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In Germania nel 2001 è stato introdotto lo ius soli: chi nasce in Germania è tedesco. Punto. Una serie di studi condotti su questo e altri casi europei hanno dimostrato senza alcun dubbio che l’acquisizione della cittadinanza ha effetti positivi sui minori (tasso di abbandono più basso, migliori risultati, maggiore propensione a continuare gli studi) e sull’intera società – ad esempio per quanto riguarda il mercato del lavoro – ma più in generale per la coesione e l’inclusione che produce.
Senza ovviamente dimenticare l’aspetto più clamoroso: e cioè l’intollerabile ingiustizia che vede minori crescere vicino a coetanei in tutto e per tutto uguali a loro in classe, ma “diversi” e discriminati quando escono da una scuola in cui da anni sono a tutti gli effetti italiani: stessi studi, stessi insegnanti, stesse prove, anche se spesso non gli stessi voti.
Se in Italia una sensibilità comune per lo ius soli ancora manca, tra le forze politiche (ma non nella società stando almeno a tanti sondaggi, tra cui quello dell'Osservatorio Futura), una grande opportunità si presenta in queste settimane. Alla Camera è infatti in discussione una proposta di legge sullo ius scholae che riguarda una platea di 900.000 minori stranieri, 80% dei quali, va ricordato, sono di seconda generazione: sono cioè nati in Italia ma non sono italiani.
Lo ius scholae è molto meno dello ius soli, ma la sua approvazione sarebbe un fatto rilevante. Dalla Conferenza nazionale sull'immigrazione che si è tenuta nei giorni scorsi, il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha sottolineato l'importanza di una norma che “può costituire un primo importante passo per la riforma della cittadinanza e consegnare finalmente ai giovani nati in Italia o giunti da bambini il diritto di essere riconosciuti legittimamente italiani e italiane”.
La proposta di legge firmata dal deputato 5 Stelle Giuseppe Brescia, nonostante una spaccatura nella maggioranza – con la Lega e una parte di Forza Italia sulle barricate – è stata licenziata dalla commissione Affari costituzionali e punta a modificare la legge sulla cittadinanza che risale al 1992 e che stabilisce che un minore straniero deve attendere i 18 anni per diventare italiano; se passasse la nuova norma, per chi è nato in Italia, o vi è arrivato prima del dodicesimo anno di età, “basterà” aver risieduto legalmente e senza interruzioni nel nostro paese e aver frequentato regolarmente un quinquennio negli istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione oppure percorsi di istruzione e formazione triennale o quadriennale per il conseguimento di una qualifica professionale. Non è un processo automatico: saranno i genitori, purché entrambi residenti in Italia, a dover rendere una “dichiarazione di volontà” entro il compimento della maggior età del figlio o della figlia. Si tratterebbe di un cambio di passo per il nostro che in materia di cittadinanza ha tra le leggi più restrittive d'Europa.
Insomma, una norma moderata che fotografa una realtà sotto agli occhi di tutti. Un adeguamento di semplice buon senso che invece deve subire l’attacco delle peggiori resistenze legate a ideologie retrive e fuori del tempo che si sono tradotte in ben 728 emendamenti, alcuni dei quali risibili: esami orali che dovrebbero accertare la conoscenza di feste, saghe, tradizioni culinarie o addirittura requisiti meritocratici, come se la cittadinanza fosse ricompensa da concedere solo ai più bravi.
Calza, Flc: non è il massimo, ma approviamola
Secondo l’ultimo report del ministero dell’Istruzione, riferito all’anno scolastico 2019-2020, gli alunni con cittadinanza straniera in Italia sono 876.801: il 10,3% del totale della popolazione scolastica e ben due terzi di essi (573.845) sono di seconda generazione, quota che nella scuola dell’infanzia sale all’80%, mentre rappresenta il 75 per cento nella primaria, il 62% nella secondaria di I grado e il 40% nella secondaria di II grado.
I numeri sono insomma impressionanti. “Il nostro auspicio è che questa legge vada in porto in fretta: è giusto che chi è cresciuto nel sistema scolastico nazionale abbia la possibilità di diventare cittadino italiano”. Così Manuela Calza, della segreteria nazionale della Flc Cgil, che rimarca come “la cittadinanza è uno strumento di inclusione e partecipazione attiva alla comunità, crea senso di appartenenza e consapevolezza del proprio ruolo nella costruzione del bene comune, oltre naturalmente a contribuire a togliere disagio a tante ragazze e ragazzi ”.
