Nei giorni scorsi un vasto ventaglio di associazioni sono scese in piazza per tornare a chiedere la chiusura del Cpr romano di Ponte Galeria, in cui nei giorni scorsi si è tolto la vita Ousmane Sylla, un ragazzo della Guinea di appena ventidue anni. Ousmane era arrivato in Italia sei anni fa e, complice un disagio psichico, era rimasto intrappolato nelle maglie della burocrazia, per anni rimbalzato da una prigione all’altra. Un inferno fatto di privazione della libertà e delle informazioni, di violenze mentali e fisiche. Era stata proprio la sua denuncia delle condizioni in cui era costretto a vivere nel Cpr di Trapani che ne aveva decretato il trasferimento a Roma, nella struttura di Ponte Galeria.
Negli ultimi cinque anni le vittime sono state numerose. Come Moussa Balde, morto suicida nel reparto "Ospedaletto" del Cpr di corso Brunelleschi a Torino nel 2021. Solo qualche settimana prima il ragazzo era stato vittima di un violento pestaggio a Ventimiglia. Ricoverato all’ospedale di Bordighera, una volta dimesso, invece di essere curato era stato trasferito nel Cpr di Torino e posto in isolamento prima di uccidersi.
Nel novembre dello stesso anno fu ritrovato senza vita, legato mani e piedi ad un letto del reparto psichiatrico dell’Ospedale San Camillo di Roma, Wissem Ben Abdel Latif, un ragazzo tunisino di 26 anni trattenuto al Cpr di Ponte Galeria e poi trasferito all’Ospedale Grassi di Ostia.
La detenzione amministrativa esiste in Italia da 25 anni e priva della libertà persone che non hanno commesso reati. La loro unica colpa è non essere in possesso del permesso di soggiorno. Le nuove leggi del governo Meloni prolungano la permanenza nei Centri di Permanenza per i Rimpatri fino a 18 mesi, in un contesto di umiliazioni, restrizione e violenza.