” - sarà tributata la medaglia d’oro al valore civile.
Per la sua uccisione, il 4 marzo 2004, la Corte di Cassazione condannerà all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti quali coautori dell’omicidio, mentre riconoscerà come autore materiale dell’omicidio il boss Giuseppe Quadrano condannandolo a 14 anni, perché collaboratore di Giustizia. Decisiva sarà la testimonianza di Augusto Di Meo, amico di don Peppe.
Era andato in parrocchia per fargli gli auguri per l’onomastico. Vede bene il killer Giuseppe Quadrano e non ha alcuna esitazione. Va dai carabinieri e denuncia, contribuendo in maniera determinante all’individuazione e alla condanna di mandanti ed esecutori. “Il 19 marzo è morto un prete ma è nato un popolo”, dirà il giorno dei funerali Don Antonio Riboldi, vescovo di Acerra. Aveva ragione.