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Con la sentenza del 16 dicembre 1968 n. 126 (depositata il 19 dicembre) la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale del primo e del secondo comma dell’art. 559 del Codice penale discriminatori tra uomo e donna in caso di adulterio. E sì, perché fino al dicembre del 1968 la legge italiana, non attribuendo rilevanza all’adulterio del marito, puniva invece quello della moglie “con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena è punito il correo dell’adultera. La pena è della reclusione fino a due anni nel caso di relazione adulterina” (la Corte farà ulteriori modifiche con sentenza 3 dicembre 1969, n. 147, dichiarando incostituzionali sia i commi terzo e quarto dell’art 559 c.p. - reato di relazione adulterina della moglie, sia l’art. 560 - concubinato del marito).
Non è poi così strano se pensiamo che fino a non tantissimi anni fa in Italia le donne non potevano votare, non potevano abortire né divorziare, potevano essere licenziate in caso di matrimonio, non potevano - da sposate - usare il proprio cognome, e se venivano uccise non era poi così grave, almeno non se si erano macchiate della colpa di aver leso l’onore maschile.
Storie più o meno note che però è sempre utile ricordare, sottolineando quanti progressi siano stati fatti, e quanti ancora ne rimangono da fare. Ecco allora 10 cose che le donne non potevano fare fino a pochi anni fa.
1. Autorizzazione maritale
Solo nel 1919 le donne conquistano la legittimazione a compiere atti e a prendere decisioni di carattere contrattuale senza l’autorizzazione del marito.
L’articolo 134 del codice del codice Pisanelli sanciva infatti il principio dell’autorizzazione maritale, per cui una moglie non poteva “donare, alienare beni immobili, sottoporli ad ipoteca, contrarre mutui, cedere e riscuotere capitali, costituirsi sicurtà, né transigere o stare in giudizio relativamente a tali atti”, senza l’autorizzazione del marito. “Il marito può con atto pubblico dare alla moglie l’autorizzazione in genere per tutti o per alcuni dei detti atti, salvo a lui il diritto di rivocarla”.
La legge 17 luglio 1919 n. 1176 revocherà tale norma, sancendo all’art. 7 che “Le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gli impieghi pubblici, esclusi soltanto, se non vi siano ammesse espresse espressamente dalle leggi, quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche, o che attengono alla difesa militare dello Stato secondo la specificazione che sarà fatta con apposito regolamento”.
2. Avvocata. A lei la parola
Il primo giuramento di una donna avvocato nel nostro Paese risale all’agosto del 1919 pur non prevedendo alcuna legge preunitaria un requisito fondato sul genere o una esplicita esclusione delle donne. Elisa Comani, laureata in giurisprudenza a Camerino nel 1915, è la prima avvocata a essere legittimamente iscritta all’albo.
“Quando mi accinsi a parlare - racconterà - tremai per la responsabilità che mi ero assunta, ma sovratutto pel timore che forse da me, ultima fra le ultime, i presenti avrebbero potuto giudicare se la donna abbia meritato o meno d’essere ammessa nell’aringo forense. Parlai circa un’ora e mezzo e man mano mi accorsi che il pubblico prendeva vivo interesse al mio dire. I sorrisi tra l’incredulo e lo scettico che avevo notato all’inizio della discussione su molti visi erano andati scomparendo; gli ascoltatori evidentemente andavano modificando il loro giudizio su la donna in toga”.
Nello stesso anno anche Lidia Poët si iscriverà all’ordine di Torino facendo il suo ingresso nella avvocatura a 65 anni.
3. Dal 1945-46 possiamo votare. Ma non tutte
Prima del 1945 alle donne non era consentito votare. Un decreto del 1945 (decreto legislativo luogotenenziale 1 febbraio 1945 n. 23) concede alle donne maggiori di 21 anni il diritto di voto attivo, mentre un decreto del 1946 concede alle donne maggiori di 25 anni il diritto di voto passivo (decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74).
Le uniche a essere escluse dal diritto di voto attivo saranno le suore di clausura (all’epoca prive di documento d’identità, otterranno il diritto di voto nel 1946) e le donne citate nell’articolo 354 del regolamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (prostitute schedate che lavorano al di fuori delle case dove è loro concesso di esercitare la professione).
Le “prostitute vaganti” atterranno il diritto di voto a partire dal 1947.
4. Magistrati e magistrate
Per la prima volta nella storia repubblicana, dal dicembre del 2019 abbiamo una donna, Marta Cartabia, alla Presidenza della Corte Costituzionale.
“Ho rotto un cristallo - dirà - spero di fare da apripista. Spero di poter dire in futuro, come ha fatto la neopremier finlandese, che anche da noi età e sesso non contano. Perché in Italia ancora un po’ contano”.
