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Amleta è un collettivo femminista che punta i riflettori sulla presenza delle donne nel mondo dello spettacolo, sulla loro rappresentazione nella drammaturgia classica e su violenza e molestie nei luoghi di lavoro. Da poco è uscita la mappatura 2020-2024.
Eleonora Giovanardi, attrice e membro del collettivo, confrontandola con la mappatura 2017-2020, tutto sembra immobile.
Già, non è cambiato quasi niente se confrontiamo le mappature dei due quadrienni. Questa seconda mappatura l’abbiamo fatta in collaborazione con l'Università degli Studi di Brescia, quindi ha una base scientifica molto accurata. Confrontando i due dati generali sulla presenza delle donne in teatro, la percentuale passa dal 32,4% al 35,1%, dunque non un cambiamento significativo. I parametri dello studio sono gli stessi di quello precedente, seppur arricchiti da un punto di vista scientifico. Abbiamo calcolato la presenza di registe, drammaturghe e attrici nei teatri nazionali, nei teatri di rilevante interesse culturale e nel Piccolo Teatro di Milano, esclusivamente per quel che riguarda la prosa. Sono state contate tutte queste figure stagione per stagione, teatro per teatro, sala per sala, partendo dai programmi. Ci siamo limitati al genere femminile e maschile, mentre per il futuro puntiamo a renderlo ancora più inclusivo. Tuttavia, avendo usato i due colori rosa e blu sui nostri file excel, l’impatto visivo è stato fortissimo e ci racconta di una forte disparità di genere persistente.
Partiamo dal dato più eclatante. Sul totale dei teatri la percentuale di direttrici è del 26,3%. Ma se si considerano solo i teatri nazionali, il numero di donne alla guida è zero. Paradossalmente la situazione peggiora nei teatri più strutturati, prestigiosi e con un consistente sostegno pubblico.
Il dato sulla direzione dei teatri nazionali è rimasto invariato rispetto al 2017. La situazione delle presenze femminili è drammatica non solo per quanto riguarda le professionalità artistiche, ma anche sul versante dirigenziale, amministrativo e nei ruoli apicali. Nei tric (teatri di rilevante interesse culturale, ndr) siamo a quattro direttrici su diciotto direttori. E sappiamo benissimo che la disparità funziona a cascata, ovvero si riverbera su tutti gli altri comparti e ambiti. Quello che comunemente si chiama tetto di cristallo noi lo abbiamo rinominato sipario di cristallo. Credo che un altro dato eclatante sia quello che riguarda la regia. Il dato totale delle registe è del 21%, il 19,1% nei teatri nazionali, che diventa il 22,3% nelle sale secondarie ma scende al 13,7% in quelle principali. La percentuale di donne in ruoli apicali è inversamente proporzionale all’avvicinamento ai centri del potere.
Un criterio interessante che avete introdotto è quello dell’incidenza, che restituisce non solo la presenza di donne nelle sale, ma la loro permanenza.
Si tratta di un criterio che ci dice se e quanto gli spettacoli vengono portati in tournée. In questo caso il dato precipita al 14,2%. È un fatto culturale importante, perché non solo c’è uno sbarramento al livello di presenza, ma anche una difficoltà a fare circuitare gli spettacoli al femminile. Banalmente: il pubblico li vede di meno.
Altri due dati preoccupanti riguardano da un lato la produzione di spettacoli di e con donne e dall’altro la predisposizione a ospitarne. Il report ci dice che si scommette di meno su questi spettacoli.
Se io direttore di un teatro – e uso il genere maschile appositamente – mi rendo conto che la mia produzione è sbilanciata rispetto alla presenza di genere, dovrei provare ad equilibrarla con le ospiti esterne. I dati ci dicono che però non si ragiona così e dunque ci dimostrano quanto sia importante attuare politiche di cambiamento concreto rispetto a questa forte disparità documentata.
Il gender gap nel mondo dello spettacolo corrisponde a quello che ritroviamo nel resto del mercato del lavoro, ma ha una sua essenza peculiare. Un tempo si diceva che in teatro le donne emergessero di meno perché i copioni erano stati scritti dagli uomini per gli uomini. Quando riusciremo a liberarci di questo che oramai è un equivoco e un inganno?
Questa è un’ottima domanda. Quella che ci facciamo tutte. Oggi esistono tante adattatrici brave e assolutamente in grado - come fanno – di riadattare qualsiasi testo classico. Per non parlare della nutrita drammaturgia contemporanea, verso la quale Amleta ha un’attenzione molto forte, visto l’impatto e la portata culturale che i testi teatrali possono avere. La rappresentazione del mondo che ci circonda passa attraverso i prodotti culturali e dunque è estremamente importante il lavoro che possono fare il teatro, il cinema, la televisione, l’audiovisivo in generale. Eppure, proprio il settore della cultura, è tutt’altro che impermeabile alla disparità di genere. Per noi di Amleta, analizzare attraverso un'ottica di genere la drammaturgia contemporanea è uno strumento molto utile per incentivare i drammaturghi le drammaturghe a creare prodotti più inclusivi. Quest'anno siamo alla terza edizione del contest Amleta rivolto alla drammaturgia contemporanea, un’analisi che punta a linguaggi e contenuti che siano sempre più inclusivi e liberi da stereotipi. Ci ripromettiamo di sensibilizzare non solo lo sguardo delle addette e addetti ai lavori, ma anche e soprattutto quello del pubblico.
