Sono novanta minuti che spaccano il cuore e tengono incollati gli occhi allo schermo, quelli che raccontano la vicenda di Mimmo Lucano a Riace dal 2018 ad oggi. Novanta minuti in cui si fa fatica a trattenere le lacrime, prima di tenerezza, poi di commozione, infine di rabbia, di fronte a un destino che sembra ingiusto e ineluttabile, e che ti fa balzare dalla sedia sui titoli di coda. 

Una vicenda (in)umana

Un paese di resistenza non è solo un documentario, è un inno alla vita e alla speranza. Shu Aiello e Catherine Catella riescono a ricostruire la vicenda giudiziaria, ma soprattutto a penetrare in quella umana, senza mai risultare invadenti, ingombranti. I primi piani di Lucano, le sue parole semplici e dirette, i suoi sguardi così sinceri e disarmanti, non possono lasciare indifferenti neppure coloro che da questa storia ne sono stati lontani.

Il documentario

Il film, che ha iniziato il suo tour nelle sale il 21 novembre, si apre con il ripercorrere la storia di Riace, di quello che è stato il suo modello, a partire dall’accoglienza dei duecento migranti fino allo sviluppo di una comunità multietnica e autosufficiente. Ma quasi da subito si concentra sulle pesanti accuse rivolte al suo sindaco nell’ottobre del 2018, per seguire l’evolversi della vicenda giudiziaria. Il doc è prodotto da Bo Film (Italia), Les Films du Tambour de Soie (Francia), Dancing Dog Productions (Belgio), ed è distribuito in Italia da OpenDDB - Distribuzioni dal basso.

Le accuse abnormi

Associazione a delinquere, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, capi di imputazione che farebbero tremare le vene ai polsi anche a un criminale navigato, per i quali Lucano verrà condannato in primo grado a tredici anni, per poi essere prosciolto da quasi tutte le accuse in appello.

L’occhio invisibile dei registi

I registi, facendosi invisibili, lasciano parlare Lucano, i migranti, monsignor Bregantini, le tante e i tanti cittadine e cittadini che dal 2018 in poi hanno dimostrato la loro solidarietà. Ma a parlare è soprattutto il paese di Riace. Con le sue pietre, i suoi vicoli, i murales colorati che ne raccontano la storia di melting pot. Le strade, piene di bambini di nazionalità diverse che giocano insieme, di colpo svuotate di gioia, riempite di pioggia e silenzio.

La demolizione di un sogno

Quella di Riace non è solo la storia della demolizione sistematica di un modello di integrazione che non piace alle destre. È anche, purtroppo, la storia di una nuova emorragia sociale, uno spopolamento di ritorno. Lucano, infatti, con la sua visione quasi naturale, ha saputo applicare nella pratica tutte le teorie filosofiche sulla “restanza”, sull’abbandono delle aree interne, sulla necessità di fare incontrare – come lui stesso dice nel documentario – “persone in cerca di case con case in cerca di persone”.

Calabria, una storia di accoglienza

La demolizione del modello Riace, accolta da un Matteo Salvini trionfante, non è che un pezzo del più complesso disegno contenuto nel decreto che porta il suo nome. Un disegno volto a  smantellare progressivamente un sistema di accoglienza che proprio nelle aree interne e nei piccoli borghi trovava le sue esperienze più virtuose. La Calabria, che ha nella sua storia più remota l’accoglienza (i valdesi, gli arbëreshë, la storia ormai quasi leggenda di Badolato), ha saputo ricreare delle micro-comunità facendo incontrare esigenze diverse: quelle dei migranti e quelle degli autoctoni.

Un paese di resistenza

Nel documentario Un paese di resistenza c’è tutto questo portato, che viene fuori grazie a una narrazione in cui l’inchiesta giornalistica cede il passo alle emozioni capaci di far smuovere, quasi per osmosi, un sentimento forte in chi guarda il film. Il maggiore pregio del documentario sta probabilmente in una scelta a monte fatta dai registi: quella di essere lì mentre accadevano le cose, liberandosi dalla necessità di doverle poi, in un secondo momento, ricostruire a freddo. Il documentario è invece tutto “a caldo”.

L’amarezza e la speranza

Sullo sfondo, gli antagonisti di questa triste vicenda. Ripresi direttamente, o attraverso l’espediente di una tv accesa in un bar, scorrono sullo schermo Salvini, i suoi comizi a Riace e a Roma, le bandiere della Lega, il nuovo sindaco eletto dopo Lucano. Sono elementi solo accennati, pennellate schizzate sulla tela. Qualcosa, dentro di noi, ci dice di approfondire. Di voler capire, per esempio, chi siano i sostenitori della Lega a Riace, quegli abitanti che rifiutano il modello e lo contestano. Chi siano i riacesi che non si sono schierati dalla parte di Mimmo Lucano, e perché. Ma è solo un attimo, basta poco per capire che in questa storia qui, raccontata così, non c’è posto per la narrazione del più forte. Sale tanta rabbia, tanta amarezza, e la convinzione di trovarsi dalla parte giusta della storia.

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