Ci sono voluti quindici anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione e ben 16 concorsi per uditore giudiziario, con un totale di 3127 vincitori, dai quali le donne erano state indebitamente escluse, per avere, nel 1963, l’affermazione del principio di uguaglianza fra i sessi nell’accesso in magistratura (recita l’art. 1 della legge 9 febbraio 1963 n. 66: La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge. L’arruolamento della donna nelle forze armate e nei corpi speciali è regolato da leggi particolari).
Il primo concorso aperto alla partecipazione delle donne verrà bandito il successivo 3 maggio e sarà vinto da otto donne, che entreranno in servizio il 5 aprile 1965: Letizia De Martino, Ada Lepore, Maria Gabriella Luccioli, Graziana Calcagno Pini, Raffaella D’Antonio, Annunziata Izzo, Giulia De Marco, Emilia Capelli.
“Eravamo una stranezza, il nostro entrare in un mondo da sempre maschile ci faceva sentire sempre sotto esame”, raccontava qualche anno fa Maria Gabriella Luccioli, una delle 8 vincitrici, “Le donne hanno cambiato il diritto: la diversa sensibilità, il linguaggio, il modo di gestire i rapporti umani, di interpretare la norma e darne concretezza hanno vivificato la giurisdizione. Nel farsi diritto vivente le donne hanno contribuito a profonde innovazioni nel campo del diritto di famiglia, della tutela dei soggetti deboli, del concetto di tollerabilità della convivenza matrimoniale, della attribuzione del cognome dei figli, della ridefinizione del concetto di violenza”.
5. Diritto di famiglia
Solo nel 1970 il divorzio viene finalmente concesso e regolamentato, cinque anni più tardi viene riformato il diritto di famiglia. I coniugi diventano uguali davanti alla legge, il patrimonio di famiglia è condiviso secondo la comunione dei beni (scompare la dote), i figli nati dal matrimonio acquistano gli stessi diritti dei cosiddetti "legittimi", il tradimento del marito può essere causa di legittima separazione.
6. Delitto contro l'integrità della stirpe
Il 22 maggio del 1978 la legge 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza) viene pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, divenendo a tutti gli effetti legge dello Stato. Capitolo conclusivo di una lunga battaglia iniziata qualche anno prima dal Partito radicale, la legge (confermata da un referendum nel 1981) rende legale l’aborto attraverso l’abrogazione delle norme del titolo X del Libro II del codice penale (gli articoli 545-555 configuravano l’interruzione volontaria di gravidanza come “delitto contro l’integrità della stirpe” punibile con la reclusione, a seconda delle fattispecie di reato, fino anche a 12 anni).
7. Matrimonio riparatore
Solo il 5 settembre 1981 in Italia viene abolito il matrimonio riparatore, lascito legale del Codice Rocco di epoca fascista.
“Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530 - sanciva l’art. 544 del Codice penale - il matrimonio che l’autore del reato contragga con la persona offesa estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”.
Solo nel 1996 la violenza sessuale diventerà reato non più contro la morale ma contro la persona.
8. Campionesse
Solo nel 2012 viene concesso alle donne di partecipare a tutte le discipline dei giochi olimpici, alcune delle quali erano vietate al gentil sesso, appunto.
Nella olimpiade di Londra le donne hanno costituito il 45% degli atleti ed è stato introdotto il pugilato femminile, disciplina fino al 2012 riservata ai soli uomini.
I giochi di Londra vengono ricordati anche per un altro aspetto: per la prima volta tutte le Nazioni iscritte hanno presentato almeno una donna nella loro delegazione, consentendo anche i Paesi di fede musulmana la partecipazione di alcune atlete.
9. Indossare i pantaloni
Fino a meno di dieci anni fa indossare i pantaloni era ancora vietato per legge alle donne di Parigi: un’ordinanza della polizia che risaliva alla fine del XVIII secolo, formalmente mai abrogata, sanciva infatti che la donna non potesse coprire le gambe se non per ragioni mediche.
10. Guardiamoci intorno
Ancora oggi In Arabia Saudita le donne non possono guidare né uscire di casa da sole; in alcuni stati indiani le nubili non possono avere un cellulare; nello Yemen non possono testimoniare nei processi per adulterio, sodomia, furto e diffamazione; in Sudafrica la legge ammette che le bambine possano sposarsi, sempre che abbiano compiuto 12 anni, in Madagascar c'è uno specifico coprifuoco che obbliga le donne, e solo le donne, a stare a casa dopo il tramonto.
In Israele la legge ebraica impedisce alle donne di chiedere il divorzio. In Giordania, Libano, Algeria, Tunisia e Iraq la donna è ancora costretta al matrimonio "riparatore".