Amleta ha lanciato insieme a Unita uno stato di mobilitazione permanente con l’obiettivo del 50/50 di equilibrio di genere sui palcoscenici, dietro le quinte e sui set. Cosa farete?
L’idea è nata con lo scopo di diffondere il più possibile i risultati della nostra mappatura. Non possono e non devono rimanere dati morti. Vorremmo che fungessero da stimolo anche alla politica per incentivare il cambiamento, per esempio si potrebbero introdurre dei meccanismi di premialità verso i teatri che mettono in atto pratiche e facciano scelte che vanno in direzione opposta rispetto alle percentuali attuali. Unita e Amleta hanno incontrato l’Osservatorio per le pari opportunità del ministero della Cultura e abbiamo già condiviso questi dati. Questo per noi è un buon punto di partenza, ma ci teniamo tanto anche a muoverci dal basso e attraverso i canali social stiamo invitando tutte le colleghe e i colleghi a lanciare l’#vogliamoil50e50, per mantenere alta l’attenzione su questo gap finché non sarà colmato.
Domanda cattiva: la consapevolezza e la solidarietà da parte dei colleghi uomini si percepiscono o si può fare di più?
Il processo dell’attivismo è un processo complesso, che non si costruisce dall’oggi al domani. Tutti i percorsi richiedono tempo e sensibilizzazione. Da questo punto di vista si stanno facendo dei passi avanti e sono fiduciosa per il futuro.
Facciamo, invece, metaforicamente un passo indietro e torniamo ai centri di potere. Parliamo del caso del Teatro delle Marche, il cui nuovo direttore sarà Giuseppe Dipasquale, che lascia un Teatro di Catania in grave difficoltà, e che è stato scelto da Luca De Fusco, direttore del Teatro di Roma e presidente della commissione giudicante. Un uomo che sceglie un uomo in una lista dove c’erano altre due candidate.
Riguardo alla nomina ha già detto tutto lei, non posso dire altro, se non che personalmente sono d'accordo. Forse noi potremmo invece guardare al di là della nomina in sé e ragionare di quello che è il meccanismo delle candidature, già a monte discriminatorio nei confronti delle donne. Questa cosa non possiamo più permetterla, non è proprio ammissibile che ci siano dei criteri che fanno da sbarramento e non tengono per niente conto del gender gap.
Oltre alla mappatura, Amleta è attiva con l’Osservatoria, che monitora molestie e violenze di genere nel settore dello spettacolo. A che punto siamo?
Violenze e abusi nel nostro settore hanno delle loro peculiarità legate al fatto che attrici e attori lavorano con il corpo, per cui è sempre in agguato il pericolo di confondere il confine tra arte e molestia. Gli abusi quindi sono più difficili da indagare, riconoscere, denunciare. Amleta sta portando avanti una serie di azioni legali, grazie al supporto delle avvocate dell’associazione Differenza Donna. Abbiamo una casella di posta, alla quale colleghe e colleghi possono rivolgersi anonimamente per segnalare abusi e molestie. Tutti i nostri introiti derivanti dai contributi associativi sono indirizzati ad attività per contrastare la violenza e per supportare assistite e assistiti anche sul piano delle spese legali. Dobbiamo scardinare lo stereotipo profondo per cui l'attrice deve essere disinibita, deve dare tutto, deve superare i confini. Stereotipi che vengono inculcati sin dalla fase di studio nelle accademie e che dobbiamo combattere dal punto di vista culturale. C’è tanto da fare su questo, anche al nostro interno.
Proprio a proposito delle accademie e delle modalità formative, si possono fare danni enormi inculcando nelle giovani allieve attrici il senso dell’inadeguatezza, l’idea di doversi avvicinare a un certo ideale di bellezza. Il peso psicologico e le conseguenze sul futuro lavorativo possono essere invalidanti.
Sì, le accademie non sono avulse da certi meccanismi. Io però oggi vedo allieve e allievi molto più consapevoli e più liberi da certi stereotipi. Ciò non toglie che il cambiamento debba avvenire a monte, da parte degli insegnanti e delle strutture formative. Le giovanissime sono più vulnerabili, perché appunto soggette a dinamiche di potere, e dunque meno protette quando si affacciano al mondo del lavoro. Noi come Unita abbiamo stilato con l’Unione Italiana Casting il decalogo del provino sicuro. Il provino, infatti, è proprio il momento in cui c'è la massima disparità di potere, perché si viene esaminati. In questo modo speriamo di proteggere le nuove leve, allievi, allieve e futuri attori e attrici.