Un disagio che spesso si traduce in una grande disparità. Se in Italia la dispersione scolastica nel 2021 è in media pari al 13,1%, tra gli alunni con cittadinanza non italiana arriva al 35,4%. “Le spiegazioni sono tante – chiosa Calza – ma è chiaro che, come dimostra l’esempio tedesco, l’acquisizione della cittadinanza è uno dei fattori chiave per innalzare i livelli di istruzione e limitare l’abbandono”.
Per la sindacalista, inoltre, la legge valorizzerebbe il ruolo della scuola “che viene in questo modo riconosciuta come istituzione garante delle pari opportunità”. Certo, conviene la dirigente della Flc Cgil, non è ancora sufficiente: “Io credo che i due princìpi alla base dello ius soli e dello ius scholae debbano compenetrarsi. E cioè, il diritto di cittadinanza deve essere riconosciuto sia a chi nasce in Italia sia a chi, pur non essendovi nato, vi studia”.
Biancuzzi, Rete studenti: basta discriminazioni
Sulla stessa lunghezza d’onda gli studenti. Che rimarcano come la mancanza della cittadinanza crea in realtà difficoltà agli studenti anche nell’ambito della vita scolastica. “Ad esempio in occasione dei viaggi di istruzione non possono andare all’estero – attacca Tommaso Biancuzzi, coordinatore della Rete degli studenti medi –. Sembra una sciocchezza, ma non lo è: le gite sono un fattore aggregante, di inclusione. Non partecipare marca una distanza rispetto al gruppo classe con il quale sei cresciuto e conferma che non sei affatto uguale agli altri”.
Anche per gli studenti la proposta è “di civiltà e di buonsenso”, anche se ha molti limiti, e dunque va approvata celermente. Del resto, conclude Biancuzzi, “cosa ti rende più italiano dell'’aver studiato qui e aver condiviso con tutti gli altri una vita da studente”?
Lorenzoni: anche gli insegnanti in campo
Ma quante probabilità ci sono che la legge passi prima della fine della legislatura? Per Franco Lorenzoni, maestro e fondatore della Casa Laboratorio Cenci, il rischio che vada a finire come con lo ius culturae che fu affossato alla fine della scorsa legislatura esiste. “Per questo – ci dice – è importante che la legge venga approvata subito alla Camera: se passa ora qualche possibilità che l’iter al Senato si concluda prima dello scioglimento delle Camere c’è. Il ricatto della Lega, che minaccia l’uscita dal governo, è sbagliato, perché si tratta di un’iniziativa parlamentare tanto che lo stesso Draghi se ne è tirato fuori. Nel paese il consenso c’è, ma purtroppo come spesso accade la politica si muove in un’altra direzione”.
Anche per Lorenzoni, lo ius scholae è un “compromesso al ribasso”, tuttavia è importante “perché apre un varco a un diritto negato da decenni, cosa di una gravità enorme, perché chi insegna o educa sa che quei 900.000 minori che non hanno cittadinanza soffrono di parecchie privazioni: vivono condizionati da ciò che accade ai loro familiari, rendendo ancora più difficile l’età della crescita che è già piena di incertezze in un periodo di grande sofferenza giovanile derivata dalla pandemia e dalla guerra”.
“Chi ha un background migratorio – aggiunge il maestro – sconta una sofferenza data da molteplici fattori. La privazione della cittadinanza si aggiunge alla povertà, alle difficoltà linguistiche, ai deficit d’inclusione, perché anche se la scuola fa in tanti casi un ottimo lavoro, è pur vero che esistono ancora scuole e classi ghetto che rappresentano un grande problema, perché è proprio la disomogeneità culturale che rappresenta un importante fattore di crescita”.
Lorenzoni chiama dunque anche la comunità educante a fare uno scatto in avanti. “Il mio appello – conclude – è che a settembre gli insegnanti dedichino a questo tema una grande attenzione: non per fare propaganda, che non amo, ma perché compito della scuola è quello di affrontare i problemi reali delle persone”.
E cosa c’è di più reale e ragionevole che battersi perché cadano quelle barriere invisibili che separano bambine e bambini, ragazze e ragazzi, che trascorrono uno vicino all’altro gli anni più importanti della propria vita?