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Oltre il 90% di chi ha perso il lavoro in Italia a causa del Covid è donna, 96mila sono mamme con figli minori. In tutto il mondo, secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, sono 64 milioni le donne disoccupate in seguito alla pandemia. Numeri da ecatombe, che fanno girare la testa, ma che non sorprendono. Perché il punto non è solo chi è uscita dal mercato del lavoro, ma innanzitutto chi riesce a entrarci. E se è vero che il cinema, come ogni arte, a volte racconta la realtà, a volte la precorre, in questo caso purtroppo ne è la fotografia esatta. Pare che il 2020 abbia segnato un record positivo: il maggior numero di grandi film di Hollywood diretti da donne, secondo l’ultimo studio del Center for the Study of Women in Television and Film della San Diego State University.
Peccato che questo record sia davvero basso: il 16% dei registi che hanno lavorato ai cento film con gli incassi più alti nell’anno prima della pandemia. Certo, un bel salto se si pensa che nel 2019 le donne “director” erano il 12% e nel 2018 il 4%. Ma cifre per le quali esultare? Nei numeri sta la risposta. Per la prima volta, lo studio ha monitorato la percentuale di professioniste dell’audiovisivo in tutti i settori. Dunque le donne che lavorano non solo nelle produzioni cinematografiche, ma anche ai film e alle serie destinati alla fruizione televisiva, ovvero quelli inclusi nella cosiddetta “Top 20 Chart Watched at Home” del Digital Entertainment Group, da marzo a dicembre 2020. In questo caso, le donne rappresentano il 19% di tutti i registi, scrittori, produttori esecutivi, produttori, editori e direttori della fotografia che lavorano nel settore. Guardando il bicchiere mezzo vuoto, si dovrebbe rilevare che l’81% dei film più famosi e delle produzioni più importanti vede ancora al vertice gli uomini. Una vecchia pubblicità recitava che “l’ottimismo è il profumo della vita”, ma bisogna anche essere realisti, per cambiare le cose.
Continuando a scorrere i numeri, nei primi 100 film con il maggior incasso le donne produttrici sono il 28%, le produttrici esecutive il 21%, le montatrici il 18%, le sceneggiatrici 12% e le direttrici della fotografia il 3%. Lo studio ha anche rilevato una sorta di mutualismo, o “solidarietà femminile”: le registe sono più predisposte ad assumere altre donne per i ruoli chiave dietro le quinte: nei film con una regia al femminile, le donne rappresentavano il 53% degli sceneggiatori, mentre sono solo l’8% nei titoli diretti da uomini.
Questi sono i numeri di Hollywood, la grande fabbrica dei sogni dove il gender pay gap è ancora un incubo anche per le attrici più affermate, come denunciato in diverse occasioni dal palco degli Oscar, da star come Patricia Arquette e Maryl Streep. E se le donne vengono pagate meno sulle colline di Los Angeles, le cose non vanno di certo meglio a Bollyhood né, men che meno, in Europa e in Italia. Un’indagine condotta dall’Associazione Amleta, che opera contro le disparità e le violenze di genere nel mondo dello spettacolo, fornisce un quadro eloquente: le principali presenze femminili nei diversi ruoli nei teatri nazionali e nei tric (Teatri di rilevante interesse culturale) sono sotto il 32%. Femminile plurale? Spettacolo è ancora una parola maschile singolare.